Riportiamo uno stralcio dell’intervista ai lavoratori dell’Industria Italiana Autobus (IIA), ex BredaMenarinibus di Bologna, pubblicata integralmente sul nostro sito.
L’intervista tocca vari argomenti a partire dalla crisi che vive questa fabbrica, nata dalla fusione con quella che fu la Irisbus. Attualmente l’azienda è per una quota di Invitalia (40%), per una quota di Leonardo (30%) e per una quota dell’azienda di autobus turca Karsan (30%): quindi, è principalmente un’azienda pubblica.
L’intervista illustra la storia dell’azienda, l’organizzazione che i lavoratori hanno creato negli anni e denuncia le trame e le connivenze del sistema politico e sindacale bolognese, storicamente a guida prima Pci, poi Pds e infine Pd, che hanno portato al degrado di un sito produttivo che fu d’eccellenza.
Nello stralcio si mette in luce, in particolare, il ruolo che questa fabbrica potrebbe avere in una reale e seria transizione ecologica e come i lavoratori abbiano le idee chiare in proposito: saprebbero, infatti, pianificarne la realizzazione, se solo fossero messi nelle condizioni di farlo. Emerge anche con chiarezza come, al contrario, non si facciano alcuna illusione sulle promesse green fatte dai padroni e dai loro tirapiedi.
***
Parliamo del legame fra aziende e territorio, del fatto che voi potenzialmente potreste produrre autobus meno inquinanti in questa fase storica in cui l’attenzione verso l’ambiente è davvero importante. Come leggere questa contraddizione?
La contraddizione è evidente. Abbiamo un veicolo elettrico che già circola in qualche città (e in questo momento siamo completamente presi dalla “elettrificazione” delle altre tipologie di veicoli).
È un prodotto concepito in uno stabilimento fatiscente dove l’attenzione per le condizioni di lavoro, di vita e di benessere dei lavoratori è ai minimi storici. Bologna ha un grande stabilimento di cui tre quarti praticamente non utilizzato. Le lavorazioni sono state concentrate in alcuni capannoni mentre gli altri vanno in malora o sono comunque in cattivo stato. Non abbiamo, ad esempio, un pannello fotovoltaico anche se avremmo delle superfici idonee per produrre energia. Abbiamo perdite di acqua in ogni bagno.
Se produciamo in questa maniera, dove sta il beneficio per l’ambiente e il territorio?
Ce lo siamo mangiati con la scarsa attenzione ai lavoratori, con la scarsa attenzione ai fornitori e con condizioni oggettive di produzione che determinano uno spreco continuo. (…) Non avere una politica nazionale del trasporto pubblico è assurdo. Questo al momento lo si delega alle regioni, che lo delegano alle province, che lo delegano ai comuni dove hai ogni piccola azienda municipalizzata che si inventa il suo veicolo. L’autobus che gira a Bologna non può girare a Modena perché non riesce a collegarsi con la rete di controllo delle flotte, non gira a Milano, non può girare a Roma perché ognuno ha il suo sistema di verifica, di controllo, di bigliettazione. È una roba assurda a livello produttivo.
Ed è solo un modo per mantenere clientele e piccole amicizie molto subdole in ambito locale e oltre. Tutta questa frammentazione non fa altro che mantenere in piedi il malaffare.
Siamo stati all’assemblea aperta sulla Menarini organizzata dal sindacato il 5 febbraio scorso in Salaborsa dove hanno partecipato non soltanto il Comune ma anche l’assessore regionale Colla e tutti i sindacati schierati. Erano arrivate voci che Leonardo stava trattando con un gruppo che acquisisse la sua quota totale (Gruppo Seri, ndr). Un gruppo ritenuto non particolarmente affidabile perché già in passato, in situazioni del genere, si era dimostrato tale, nel senso che era arrivato, aveva comprato e poi aveva dismesso.
Abbiamo sentito i proclami del sindaco Lepore sul fatto che la destinazione d’uso dell’area sulla quale nasce la Menarini è a uso industriale e che, quindi, non verrà mai modificata, a garanzia dei lavoratori. Lì è scattato un applauso, ma forse era da fare una pernacchia perché, insomma, il vincolo che c’è nel piano comunale è un vincolo che può essere messo o tolto da chiunque. Il governo di Bologna è sempre stato di una certa parte (tranne, forse, la parentesi Guazzaloca) e di cambiamenti di destinazione d’uso nel piano regolatore ne abbiamo visti a centinaia, comprese le villette nate nei parchi.
Poi c’è stata la richiesta di tutti i soggetti – politici, amministratori e sindacati – di mantenere comunque una componente pubblica di maggioranza nell’assetto societario, come garante.
Siccome l’azienda ha scarsi margini di profitto, ha problemi a stare in piedi e a garantire i fornitori, allora anche il privato che adesso entrerebbe potrebbe avere queste difficoltà e loro vogliono dare la garanzia che alla fine i soldi ce li metterà il pubblico, cioè noi. Questo è quello che dichiarano i nostri amministratori.
Allora bisogna dire esattamente il contrario, ovvero che il socio privato non ci deve stare e che deve essere tutto pubblico, ma non il pubblico che fa la guerra e che fa le armi, ma un pubblico pulito: che ci deve essere un consorzio con le aziende di trasporto pubblico.
Questi nuovi soggetti, che adesso vogliono entrare, vengono perché c’è in arrivo una quantità di finanziamenti per la “transizione ecologica”. È una quantità di denaro che non si è mai vista. Quindi arrivano come avvoltoi questi che si fanno improvvisamente imprenditori illuminati soltanto per mettere le mani su questo denaro, che è un denaro facile, del quale non dovranno rispondere, e poi lasceranno l’azienda nei prossimi anni esattamente nella situazione in cui l’hanno trovata, anzi peggio, e diranno: “abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare ma, purtroppo, non ci siamo riusciti”.
Dovrebbe, invece, nascere un’azienda pubblica che mette insieme il produttore, i destinatari del servizio (che sono i cittadini) e le aziende che erogano il servizio.
Questo crea un circolo virtuoso che garantisce tutti i soggetti: condizioni decorose e tempi di lavoro adeguati per i lavoratori; aziende del Tpl (trasporto pubblico locale, ndr) che danno un servizio ai cittadini invece di fare finta di darlo; veicoli che vengono venduti al giusto prezzo; ricavi che vengono reinvestiti nelle attività. Nessuno si mette in tasca niente di più di quello che è il suo legittimo stipendio e i cittadini non pagano il biglietto del trasporto pubblico perché se lo sono già pagati con le loro tasse.
È questo che il sindacato dovrebbe chiedere, secondo noi. Invece, si continua ad alimentare piccoli, grandi e grandissimi delinquenti. Questa dovrebbe essere la battaglia operaia e sindacale, quella per avere un servizio pubblico. È un bene pubblico? Pubblica deve essere la battaglia.