I principali paesi imperialisti sono tutti, in qualche modo, invischiati nella campagna elettorale
Nel momento in cui scriviamo è in pieno svolgimento la campagna elettorale per le elezioni europee. Negli Usa è in corso quella per le presidenziali di novembre, in Gran Bretagna le elezioni politiche sono state convocate per luglio. Anche nello Stato illegittimo d’Israele i sionisti discutono di elezioni anticipate sullo sfondo del genocidio che stanno perpetrando contro il popolo palestinese.
Le elezioni borghesi NON servono a stabilire l’orientamento politico di nessun paese o istituzione sovranazionale, che è invece deciso dietro le quinte del teatrino della politica: esse sono una liturgia necessaria a dare una parvenza di legittimità popolare al regime della borghesia imperialista, alla sua dittatura.
La classe dominante è costretta a indire le elezioni per giustificare la sua esistenza (“siamo stati eletti”, “lo vuole il popolo”) e il funzionamento del suo sistema politico agli occhi delle masse popolari (“ci avete eletto”).
Oltre a ciò, le elezioni borghesi sono uno strumento di regolamento di conti fra le fazioni e i gruppi di potere della classe dominante, in reciproca concorrenza per gestire da posizione privilegiata i propri affari.
La classe dominante, tuttavia, è sempre sul chi va là in tema di elezioni, perché, nonostante il grande dispiego di risorse economiche, la pervasiva propaganda, la corruzione e le clientele, essa riesce sempre meno a condizionare l’esito del voto. Da quello “spiraglio di partecipazione democratica” potrebbero accidentalmente uscire risultati che scombinano le carte, risultati non “rivoluzionari”, ma imprevisti e problematici.
Per questo motivo, con manovre diverse paese per paese, la classe dominante ostacola la partecipazione attiva (tramite liste autonome dal suo sistema di potere) delle masse popolari alla liturgia elettorale: vedi in Italia l’esorbitante numero di firme da raccogliere per presentare una lista, le soglie di sbarramento, ecc.
Ciò che realmente rimane in piedi di quel surrogato di democrazia, quindi, è la possibilità delle masse popolari di decidere quale comitato d’affari avrà la meglio sugli altri, benché tutte le fazioni operino sotto l’ombrello del programma comune della classe dominante, quello dettato dalla Ue, dagli Usa-Nato, da banchieri e speculatori e dalle organizzazioni criminali.
In tutti i paesi imperialisti la mobilitazione delle masse popolari sta crescendo perché cresce l’esigenza di fare fronte agli effetti della crisi e di opporsi al programma comune della classe dominante
Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati dalle mobilitazioni in solidarietà con il popolo palestinese, ma non sono le uniche: dalle mobilitazioni contro la crisi ambientale a quelle degli agricoltori, alla mobilitazione delle donne contro l’oppressione di classe.
In ogni paese, poi, alcune specifiche questioni si sono combinate a quelle più generali: la brutalità della polizia e la repressione in Francia, il razzismo di Stato negli Usa, la partecipazione del proprio paese all’aggressione della Nato contro la Federazione Russa (ad esempio in Germania, il paese europeo che paga il prezzo più alto delle sanzioni contro la Federazione Russa), ecc.
Considerando che coloro che scendono in piazza sono sempre la parte più attiva, che interpreta e dà voce ai sentimenti e alle aspirazioni di fette ben più ampie della popolazione, l’aumento delle mobilitazioni è la cartina tornasole del crescente malcontento delle ampie masse verso la classe dominante. Le proteste, gli scioperi e le manifestazioni – per quanto disordinate e contraddittorie – pongono tutte, in vari modi, la questione della direzione che deve prendere la società per essere coerente con gli interessi delle masse popolari. Pongono la necessità di un nuovo ordine economico e sociale.
In tutti i principali paesi imperialisti la classe dominante ha il problema di tenere a bada le masse popolari
Prova a dissuaderle dall’organizzarsi e dal mobilitarsi oppure le reprime. Non è un caso se viviamo nell’epoca (potenzialmente) più evoluta e progredita della storia umana, ma dilagano la miseria, la brutalità, l’ignoranza e la superstizione.
La classe dominante moltiplica costantemente gli sforzi per tenere le larghe masse in una situazione di sottomissione culturale, intellettuale e cognitiva, oltre che pratica: alimenta la diversione dalla realtà, intossica i cuori e le menti, insudicia l’informazione con gossip e notizie futili, offre mille perdite di tempo, spesso inutili o dannose. Cerca in ogni modo di evitare che le masse popolari prendano coscienza del mondo in cui vivono e di come funziona e che è possibile trasformarlo (come ci hanno insegnato le rivoluzione socialiste e di nuova democrazia del secolo scorso); promuove la diversione dalla lotta di classe e l’anticomunismo in tutte le salse.
Nonostante gli sforzi, il castello di futilità, intossicazione e diversione non è sufficiente. Ci pensa la realtà a mettere le cose in chiaro. Allora la risposta è la repressione: censura, manganellate, restringimento degli spazi di iniziativa politica… La repressione, però, è un’arma a doppio taglio: spaventa alcuni, ma spinge altri a organizzarsi meglio e a lottare con più determinazione.
In ognuno dei paesi imperialisti regna il disordine
In ragione della crisi generale del sistema capitalista che avanza inesorabilmente, della concorrenza fra diversi gruppi di potere e della mobilitazione delle masse, la classe dominante non riesce più come in passato a dare un indirizzo unitario al governo e allo Stato (crisi politica). Cresce il divario fra la classe dominante e le masse popolari e aumentano le manifestazioni dell’antagonismo fra i rispettivi interessi.
