50° anniversario della strage di Piazza della Loggia

Il 28 maggio ricorre il 50° anniversario della strage di Piazza della Loggia a Brescia, un episodio che rientra a pieno titolo nelle manovre eversive e stragiste dei vertici della Repubblica Pontificia, con la particolarità di essere un vero e proprio atto di guerra contro la classe operaia italiana.
Per motivi di spazio riportiamo solo alcuni stralci di un testo scritto nel 2022 da Dino Greco, responsabile della formazione del Prc. Ha il pregio di inquadrare perfettamente e chiaramente il contesto, gli obiettivi e la portata della strage.
Nel testo sono ben indicate le responsabilità dirette del padronato bresciano e le connivenze con le organizzazioni neofasciste. I processi, un troncone è ancora in corso, faranno emergere soprattutto i depistaggi e le coperture di cui mandanti ed esecutori hanno goduto. E un filo nero che porta al Comando Nato di Verona.

***

Per capire cosa sia stata la strage di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 è indispensabile fare un passo indietro di alcuni anni. (…) Il 20 maggio 1970 entra in vigore lo Statuto dei diritti dei lavoratori. (…), ma non piove dal cielo. Esso è il frutto di una straordinaria stagione di lotte operaie.
(…) Il movimento operaio che era stato protagonista di quella impetuosa stagione non si ferma. E realizza forme inedite di rappresentanza sindacale che prevedono un intreccio di democrazia diretta e democrazia delegata e rimodellano lo stesso rapporto fra sindacato esterno e rappresentanza interna. Nascono i consigli di fabbrica. (…)
Questa potente iniezione di democrazia, che sorge direttamente dalla base, diventa l’elemento propulsore, direi scatenante, di una capillare vertenzialità quale non si era mai vista in precedenza.
I padroni non mandano giù il rospo e ogni vertenza produce uno scontro di grande durezza.
Prima ancora di guadagnare il tavolo di trattativa occorre fare riconoscere come interlocutori del negoziato i consigli di fabbrica. Davanti ai cancelli si consumano veri e propri corpo a corpo, con i crumiri e con i fascisti che appaiono sempre più frequentemente sulla scena, sistematicamente spalleggiati dalla polizia e dai carabinieri. Non solo, ormai, davanti alle fabbriche metalmeccaniche, ma anche davanti a quelle tessili, dell’abbigliamento e calzaturiere dove sono le donne a guidare e sostenere le battaglie più dure.

I padroni non ci stanno: “Bisogna fermarli. A qualsiasi costo”

I padroni bresciani si riorganizzano, si moltiplicano le riunioni di associazione nelle quali essi manifestano tutta la propria rabbia per quella che chiamano un’usurpazione, una violazione della proprietà privata, la fabbrica divenuta teatro di un conflitto di potere quotidiano. Un sentimento si fa strada sempre più acuto nel padronato: “Bisogna fermarli. A qualsiasi costo”.
Torna a galla “il marcio di Salò”, la parte più intrisa di fascismo, strutturalmente ostile al sindacato, abituata a trattare con il bastone i rapporti sociali.
Giorgio Almirante viene sistematicamente a Brescia: a Nave, a Lumezzane, sul Garda. Qui si incontra con gruppi di imprenditori, soprattutto siderurgici, garantendo loro sostegno attivo. Vengono assunte squadre di picchiatori fascisti (all’Idra di Pasotti, alla Fenotti & Comini, alla Palazzoli) con il solo compito di intimidire i lavoratori.

I prodromi della strage

Dal 1970 in avanti è un crescente stillicidio di attentati alle sedi sindacali, del Pci e del Psiup; si moltiplicano gli agguati a militanti di sinistra, militanti del movimento studentesco vengono aggrediti da gruppi di fascisti che fanno capo a Ordine Nuovo.
Inutilmente il Comitato Unitario Provinciale Antifascista (Cupa) interviene presso prefetto e questore per chiedere un intervento nei confronti di organizzazioni di cui si conoscono perfettamente nomi e intenzioni. È sempre più chiaro che i fascisti contano di simpatie, connivenze, quando non aperto sostegno negli organi istituzionali e di polizia.
Dieci giorni prima della strage un fascista, Silvio Ferrari, salta in aria con il suo scooter mentre trasporta un ordigno destinato a un attentato.

28 maggio 1974: la strage

Nei giorni immediatamente successivi viene proclamata dal Cupa una manifestazione antifascista a cui il sindacato aderisce unitariamente proclamando per quel giorno uno sciopero generale di 4 ore che si svolge sotto una pioggia battente.
Alle 10:12, mentre è in corso il comizio, sotto il portico adiacente alla piazza, esplode la bomba: alla fine saranno 8 i morti e 108 i feriti. Muoiono sei insegnanti, l’intero gruppo dirigente della Cgil scuola che si era dato appuntamento nei pressi del cestino dei rifiuti dove era stato deposto l’ordigno per discutere di una iniziativa per sostenere la gratuità dei libri di testo. Muoiono dilaniati anche due operai e un pensionato, ex partigiano.
Di tutti gli eccidi perpetrati nel corso della strategia della tensione, quello di Brescia è il più direttamente rivolto contro i lavoratori. Questa volta non viene scelto un luogo neutro (una banca, un treno, una stazione) dove sparare nel mucchio per creare terrore. L’obiettivo questa volta è esplicito e diretto: il nemico dichiarato è il movimento operaio. (…)

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