[Siena] Intifada in ogni città: intervista al Comitato Palestina Siena

Di seguito riportiamo l’intervista fatta dalla Sezione Siena – Val d’Elsa del Partito dei CARC a Samuele, un compagno del Comitato per la Palestina di Siena e di Cravos.

D: Parlaci un po’ del comitato: da chi è formato, quali obiettivi si è posto, quali le azioni finora messe in campo.

R: Innanzi tutto grazie per questa intervista. Il Comitato Palestina di Siena è un comitato di diverse realtà in primis studentesche, ma anche di cittadini e di lavoratori. Dal 7 ottobre di quest’anno ci siamo subito mobilitati in solidarietà della comunità palestinese: il 15 ottobre eravamo già in piazza Tolomei a Siena con una manifestazione di centinaia di persone. In questi mesi abbiamo organizzato tantissimi eventi, manifestazioni, cene di raccolta fondi, per poi prendere parte alla mobilitazione internazionale che ha coinvolto tantissime università del mondo e anche noi a Siena abbiamo dato il nostro contributo. Poi sull’acampada nello specifico lunedì 13 maggio abbiamo piantato le tende al Polo Mattioli dove ci sono le facoltà di scienze politiche e giurisprudenza che hanno molti accordi con Israele.

D: Quali erano (e sono) i vostri obiettivi?

R: Fin dall’inizio i nostri obiettivi sono stati chiari: la condanna dell’aggressione israeliana, la rescissione degli accordi con Israele e con le aziende produttrici di armi e maggiori misure a sostegno del Popolo palestinese. Abbiamo chiesto un incontro con i due rettori dell’università di Siena e dell’Unistrasi, incontro che c’è stato negato per per tutta la durata dell’acampada. Dopo diversi giorni in tenda al Polo Mattioli abbiamo deciso di spostare l’acampada di fronte al Rettorato per aumentare la pressione anche in concomitanza con il Senato Accademico al quale abbiamo depositato una mozione a firma del comitato per istituire una commissione sugli accordi con Israele e con le aziende delle Armi. Arrivati al Rettorato, il Rettore è sceso il giorno prima del Senato per confrontarsi con noi, ma non abbiamo visto nessun passo in avanti sul piano del boicottaggio accademico o sulla concretezza delle misure a sostegno del popolo palestinese. Questo passo è stato invece portato avanti in altri atenei d’Europa e anche in Italia. Il giorno dopo abbiamo aspettato la discussione in Senato accademico della nostra mozione che è stata respinta, anche se aveva ottenuto oltre 150 sottoscrizioni da parte dei docenti; allo stesso tempo il Senato accademico ha approvato all’unanimità una mozione per monitorare tutte le criticità degli accordi in essere dell’università. La decisione del Senato Accademico di respingere la nostra mozione sicuramente è stata deludente, mentre il fatto che abbiano istituito una commissione interna rappresenta comunque un piccolo passo nella giusta direzione. Monitorare le criticità di quelli che sono gli accordi dell’università sicuramente è importante ma noi chiediamo anche azioni concrete immediate come il boicottaggio accademico, borse di studio nei confronti deglistudenti palestinesi…Dopo 10 giorni è terminata la nostra acampada che ha visto centinaia di persone passare prima dal Mattioli poi dal rettorato; ringraziamo le tante attività che ci hanno mostrato tanta solidarietà.

Il nostro lavoro chiaramente non finisce qui: continueremo con le nostre campagne in università e città, continueremo attraverso eventi e manifestazioni affinché anche le istituzioni di Siena -o magari in primis le istituzioni di Siena- possano prendere una posizione chiara e coraggiosa.

D: Durante la giornata come vi organizzavate? Quali erano le attività nello spazio dell’acampada? Chi ha partecipato in maniera più costante, oltre agli studenti?

R: Durante l’acampada la cosa più bella è stata la solidarietà delle attività commerciali gestite soprattutto da stranieri di origine araba e della comunità palestinese di Siena (formata da circa 30-40 persone) che, anche se non poteva sempre partecipare attivamente, ci portava continuamente del cibo: non è mancato di certo da mangiare e da bere! Durante questi dieci giorni abbiamo arricchito quei due spazi di eventi: ci sono stati eventi anche in collegamento con il diritto alla casa, ci sono stati eventi in cui abbiamo coinvolto professori di antropologi…è stato sicuramente uno spazio di elaborazione, di condivisione e sicuramente anche di “cura” dei rapporti sociali perché poi dopo un po’ di giorni si comincia a far sentire la fatica e la spinta che ci ha fatto resistere fino alla fine è stato il fatto che ogni notte le persone aumentavano. Un altro importante incentivo è stata la vicinanza anche del personale universitario che ci ha accolto molto bene. Un’esperienza positiva e pacifica che non disturbato la cittadinanza senese ma che l’ha sensibilizzata su una problematica internazionale che ha ripercussioni anche sulla nostra città.

