A proposito dell'omicidio del bracciante indiano a Latina

Satnam Singh

Satnam Singh era un bracciante indiano, uno dei tanti sfruttati che vendono le loro “braccia” nelle campagne dell’Agro Pontino, in provincia di Latina. Era arrivato in Italia tre anni fa con sua moglie dopo aver lasciato la sua famiglia d’origine in India. Riceveva una paga oraria di 4-5 euro e viveva da tempo con sua moglie nella frazione Sant’Ilario del comune di Cisterna di Latina (LT).

Gli incidenti sul lavoro anche mortali non sono un fatto nuovo nella comunità dei braccianti immigrati di Sant’Ilario. Nell’ottobre 2013 la stessa sorte di Satnam toccò ad un altro bracciante indiano, la cui morte diversamente da quella di Satnam fu invece presto dimenticata, fatta passare come il risultato di una folgorazione a causa di un fulmine che lo colpì mentre era a bordo del trattore che guidava. Anche la morte di Satnam ha rischiato di passare per un evento accidentale ma in questo caso, fortunatamente, la commedia allestita dai suoi padroni non ha retto ed oggi l’opinione pubblica conosce le responsabilità padronali dietro la sua morte.

Ricostruzione dei fatti

All’alba di lunedi 17 giugno Satnam e sua moglie sono stati condotti da uno dei numerosi caporali che operano in zona presso l’azienda agricola dei Lovato (Agri Lovato). Alla dodicesima ora di lavoro mentre Satnam stava operando su un macchinario avvolgiplastica attaccato ad un trattore, è stato risucchiato dal motore del macchinario avvolgente che gli ha tranciato il braccio e procurato diverse fratture in varie parti del corpo. Sua moglie ha assistito a tutto il fatto e immediatamente ha implorato il padrone presente sul posto (Antonio Lovato) di portare Satnam in ospedale ma questi come l’interesse dei padroni vuole che sia e nonostante l’orrore in atto, ha messo davanti i suoi interessi. Anzichè chiamare i soccorsi ha dapprima tolto i telefoni alla moglie e agli altri braccianti impedendo loro forzatamente di chiamare i soccorsi.

Nel frattempo, mentre Satnam agonizzava, ha architettato ed eseguito una messa in scena neppure troppo elaborata. Ha caricato tutti su un furgone, ha preso ciò che rimaneva dell’arto tranciato (praticamente solo la mano) dentro una cassetta per frutta e ha trasportato e scaricato Satnam e sua moglie presso la loro abitazione come fossero spazzatura. Quindi è fuggito non prima di aver detto a degli abitanti del posto: “….lui non è in regola….”.

A quel punto la moglie di Satnam è riuscita a contattare telefonicamente il sindacato FLAI (Federazione Lavoratori Agroindustria) della CGIL. Una cui sindacalista è giunta sul posto e ha tempestivamente denunciato l’accaduto. Satnam è morto dopo due giorni di agonia all’ospedale San Camillo di Roma. La sua morte è stata causata da dissanguamento. Se soccorso in tempo sarebbe stato salvato. Sono note le successive dichiarazioni del padrone della Agri Lovato che a morte avvenuta ha perfino avuto il coraggio di commentare che l’incidente era stato causata da una leggerezza dello stesso Satnam. Un’altra tragica sequenza, dai tratti paternalistici, della commedia messa in piedi dai padroni della Agri Lovato per proteggere i loro interessi!

Combattere il caporalato

Non siamo davanti a “mele marce”. Il comportamento dei Lovato è una condotta comune tra i padroni agrari a capo della produzione agricola intensiva nell’Agro Pontino. È una condotta imposta dalla grande distribuzione organizzata che detta i prezzi d’acquisto delle merci prodotte nei campi e dalle direttive UE sulla produzione agricola che trascinano l’intero settore in un vicolo cieco.