In ragione del fatto che le rivendicazioni delle masse popolari non trovano ascolto, ma neppure possono essere soddisfatte attraverso le liturgie elettorali, crescono la mobilitazione e la ribellione. A cui la classe dominante risponde con la repressione, facendo carta straccia dei residui diritti costituzionali e delle libertà democratiche di cui si riempie la bocca.
Tutto questo in un contesto in cui dilagano guerra, povertà e precarietà, droghe e malattie mentali, analfabetismo di ritorno e disgregazione sociale.
Serve un nuovo ordine
Il disordine che aumenta è diretta conseguenza del fatto che in tutti i paesi imperialisti esistono le condizioni oggettive per la rivoluzione socialista, ma il movimento comunista non è adeguato per mettersi alla testa della mobilitazione delle masse popolari. Il disordine è quindi l’indice delle potenzialità rivoluzionarie non espresse. Questo vale per gli Usa, per la Gran Bretagna, per la Francia, per la Germania e anche per l’Italia.
La rinascita del movimento comunista è urgente. Dipende interamente da quello che fanno i comunisti per superare i limiti e correggere gli errori che inficiano il loro ruolo, non dipende da quello che la classe dominante fa per ostacolarla.
Noi siamo comunisti italiani. Non ci sogniamo neppure di sindacare e disquisire su quello che dovrebbero o non dovrebbero fare i comunisti negli Usa, in Francia, in Germania, ecc. Dobbiamo occuparci di quello che i comunisti devono fare in Italia per dare alle masse popolari, al proletariato e alla classe operaia i mezzi per imporre un nuovo ordine, il socialismo, sul disordine che aumenta.
Appello ai comunisti
La questione all’ordine del giorno è ideologica e politica prima che organizzativa e necessita di sgombrare il campo da concezioni sbagliate che rallentano e ostacolano la rinascita del movimento comunista.
Anzitutto, bisogna contrastare ogni tendenza a sopravvalutare la forza del nemico. La classe dominante è allo sbando, il suo sistema politico e di relazioni internazionali sono in crisi, in via di disgregazione. La sua prospettiva è la guerra, ma per fare la guerra ha bisogno di mobilitare e intruppare le masse popolari al suo servizio, ha bisogno che le larghe masse siano disposte a fare da carne da macello e da cannone per i suoi interessi.
In secondo luogo, bisogna superare la sfiducia e lo scetticismo nella possibilità di vincere, di portare alla vittoria la rivoluzione socialista. La sfiducia e lo scetticismo sono entrambi manifestazione dell’influenza ideologica della classe dominante nelle file del movimento comunista: è la borghesia imperialista a non avere una prospettiva positiva, a essere in una situazione precaria, a essere sull’orlo di un precipizio.
La fine della società borghese corrisponde alla fine dell’esistenza della borghesia imperialista. L’instaurazione del socialismo corrisponde all’affermazione di una nuova classe dirigente della società e, quindi, di una nuova società.
In terzo luogo, bisogna contrastare l’idea che per fare la rivoluzione sia necessario costruire, prima, un partito comunista grande e forte. È un’idea campata per aria perché, in attesa che il partito comunista diventi grande e forte, comporta di ridurre il ruolo dei comunisti al proselitismo anziché a quello di promotori e dirigenti effettivi della lotta politica rivoluzionaria nel contesto della lotta di classe già in corso.
Il partito comunista nasce necessariamente piccolo (e rimane in ogni caso il partito di una esigua minoranza della popolazione): diventa grande e forte in virtù del ruolo di direzione che assume nella lotta di classe, fase per fase.
Questo è uno degli insegnamenti della Rivoluzione d’Ottobre, della Rivoluzione cinese e della vittoria della Resistenza sul nazifascismo in Italia.
In ultimo, bisogna contrastare l’idea che la rivoluzione socialista scoppia. La rivoluzione socialista NON è un moto insurrezionale, è un processo di accumulazioni quantitative che producono salti qualitativi, ha la forma della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (questo ci hanno insegnato le rivoluzioni vittoriose della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria). La rivoluzione socialista si costruisce moltiplicando gli organismi operai e popolari che agiscono da nuove autorità pubbliche che, con la loro azione, occupano i posti che prima erano delle autorità e delle istituzioni della vecchia classe dominante.
Non è e non sarà un processo pacifico, né lineare. È una lotta per alimentare, consolidare e sviluppare il nuovo potere delle masse popolari organizzate attorno al partito comunista e far soccombere il vecchio potere della classe dominante e delle sue istituzioni.
La questione politica all’ordine del giorno si riassume nel fatto che il movimento comunista cosciente e organizzato deve contendere già oggi la direzione della mobilitazione delle masse popolari alla classe dominante, indipendentemente dalla forza e dalle capacità che ha. Solo ponendosi in queste condizioni il movimento comunista cosciente e organizzato si forgia, cresce, impara a combattere combattendo, corregge gli errori, avanza.
Ai comunisti italiani, ovunque collocati, facciamo appello a porsi e agire in questa ottica.
La situazione richiede un cambio di passo urgente per rompere settarismi e opportunismi che tanto danno hanno cagionato.
Il movimento comunista cosciente e organizzato rinasce tanto più velocemente quanto più velocemente i comunisti imparano a concepirsi e ad agire come promotori e fautori del nuovo ordine che va imposto sul disordine provocato dal capitalismo in crisi.