Torino. Lo sciopero generale del 12 aprile per il futuro di Mirafiori

Il 12 aprile a Torino si è svolto lo sciopero generale dei metalmeccanici promosso unitariamente dai sindacati di regime presenti in Stellantis (Fiom, Fim, Uilm, Uglm, Fismic e Aqcf) contro la smantellamento di Mirafiori e conseguentemente del suo indotto e per il rilancio della storica filiera dell’automotive torinese.

La mobilitazione dimostra che negli stabilimenti Stellantis il fuoco cova sotto la cenere. Dopo lo sciopero spontaneo di febbraio, in cui 300 lavoratori di Mirafiori hanno bloccato per un’ora la strada immediatamente dopo la comunicazione dell’ennesimo mese di cassa integrazione, lo sciopero unitario programmato ad aprile è sintomo della necessità di dare risposta alle spinte all’organizzazione provenienti dal basso: una parte importante dei lavoratori di Mirafiori non è, infatti, rassegnata allo smantellamento dell’azienda in corso da anni, smantellamento che con il passaggio a Stellantis ha subito una forte accelerazione.

Il fuoco che cova sotto la cenere ha costretto a portare in piazza la questione e ad allargare il ventaglio delle adesioni alla mobilitazione: dall’Arci alla Curia fino alle istituzioni comunali e regionali.

Il sindaco di Torino, Lo Russo (Pd), e il governatore della Regione Piemonte, Cirio (Fi), vi hanno preso parte con la faccia tosta che contraddistingue i politicanti borghesi. La loro partecipazione, con tanto di gonfaloni istituzionali, non coincide con la pratica che fin qui hanno seguito, che si è limitata al prostrarsi a Stellantis e a farsi selfie con il suo amministratore delegato Tavares. La loro presenza è stata giustamente contestata a causa delle loro posizioni ambigue e della loro sudditanza ai vertici di Stellantis.

I sindacati di regime, e a ruota i giornali, parlano di 12 mila partecipanti, un numero sostanzialmente pari ai dipendenti del gruppo Stellantis del torinese. I nostri corrispondenti parlano, invece, di una mobilitazione sì importante e partecipata, ma ben al di sotto dei numeri dichiarati.

Perché questa difficoltà a mobilitare i lavoratori di Stellantis e dell’indotto sul futuro dello stabilimento e del loro posto di lavoro?

Le richieste sindacali alla base dello sciopero sono di riportare la produzione di Mirafiori ad almeno 200 mila veicoli l’anno e di dare seguito alle promesse di rilancio di Mirafiori che la dirigenza di Stellantis ha profuso a piene mani.

I lavoratori, però, ne hanno abbastanza delle chiacchiere! La realtà che vivono quotidianamente mostra la debolezza e la vacuità di queste richieste e spiega pienamente perché la partecipazione alla mobilitazione non è stata così grande come i sindacati di regime e la stampa vogliono far credere.

I sindacati di regime hanno preparato uno sciopero e una manifestazione che servissero a contenere le spinte a mobilitarsi che serpeggiano fra i lavoratori e che fossero una carta da giocare nella trattativa con Stellantis per indurre la proprietà a essere ragionevole e a dare qualcosa da produrre anche ai lavoratori italiani. Ma l’obiettivo di Stellantis è utilizzare i lavoratori italiani come merce di scambio per ottenere nuovi incentivi e poi continuare con lo smantellamento e la speculazione, come da consolidata tradizione della famiglia Agnelli-Elkann!

La realtà dei fatti è stata, invece, la base su cui il Partito dei Carc ha poggiato il suo intervento nel corteo. Nel volantino diffuso si sottolineava soprattutto l’inerzia e la subordinazione delle istituzioni e dei vertici sindacali, così come il fatto che le chiacchiere sulla produzione di nuovi modelli o sulla possibilità del subentro di nuovi capitalisti sono imbrogli e illusioni. Questo perché ogni soluzione che prescinde dal modificare un sistema che lascia mano libera alle multinazionali italiane ed estere e alla speculazione dei fondi finanziari si rivelerà ben presto vana.

La storia delle varie crisi aziendali del nostro paese parla chiaro e anche la tenace lotta degli operai Gkn di Firenze mostra che un futuro per le aziende in via di smantellamento è, in definitiva, possibile solo se gli operai si organizzano e legano il loro destino a quello di tutto il paese. Serve una soluzione politica complessiva e il compito immediato è organizzarsi, fabbrica per fabbrica, per costruirla e imporla.

“Per salvare l’ex Fiat e il suo indotto occorre cambiare il paese. Vuol dire cacciare il governo Meloni, succube delle multinazionali e dei guerrafondai Usa-Ue. Vuol dire impedirne la sostituzione con un altro governo di larghe intese che prosegua con l’asservire il nostro paese ai traffici delle multinazionali. Vuol dire instaurare un governo che operi al servizio degli interessi dei lavoratori e delle masse popolari e non al servizio dei capitalisti alla Agnelli-Elkann, Tavares & Co., che traggono beneficio dalla chiusura e delocalizzazione delle fabbriche.

Organizzarsi e coordinarsi subito, fabbrica per fabbrica e reparto per reparto, a prescindere dalla tessera sindacale e dall’orientamento politico, tra quanti condividono questo obiettivo è il compito più urgente e immediato!” (dal volantino diffuso al corteo torinese)

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