Nel numero di maggio 2024 di Resistenza abbiamo pubblicato l’articolo I crimini di maggio della Repubblica pontificia. Si tratta dell’eccidio di Portella della Ginestra (1947) e dell’omicidio di Peppino Impastato (1978). Tra di essi sono trascorsi più di trent’anni, tuttavia sono accomunati da molti elementi, motivo per cui si prestano ad approfondire la natura del regime politico costituito in Italia dopo la caduta del fascismo. Per questo abbiamo deciso di fornire ai lettori ulteriori dettagli di ricostruzione storica di questi due avvenimenti. Quella che segue è la vicenda di Peppino Impastato.
La vicenda di Peppino Impastato
Quello di quest’anno di quest’anno è stato il 46mo anniversario dell’omicidio del militante comunista siciliano Peppino Impastato Un omicidio la cui radice, al di là della narrazione della pubblicistica borghese tesa a farlo passare semplicemente come “delitto di mafia”, è tutta politica. Le “responsabilità della mafia” infatti, riconosciute ormai ampiamente dai tribunali e dalla stessa storiografia borghese, non spiegano le cause reali dell’omicidio di Peppino Impastato, che stanno tutte nell’intreccio di potere tra imperialisti USA, Vaticano e organizzazioni criminali, che ancora oggi reggono il nostro paese e che dal 1948 agli anni ’70 si sono uniti in una “santa battaglia” contro il movimento comunista che avanzava in Italia e in tutto il mondo.
Una premessa. Nonostante i risultati ottenuti con la sconfitta del nazifascismo e con la costruzione della Resistenza, il nuovo potere delle masse popolari organizzate, i comunisti italiani, frenati dai propri limiti, non erano riusciti a condurre vittoriosamente la rivoluzione socialista, permettendo alle vecchie classi dominanti di riprendere il controllo del paese.
Tuttavia queste ultime, prostrate dalla sconfitta del fascismo e fiaccate dall’iniziativa del movimento comunista, si sottomisero totalmente agli imperialisti USA, che affidarono al Vaticano, l’unico tra i vecchi centri di potere che ancora godeva di una forza, di una credibilità e di un prestigio adeguati (la borghesia italiana, del resto, frenata nella sua ascesa dal papato, non aveva mai affermato la propria sovranità su tutto il paese), il compito di raccogliere i rimasugli delle vecchie classi dominanti, metterle d’accordo tra loro e con le organizzazioni criminali (come la mafia) e riportarle in sella. Il risultato fu la Repubblica Pontificia, un sistema incentrato su un equilibrio precario, fatto di scorribande e scontri tra poteri opachi e occulti, con caratteristiche che non hanno riscontri in nessun altro regime politico.
L’inevitabile fragilità di questo sistema di potere, unita alla forza raggiunta dal movimento comunista a livello internazionale e nazionale, fecero dell’Italia il paese con il movimento comunista più grande, forte e organizzato tra tutti i paesi imperialisti e di conseguenza quello più “a rischio” per la borghesia imperialista. Per arginare la potenziale ascesa dei comunisti, infatti, le classi dominanti nonostante la facciata “democratica” che diedero al paese dopo il fascismo, dovettero ricorrere ad ogni sorta di crimine e intrigo (stragi di Stato, P2, mafia, strategia della tensione, ecc.)
E’ in questo contesto che si è inserita la vicenda di Peppino Impastato. Nato a Cinisi, in provincia di Palermo, da una famiglia mafiosa (suo padre, Luigi Impastato, era imparentato con Cesare Manzella, capomafia locale), Impastato ruppe ben presto con la famiglia ed entrò in rotta di collisione con l’intreccio politico-mafioso che dal dopoguerra dominava la Sicilia.
Dalla metà degli anni ’60 cominciò un’intensa attività politica e fu tra i protagonisti della stagione di lotte che tra il ’68 e gli anni ’70 infiammarono la Sicilia e l’intero paese. Condusse le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo in territorio di Cinisi e fu alla testa di quelle degli edili e dei disoccupati. Nel 1976 costituì il gruppo Musica e cultura, che svolgeva attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti, ecc.); nel 1977 fondò Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denunciò i crimini e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo di Gaetano Badalamenti, successore di suo zio Cesare Manzella come capomafia locale, che aveva un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto di Punta Raisi.
