Spesso abbiamo scritto articoli sul ruolo e il valore delle mobilitazioni organizzate dalla Cgil. É necessario tornare a parlarne, perché molti compagni svalutano e disertano queste mobilitazioni e molti altri sono tentati costantemente di farlo.
Di motivi per giustificare una simile condotta se ne possono trovare quanti se ne vogliono, la storia dei sindacati di regime degli ultimi quaranta e più anni ne offrono di molteplici. Ma per chi vuole dare il suo contributo a costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese o più semplicemente contribuire a costruire una prospettiva di riscossa per le masse popolari, astenersi dall’intervenire nelle piazze della Cgil equivale a una resa, all’abbandono di migliaia di lavoratori nelle mani di Landini, lasciando a lui l’iniziativa e il lusso di decidere cosa fare o non fare.
Questo ragionamento è valido sempre, ma lo è a maggior ragione in questa fase. Non viviamo episodi di rivolta generalizzata, ma molteplici sono i segnali, certo ancora slegati fra loro, di un sommovimento generale nel campo delle masse popolari per fare fronte agli effetti della crisi, alla spirale di guerra in cui la Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue sta trascinando il mondo e alle misure antipopolari (l’agenda Draghi aggravata dall’economia di guerra) del governo Meloni.
In questo contesto la campagna elettorale per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno (e le amministrative, laddove si terranno) sono un’occasione in cui il nemico di classe scopre il fianco e si acuiscono le contraddizioni fra le varie fazioni della classe dominante.
Dato questo scenario, le iniziative e le mobilitazioni che i vertici della Cgil stanno portando avanti sono contemporaneamente tre cose:
– un ingrediente della campagna elettorale del polo Pd delle Larghe Intese (quindi Pd e tutti i suoi cespugli, di cui i vertici della Cgil sono parte integrante);
– una possibilità di mobilitazione su ampia scala dei lavoratori e delle masse popolari contro il governo Meloni e contro il corso disastroso delle cose;
– una enorme potenzialità per trasformare la partecipazione a quelle manifestazioni in un’irruzione degli organismi operai e popolari nella campagna elettorale in corso.
La prima è ciò che i vertici Cgil e il Pd hanno pianificato e perseguono, le altre due sono potenzialità e possibilità su cui i comunisti possono e devono intervenire affinché si sviluppino.
Per parlare chiaramente, la collusione dei vertici Cgil con il sistema delle Larghe Intese che governa il nostro paese e la sua collaborazione nello smantellamento dei diritti e delle conquiste ottenuti dai lavoratori nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, sono dati di fatto indiscutibili.
Ma allo stesso tempo è un dato di fatto indiscutibile anche che la massa di iscritti alla Cgil è costituita da lavoratori e da una grossa fetta della classe operaia del nostro paese. Si tratta di gente che ha oggettivamente interesse a combattere i governi delle Larghe Intese per imporre un governo che attui le misure che (a parole) rivendica anche Landini.
Di fronte a questa natura e composizione, come devono porsi i comunisti e chi vuole realmente darsi i mezzi per cambiare e vincere?
Alla luce del sole tutto prende colore: chi vuole cambiare le cose deve essere quel sole che permette al colore di manifestarsi, di sviluppare le sue potenzialità.
Il discorso sul rapporto fra vertici sindacali e iscritti è valido anche per gli altri sindacati di regime, ma qui ci concentriamo sulla Cgil in virtù del suo ruolo politico particolare. Un ruolo politico che è dato principalmente proprio dalla composizione della sua base, che è fatta di lavoratori che spesso hanno la falce e il martello nel cuore e che aspirano (seppur in molti casi confusamente) a cambiare lo stato di cose presente.
Questo ruolo è dimostrato dal fatto che più la Cgil si instrada su un cammino di opposizione aperta al governo Meloni, nel solco di parole d’ordine politiche, maggiore è la partecipazione che riesce a promuovere. In questo senso, l’esempio eclatante viene dalla partecipazione popolare alla manifestazione “La Via Maestra” dello scorso 7 ottobre che ha visto scendere in piazza 200 mila persone sulla parola d’ordine “applicare la Costituzione”.
Applicare la Costituzione significa lavorare per dare al paese un governo che attui quello che i vari organismi operai e popolari sparsi in tutto il paese rivendicano. Attuare coerentemente queste rivendicazioni è darsi un programma politico, di governo: è quello che noi sintetizziamo con le sette misure del Governo di Blocco Popolare.
Per i comunisti e anche per i militanti delle organizzazioni sindacali di base, porsi in modo settario verso gli iscritti ai sindacati di regime è un grave errore. Anche quando questi ripongono cieca fiducia nei vertici delle loro organizzazioni, la loro collocazione di classe ci pone il dovere di intervenire su di loro: è la nostra gente.
É sbagliato, dannoso, confondere gli iscritti con i vertici della Cgil. Hanno fiducia in Landini? Bene, allora dobbiamo puntare a organizzarli e mobilitarli sulle stesse parole d’ordine che lui solleva, sviluppare la loro autonomia d’azione, dare le gambe a quanto Landini spara solo per fare la voce grossa.
Il fattore rivoluzionario non è spararla più grossa di lui, ma sviluppare organizzazione e spirito di iniziativa. Questo emancipa realmente i lavoratori da una dirigenza parolaia e inconcludente. Dobbiamo contrastare la tendenza alla delega a cui i lavoratori sono costantemente educati e utilizzare la propaganda che i vertici sindacali sono costretti a fare per mantenere il loro ruolo, trasformandola in un programma di lotta, di organizzazione e di governo.