Il risultato è una concorrenza al ribasso tra le varie aziende per quanto riguarda la qualità dei prodotti e le condizioni della loro produzione. Questa è la causa di incidenti come quello costato la vita a Satnam. Un prezzo che ogni padrone deve essere disposto ad assumersi se non vuol finire inghiottito da pesci più grandi (come l’UE favorisce che accada attraverso la sua Politica Agricola Comune). Pertanto il ricorso all’extra-legalità, la sistematica violazione dei CCNL, la diffusione del lavoro in nero e senza riconoscimento di tutele per il lavoratore è la regola nell’intera filiera della produzione e distribuzione agricola del territorio.

In questo quadro della situazione il caporalato, contro cui le larghe intese minacciano fuoco e fiamme, è la forma più comune di reperimento di forza lavoro nei campi. Esso consiste nell’intermediazione tra padroni e lavoratori da parte di fiduciari dei padroni (i caporali), addetti al reclutamento di forza lavoro “sotto-costo”. Il vantaggio che il caporale offre al padrone è palese: zero obblighi di registrazione di regolari contratti di lavoro con le relative tutele e piena disponibilità di forza lavoro ammansita da un’estrema condizione di ricattabilità che il caporale, come servizio che offre al padrone, contribuisce ad alimentare tramite il rapporto di dipendenza personale che il lavoratore finisce con l’instaurarvi.

La tangente che ogni lavoratore è costretto a versare al caporale, a detrazione dalla sua paga giornaliera, è la fonte di guadagno del caporale e la spada di Damocle che pende sulla testa di ogni lavoratore. Infatti chi non accetta le regole del gioco finisce con l’essere estromesso dal circuito dei caporali, è impossibilitato a vendere la sua forza lavoro e vede quindi minacciate le possibilità di provvedere alla sua sopravvivenza. Per chi le accetta la regola è lavorare 12 ore al giorno per 30 giorni al mese, alle dipendenza di caporali taglieggiatori e sottomessi a padroni senza scrupoli e convinti di poter disporre della vita e della morte dei braccianti, come ben dimostra la vicenda di Satnam.

Questo sistema prolifera in provincia di Latina fin dalla fine degli anni ’80 e miete vittime principalmente tra lavoratori immigrati (principalmente indiani ma anche di altre nazionalità) privi di documenti e che non parlano neppure l’italiano. È tuttavia crescente la frazione di lavoratori italiani. Infatti in provincia di Latina lo smantellamento progressivo e incessante del settore industriale sta portando al ritorno nei campi di donne e uomini italiani che non arrivano a fine mese.

È grazie a questo sistema che padroni e camorristi al vertice della produzione agricola e della distribuzione dei prodotti fanno profitti e accumulano capitali.

Nel tempo è iniziato un processo di sindacalizzazione. Nel 2010 per iniziativa della FLAI CGIL, è stato organizzato un primo sciopero a cui i padroni risposero con una serie di minacce di licenziamento per ritorsione. Il salto di qualità avvenne nel 2016 con l’organizzazione di una prima grande manifestazione di braccianti a Latina. La sindacalizzazione ha portato ad un aumento delle paghe, all’aumento dei contratti e delle ore dichiarate dai padroni nei contratti.

La risposta dei padroni fu quella di sostituire i sindacalizzati (almeno in parte) con braccianti africani richiedenti asilo non organizzati. Questo ha permesso che lo sfruttamento riprendesse a pieno regime. Negli ultimi anni abbiamo poi assistito ad episodi di ordinaria violenza padronale in qualche caso saliti agli onori delle cronache: storie di fucili puntati in faccia a braccianti non abbastanza sottomessi, di altri braccianti massacrati di botte da padroni e loro scagnozzi e poi buttati dentro un fosso, per non parlare di quanto successo durante l’emergenza Covid, dove i braccianti sono stati costretti a lavorare malati, senza alcun dispositivo di sicurezza e ignorati da tutti anche dal Sistema Sanitario Nazionale.

Come in moltissime altre circostanze esistono già le leggi per contrastare situazioni rovinose come quella del quadro appena descritto. Basterebbe applicarle. Sarebbe cosa ovvia e normale, in un paese le cui autorità hanno a cuore le condizioni di vita e di lavoro della massa della popolazione, l’intervento di magistratura e forze dell’ordine per impedire che i padroni di aziende come la Agri Lovato possano continuare a nuocere. È ciò che farebbe un governo di emergenza popolare che possa contare su forze dell’ordine e magistratura epurate da chi opera in violazione della Costituzione del 1948.

