Editoriale

Organizzarsi e insorgere contro la barbarie

Viviamo in una situazione di straordinaria gravità e illudersi che si possa in qualche modo “tornare alla normalità” è sbagliato e apre le porte alla sicura disfatta del proletariato. Solo la classe dominante trae vantaggio da queste illusioni. È per questo che – con manovre per intossicare le coscienze, manipolare l’opinione pubblica e nascondere la realtà – investe tanto nell’assuefazione delle masse popolari alla barbarie di cui essa stessa è promotrice.
In Palestina è in corso un genocidio che si svolge sotto gli occhi delle “istituzioni democratiche” del mondo, dei governi, del Papa e del Vaticano, dell’Onu. Ma il massimo che ognuno di essi riesce a esprimere è costernazione e preoccupazione, ma senza nessuna azione concreta per porvi fine.
La barbarie è plateale e nessuno di coloro che avrebbe il ruolo e gli strumenti per porvi fine fa niente.
Anche i nazisti si fecero più scrupoli a condurre lo sterminio degli ebrei di quanto i sionisti se ne fanno oggi a sterminare il popolo palestinese.
I nazisti hanno costruito il grosso dei loro campi di concentramento lontano agli occhi dell’opinione pubblica, al punto che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, prendere atto della sistematica eliminazione di ebrei, comunisti, popolazioni rom, omosessuali e malati psichiatrici fu uno shock per l’opinione pubblica mondiale.
I sionisti no. Ostentano quello che stanno facendo, lo gridano al mondo e lo rivendicano. I soldati sionisti si mettono in posa e scattano foto mentre compiono massacri, i coloni sorridono fieri mentre chiudono con il cemento gli accessi all’acqua potabile dei villaggi palestinesi e attaccano i campi profughi.
La barbarie in diretta Tv serve a terrorizzare le masse popolari di tutto il mondo. E serve a infondere in loro impotenza e rassegnazione.

La normalizzazione della guerra è in pieno corso. Quando il governo Meloni dispone l’organizzazione delle “gite didattiche” nelle basi militari in cui sono stoccate – illegalmente – le bombe atomiche degli Usa (come è successo a Brescia, con gli studenti in visita alla base di Ghedi) o nelle caserme dell’esercito, quanto caldeggia stage di formazione in cui gli studenti imbracciano fucili oppure introduce nel programma scolastico la ginnastica militare, allora la fase in cui il governo dei padroni usa la scuola per formare gli operai da sfruttare si combina con la fase in cui il governo servo della Nato usa la scuola per arruolare carne da macello e da cannone.
E del resto, i giovani delle masse popolari questo devono essere: carne da cannone al fronte oppure carne da macello in un cantiere, in un capannone, in un magazzino o nel reparto di una fabbrica.
Ogni giorno, nella Repubblica Pontificia italiana, muoiono tre, quattro o cinque persone sul posto di lavoro. Ogni giorno fioccano articoli di giornale e moniti affinché “non succeda mai più”. Invece succede ogni giorno. Anzi, aumentano le vere e proprie stragi in cui i morti sono quattro, cinque o sei alla alla volta. Dalla Thyssen Krupp di Torino alla stazione di Viareggio, da Brandizzo a Suviana passando dal cantiere Esselunga di Firenze. Ma per le autorità e istituzioni sono solo “tragiche fatalità”.
Anche i sindacati di regime concorrono alla recita e, anzi, svolgono un ruolo di primo piano nel distogliere le masse popolari dalla lotta di classe: mazzi di fiori al posto di ore e giornate di sciopero e fiacchi presidi sotto le prefetture anziché picchetti, blocchi stradali e delle merci. Tentano di giustificarsi in qualche modo: si possono, forse, organizzare e mobilitare i lavoratori ogni volta che uno di loro muore per il profitto dei padroni, per la mancanza di controlli, per la corruzione, per il sistema degli appalti e dei subappalti? Significherebbe paralizzare le aziende e il paese…
La conclusione che tirano è, dunque, che i morti sul lavoro sono talmente tanti che bisogna imparare a conviverci.