D: Avete rapporti con altre realtà legate o meno alla causa palestinese?

R: Il comitato è formato soprattutto da studenti, molti organizzati già in associazioni studentesche; a livello locale non credo esistano realtà che si battono per la causa palestinese oltre noi, ma la comunità palestinese di Siena fa parte del comitato e questo ci dà molta forza perché ognuno di loro, nonostante abbia amici e parenti a Gaza, riesce a mantenere e a portare all’interno del gruppo la bussola politica e un’elevata coscienza (intersezionalità, condivisione della lotta…). Loro sono la forza motrice del comitato.

D: In generale voi, mi pare di aver capito, non avete subito azioni repressive come, purtroppo, vediamo essere successo altrove, agli studenti di Pisa e di Firenze, è corretto?

R: Per fortuna non c’è stato alcun tipo di repressione: le forze dell’ordine si sono viste pochissimo e meno male. Sappiamo però che le immagini che ci arrivano da Roma o Milano non sono l’eccezione in questo Paese dove la repressione è la regola, in particolare nei confronti di un movimento così radicale come quello in solidarietà del popolo palestinese che non è in linea neanche con l’opposizione parlamentare. Penso che questo movimento coinvolga anche quelle persone che non si sentono rappresentate a livello parlamentare. Questa repressione non avviene solo sotto il governo Meloni ma sotto un po’ tutti i governi: gli studenti e gli operai che hanno preso le manganellate ci sono stati anche negli anni passati…

D: Di alcuni aspetti positivi hai già parlato. Quali sono stati, secondo te, i limiti e come potrebbero essere superati?

R: Un limite è l’assenza di un’organizzazione nazionale che coordini le varie realtà locali, anche se questo potrebbe rappresentare un aspetto positivo: è tutto affidato alla spontaneità e alla specificità del territorio. Ma sicuramente non c’è coordinamento tra le varie azioni a livello nazionale (anche se siamo in contatto con le realtà di Firenze e con i Giovani Palestinesi) e l’assenza di ciò può indebolire il movimento e l’efficacia delle azioni.

Un altro limite è stato quello di non essere pronti ad eventuali attacchi: sono passate un paio di macchine gridando insulti ma, per fortuna, sono state scaramucce…che cosa sarebbe successo se fosse arrivato un gruppo serio ed organizzato?

Per limitare la mancanza di una rete (problema storico della sinistra) si dovrebbe ripartire da degli obiettivi comuni a livello nazionale e ad azioni unitarie, come la manifestazione che si terrà al porto di Genova fra qualche giorno. Questo sarebbe importante anche per dare concretezza alle rivendicazioni che portiamo.

Quindi magari convogliare tutte le forze in una, due date che possano avere delle rivendicazioni specifiche e forti.

D: La questione della Palestina non riguarda solamente la politica estera ma anche quella interna e quindi di fatto ci pone di fronte al problema del governo del Paese. Secondo te quali linee di sviluppo possono essere messe in campo per evitare che la lotta specifica della Palestina possa esaurirsi nel tempo?

R: L’onda che muove tutto il movimento è la causa umanitaria: le immagini e i video tutti i giorni ci mostrano quello che succede a Gaza e quindi la prima causa ancora prima di essere politica è emotiva. Sicuramente “ogni lotta aiuta un’altra lotta” -e questo ce lo ricordano gli stessi Palestinesi- ma sta a noi farci carico di questo slogan, cercando di far calare quella che è la lotta Palestina anche nei problemi quotidiani del nostro Paese. L’aggancio sta nell’aumento delle spese militari e nel coinvolgimento del nostro Paese nella guerra e, se questa è la priorità per la nostra classe dirigente, altre priorità non ci sono più, come il diritto allo studio, il diritto alla casa, la sanità pubblica… far emergere queste contraddizioni è importantissimo perché né governo né le forze Parlamentari mettono in discussione il posizionamento dell’Italia e l’aumento delle spese militari e non fanno gli interessi dei cittadini; questo slogan è funzionale anche ad attirare quella parte di astenuti che è il primo partito di questo paese e che non si sente più rappresentato da quelli in parlamento; forse dovremmo cavalcare quest’onda per coinvolgere in maniera crescente le masse alla politica.

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