All’opposto nonostante il cordoglio e le lacrime di coccodrillo delle larghe intese, a distanza di poco più di dieci giorni il padrone della Agri Lovato è ancora lì come se niente fosse. Come sono lì come se nulla fosse successo i padroni delle aziende in cui lavoravano Luana D’Orazio, Anila Grishay, gli operai uccisi a Casteldaccia, quelli uccisi a Brandizzo ecc. Poiché accanto alle leggi che già esistono per punire simili crimini esiste una volontà politica più forte, da parte del sistema di larghe intese, che è invece votata a proteggere i padroni.

Ce lo dimostra il governo Meloni che annovera nelle sue file, come esponente di primissimo piano, gente come Nicola Procaccini da Terracina (LT), campione di preferenze di FdI (e di clientele) alle ultime elezioni europee, che nel 2020 imbastì una campagna d’opinione in difesa di due padroni responsabili del pestaggio e del successivo deposito in un fossato di un bracciante indiano che aveva osato risentirsi e chiedere la sua paga. Ce lo dimostrano d’altro canto anche il PD di Schlein e il M5S di Conte che oggi si stracciano le vesti in memoria di Satnam Singh e chiedono al governo Meloni misure e provvedimenti che si sono ben guardati dall’intraprendere quando erano al governo.

Le mobilitazioni in corso e il cambiamento necessario

In risposta all’accaduto a Latina si sono tenute due grandi giornate di sciopero e mobilitazione di massa. La prima organizzata dalla CGIL sabato 22 giugno e la seconda tenutasi martedì 25 giugno organizzata da CISL e UIL, quest’ultima convocata su appello della comunità indiana del Lazio e a cui hanno aderito anche sindacati alternativi e di base come USB e COBAS.

Queste mobilitazioni analogamente a quanto avvenuto nel 2016 alimenteranno il processo di sindacalizzazione del bracciantato e questo è un fatto indubbiamente positivo. Questa deve essere la base per costruire la rete degli organismi operai dei braccianti da opporre alla rete criminale gestita dal grande padronato agrario, coi suoi caporali e i suoi appoggi istituzionali. Diversamente pensare di poter migliorare le condizioni di vita dei braccianti rivolgendo appelli al teatrino delle larghe intese che oggi promette più interventi degli ispettorati del lavoro dopo aver ridotto all’impotenza questi organismi, oramai privi di uomini e mezzi, è gettare fumo negli occhi.

La situazione nei campi dell’agro pontino è la nuda e cruda dimostrazione delle leggi fondamentali dell’economia di mercato. La causa fondamentale di questo stato delle cose è la concorrenza tra padroni per valorizzare e accrescere i propri capitali. Dunque per essere realistici, per porre fine a questo stato delle cose bisogna sostituire l’azienda agricola capitalista che produce beni e servizi per la valorizzazione del capitale con l’azienda socialista che produce beni e servizi come servizio reso alla collettività e al suo fabbisogno. Questa è la soluzione realistica e di prospettiva per rimuovere lo sfruttamento nelle campagne e i fenomeni collegati, come il razzismo che a ragione indigna molti. Ad uccidere Satnam Singh non sono stati i discorsi degli esponenti del governo Meloni contro la “sostituzione etnica” e il resto del loro frasario di estrema destra ma è la guerra di sterminio non dichiarata contro le masse popolari, di cui le stragi sul lavoro sono un capitolo grondante sempre più sangue, che il mantenimento dell’ordinamento sociale capitalista comporta.

Nel giugno ‘22 a Sonnino ci fu un caso simile. Un operaio italiano stava lavorando in un cantiere quando fu colpito da una scarica elettrica. Nell’immediato fu trascinato fuori e abbandonato dai padroni nei pressi del luogo di lavoro. Quasi tutti gli operai della ditta che svolgeva i lavori erano privi di contratto d’assunzione. Stesso gesto compiuto dai Lovato. Stesso territorio. Stessa guerra di sterminio non dichiarata.

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