Nonostante le continue minacce e pressioni subite, nel 1978 Impastato si candidò alle elezioni amministrative per il Comune di Cinisi nelle liste di Democrazia Proletaria, ma non fece in tempo a sapere l’esito delle votazioni (che lo avrebbero visto addirittura primo tra gli eletti) perché venne assassinato la notte del 9 maggio, a campagna elettorale in corso, su commissione di Badalamenti. Gli esecutori dell’omicidio lo tramortirono con un gran sasso, lo legarono ai binari della ferrovia Palermo-Trapani e lo fecero esplodere ponendo sotto il suo corpo un carico di dinamite. Il delitto, avvenuto in piena notte, passò inizialmente inosservato, poiché nella stessa giornata, una decina di ore dopo, venne ritrovato il corpo senza vita del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, in via Caetani a Roma.
Stampa, magistratura e forze dell’ordine sostennero inizialmente l’ipotesi che Peppino fosse rimasto ucciso nel tentativo di eseguire un attentato dinamitardo da lui stesso progettato, oppure quella del suicidio. Solo la mobilitazione dei familiari (su tutti la madre e il fratello Giovanni) e dei compagni di militanza fecero si che le responsabilità della mafia e la collusione nella vicenda di esponenti delle istituzioni (tra cui, ad esempio, il generale dei carabinieri Antonio Subranni, poi promosso a capo del ROS e tra i protagonisti della famigerata “trattativa Stato-mafia”) venissero a galla. Il 9 maggio 1979, a un anno dall’omicidio, il Centro siciliano di documentazione (fondato nel 1977 e intitolato proprio a Peppino Impastato nell’80) organizzò, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il Paese. Tuttavia, si dovette attendere fino al 1984 per vedere riconosciuta dai tribunali la matrice mafiosa del delitto e addirittura fino al 2001 per accertare la responsabilità di Badalamenti come mandante.
Del resto, Impastato stava cominciando sul serio a mettere le mani nei torbidi intrighi della Repubblica Pontificia. Un aspetto poco noto della sua attività giornalistica fu, infatti, la sua inchiesta sulla strage di Alcamo Marina, in cui vennero uccisi due carabinieri e della quale furono accusati cinque giovani del posto che, come si scoprirà in seguito, furono torturati per estorcere false confessioni. Non si sa cosa l’attivista di Democrazia Proletaria avesse scoperto sulla strage, probabilmente legata alla mafia e a elementi dell’Organizzazione Gladio1 collusi con gli stessi carabinieri, poiché la cartella contenente i documenti dell’inchiesta fu sequestrata e mai piàù restituita.
Ricordare il barbaro omicidio di Peppino Impastato, rivoluzionario e militante comunista assassinato dalla mafia democristiana, come recita il suo epitaffio, non è un mero esercizio di memoria, ma un’occasione per analizzare e comprendere più a fondo la natura del nostro paese e del suo sistema di potere
La vicenda di Peppino Impastato è emblematica della commistione tra imperialisti USA, Vaticano e organizzazioni criminali che dal 1948 regge il nostro paese. Un sistema di potere fragile, sempre più scosso dalla crisi generale che dalla metà degli anni ’70 affligge il sistema capitalista e sempre più distante dalle masse popolari.
Le sue caratteristiche particolari e anomale, rendono il nostro paese l’anello debole del sistema imperialista mondiale, quello che più facilmente può cadere e contribuire a spezzare la catena. Questo uno degli aspetti di comprensione del corso delle cose con cui i comunisti italiani possono riprendere il cammino dopo l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e condurre la rivoluzione socialista alla vittoria, riscattando e vendicando la memoria di Peppino Impastato e dei tanti comunisti vittime della persecuzione portata avanti dalle classi dominanti.
1 L’organizzazione Gladio era un’organizzazione paramilitare, frutto di una intesa tra la CIA ed i servizi segreti italiani, nell’ambito dell’operazione Gladio, organizzata per contrastare una possibile invasione nell’Europa occidentale da parte dell’Unione Sovietica e dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia, ma in particolare della non-allineata Jugoslavia titina, attraverso atti di sabotaggio, guerra psicologica e guerriglia, con la collaborazione dei servizi segreti e di altre strutture.
L’esistenza di Gladio fu riconosciuta il 24 ottobre 1990 dal Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che parlò di una «struttura di informazione, risposta e salvaguardia».