Quando nel 2020 il mondo dei padroni è andato in panne per la pandemia, anche in Italia la propaganda di regime ha messo in piedi il suo teatrino al motto di “andrà tutto bene” e apologia della “resilienza”. Che non è andato tutto bene è evidente come anche il fatto che gli elogi alla resilienza erano solo un martellante invito ad adattarsi al mondo di merda che sarebbe venuto “dopo i lockdown” anziché a organizzarsi e mobilitarsi.

Viviamo in una situazione rivoluzionaria e rassegnarsi all’idea che la classe dominante possa in qualche modo mantenere il controllo della società e l’ordine costituito è sbagliato. Questa convinzione – campata per aria e ampiamente smentita dai fatti – ostacola lo sviluppo della lotta di classe e la convergenza delle numerose proteste, del malcontento e delle mobilitazioni nello sbocco politico che è possibile e necessario.
C’è un nesso fra l’opera di assuefazione alla barbarie che la classe dominante promuove verso le masse popolari e le resistenze del movimento comunista cosciente e organizzato ad assumere coscientemente e chiaramente l’obiettivo di imporre un governo di emergenza popolare come sbocco politico per le mobilitazioni delle masse popolari. È l’assuefazione alla sconfitta che il movimento comunista eredita dalla sinistra borghese.
Per decenni, a colpi di “meno peggio” e illusioni di riformare il capitalismo, la sinistra borghese ha sistematicamente minato la fiducia nel fatto che è possibile vincere.
Tuttavia, in tutto il mondo la classe dominante è seduta su un barile di polvere nera. E anche in Italia i vertici della Repubblica Pontificia e il governo Meloni sono seduti su un barile di polvere nera.
Il movimento comunista italiano e i promotori delle mobilitazioni e delle proteste delle masse popolari hanno davanti due strade.

“La prima è quella di lottare, anche tenacemente, contro il governo Meloni, alimentando l’ingovernabilità del paese nelle aziende, nelle scuole e università, ritorcendo contro il governo Meloni ogni tentativo autoritario di colpire con la repressione le masse popolari in lotta, animando campagne di mobilitazione e organizzazione città per città, quartiere per quartiere, per far fronte ai problemi che attanagliano le masse popolari fino a cacciare questo governo e lo stuolo di scimmiottatori del fascismo riciclati che lo compongono.
Questa strada è giusta e necessaria per assestare un duro colpo ai vertici della Repubblica Pontificia che ripongono fiducia nel governo Meloni affinché prosegua più speditamente l’attuazione dell’agenda Draghi. Ma questa strada è monca, non indica dove andare, a cosa miriamo in prospettiva.
Cacciare il governo Meloni senza porsi il problema di quale alternativa di governo costituire, vuol dire consegnare il paese nuovamente nelle mani del polo Pd delle Larghe Intese o di qualche governo tecnico e di funzionari scelti dai vertici della Repubblica Pontificia.

La seconda è quella di cacciare il governo Meloni e costituire un governo d’emergenza popolare: un governo sostenuto dalle organizzazioni operaie e popolari, già presenti in gran numero in tutto il nostro paese, un governo deciso ad attuare tutte quelle misure che nessun governo espressione dei partiti delle Larghe Intese attua, come la messa in sicurezza del territorio attraverso le centinaia di piccole opere necessarie a impedire le stragi dovute agli eventi climatici estremi; la messa in sicurezza delle aziende per far fronte agli omicidi padronali nei luoghi di lavoro; il blocco dell’esportazione di armamenti; l’interruzione per decreto di tutti gli accordi pubblici e segreti di cooperazione militare, industriale, scientifica e accademica che i governi delle Larghe Intese hanno stipulato nel corso degli anni con aziende, agenzie e istituti dello Stato sionista d’Israele” – da Saluto del (n)Pci all’Assemblea Nazionale “Mobilitiamoci contro il governo Meloni” promossa da Potere al Popolo! – 17 aprile 2024.

Entrambe le strade sono concrete. Ma solo la seconda dà sbocco politico alle principali rivendicazioni delle masse popolari, alimenta il protagonismo degli organismi operai e popolari e la mobilitazione rivoluzionaria. Soltanto la seconda permette di combinare il fatto che viviamo in una situazione di straordinaria gravità con il fatto che viviamo in una situazione rivoluzionaria.

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