Rilanciamo di seguito un articolo della redazione de L’Antidiplomatico sull’attacco dell’Iran contro Israele avvenuto lo scorso 14 aprile. Lo facciamo dopo circa un mese, a bocce ferme e fuori dalla concitazione del momento per analizzare l’operazione più dal punto di vista politico che militare, i cui migliori effetti e il cui valore sono emersi col tempo. Quest’articolo ne indica i principali risultati.
I media di regime si sono subito accodati alle posizioni degli imperialisti USA, UE e sionisti. Hanno alimentato sensazionalismo e intossicazione dell’opinione pubblica, da un lato, ingigantendo il carattere militare dell’operazione come se fosse la miccia di una nuova guerra e, dall’altro lato, separando l’episodio dal più ampio conflitto in corso nel Medio Oriente. Tentativi di distogliere dalla questione principale: i sionisti non riescono più a fronteggiare la situazione di instabilità di cui sono essi stessi responsabili; in definitiva, stanno perdendo.
Il numero crescente di provocazioni che stanno mettendo in campo dimostra che non hanno soluzione diversa per uscire dalla crisi che allargare il conflitto – come dimostra lo scambio con l’Iran. Da un lato, devono far fronte alla dissoluzione del mito dell’invulnerabilità perché, prima l’operazione del 7 ottobre, poi questa del 14 aprile, sono la prova della loro debolezza. Da un altro lato, sono lacerati da contraddizioni interne e guerre fra bande che determinano l’impossibilità di compattarsi in un fronte unico – come dimostrano gli scambi fra USA e Israele dopo l’attacco dell’Iran.
Per altri versi, sono fermi in un impasse perché consapevoli che una risposta potrebbe scatenare una guerra a cui non sono preparati ma forzati dalle circostanze a dover mostrare i denti nel Medio Oriente. Tutto ciò mentre l’opposizione alle scorribande degli imperialisti USA, UE e sionisti cresce in tutto il mondo, mentre la solidarietà al popolo palestinese sta facendo un salto di qualità a partire dalla mobilitazione studentesca e mentre i popoli oppressi dagli imperialisti sempre più si ribellano al loro dominio.
È in questo contesto che collochiamo quest’articolo ed è con questa cornice che ne proponiamo la lettura.
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Perché l’attacco dell’Iran a Israele ha ottenuto più successo di quanto sembri
Questo fine settimana, l’Iran ha effettuato un attacco aereo sul territorio di Israele, nel quadro dell’operazione militare “The True Promise”, come rappresaglia per l’aggressione israeliana contro il suo consolato a Damasco, in Siria. Diversi esperti hanno discusso se questo attacco, che ha coinvolto più di 300 droni e missili di vario tipo, abbia avuto successo.
Tel Aviv ha ribadito di aver intercettato la stragrande maggioranza degli obiettivi, circa il 99%, mentre il resto è caduto sulla base aerea di Nevatim, provocando lievi danni alle infrastrutture. Tuttavia, Abbas Juma, esperto di Medio Oriente e Africa, sostiene che si è trattato di un’operazione di maggior successo di quanto sembri, considerando il suo impatto politico e a lungo termine.
Istituzione di un nuovo ordine
“In sostanza, l’attacco compiuto dall’Iran il 14 aprile non è stato solo un attacco di ritorsione, ma piuttosto ha stabilito un nuovo ordine. L’Iran ha dimostrato di essere disposto a ricorrere a nuovi mezzi di influenza in una situazione in cui le parole non bastano,” ha spiegato il giornalista e commentatore politico russo in un articolo scritto martedì per RT .
“[L’Iran] ha attaccato direttamente Israele non per iniziare una guerra, ma per dimostrare cosa potrebbe accadere se tutti gli altri metodi di pressione su Israele fallissero”, ha spiegato.
In questo senso, Juma ha analizzato l’attacco come “la mossa di un grande maestro in una grande partita a scacchi” che non è ancora terminata. Secondo l’analista, dopo l’attacco alla rappresentanza diplomatica, Teheran ha dovuto “rispondere in un modo che sembrava convincente e ha raggiunto obiettivi militari specifici, ma che non ha dato inizio alla terza guerra mondiale.”
Mossa di un “gran maestro” di scacchi
“Per raggiungere il primo punto, l’Iran ha dovuto effettuare un attacco diretto senza ricorrere esclusivamente a forze indirette, e così ha agito. Per quanto riguarda il secondo punto, sebbene la maggior parte dei missili e dei droni siano stati effettivamente abbattuti, alcuni sono riusciti a penetrare nello spazio aereo israeliano e colpire obiettivi militari”, ha sottolineato.
“Ovviamente, gli iraniani non volevano iniziare una guerra che coinvolgesse gli Stati Uniti, anche se questo è ciò che [il primo ministro israeliano Benjamin] Netanyahu voleva. In altre parole, Israele non è riuscito a provocare l’Iran”, ha aggiunto.
Le debolezze israeliane esposte
D’altra parte, l’analista ha affermato che l’attacco dimostra ancora una volta che il Paese ebraico non è invulnerabile e che è possibile attaccarlo. In questo senso, ha ricordato che la Repubblica islamica dispone di un arsenale più potente che non è stato utilizzato nell’operazione.
“Tuttavia, anche i droni e i missili meno avanzati sono stati in grado di penetrare nello spazio aereo israeliano e infliggere danni economici, poiché Israele ha speso molti più soldi per abbattere missili e droni di quanto l’Iran abbia speso per lanciarli “, ha osservato.
Confondere Israele
Infine, Juma ha sottolineato che il risultato più importante di Teheran è stato quello di confondere Israele nello stesso modo in cui lo era stato dopo l’attacco di Hamas al territorio ebraico del 7 ottobre 2023. Nelle sue parole, Tel Aviv affronta la questione di come rispondere all’attacco, prendendo in considerazione il fatto che un’aggressione diretta scatenerebbe una guerra “per la quale nessuno è preparato, compresi gli Stati Uniti”, e che i suoi continui attacchi contro le forze “per procura” iraniane non hanno il risultato desiderato.
“La palla ora è nel campo di Israele, e il Paese si trova ad affrontare le stesse sfide della Repubblica islamica dopo il 1° aprile [in seguito all’attacco al consolato iraniano a Damasco]. Ma Israele può risolvere queste sfide con la stessa efficienza?”, ha concluso.