Il 28 e 29 marzo si è tenuta ad Amsterdam, organizzata dal Fronte Nazionale Democratico delle Filippine (FNDF), la “Conferenza teorica sulle crisi economiche dell’imperialismo”. Il documento di convocazione è disponibile sul sito del FNDF a questo link.
Quasi cento i presenti in rappresentanza di partiti comunisti e organizzazioni antimperialiste e democratiche, provenienti da 12 paesi: Filippine, Italia, India, Australia, Svezia, Belgio, Spagna, Germania, Nepal, Turchia, USA e Canada. Tutti organismi con un particolare ruolo nella rinascita del movimento comunista internazionale. Questa è la seconda conferenza internazionale organizzata in pochi mesi dai compagni filippini, dopo quella di ottobre 2023 su imperialismo e guerra, ed è espressione del loro impegno per favorire il dibattito franco e aperto, strumento essenziale ed espressione della rinascita del movimento comunista internazionale in corso. Il dibattito franco e aperto è strumento ed espressione da sempre dei salti in avanti del pensiero comunista nel suo corso secolare, dai tempi di Marx e di Engels, ai tempi di Lenin e di Stalin, fino ai tempi di Mao Tse tung. Oggi come allora siamo alle soglie di un grande salto in avanti del movimento comunista e noi ne siamo testimoni e attori.
La Conferenza è stata una espressione di questo salto. In essa si sono espresse le posizioni che i vari partiti e organizzazioni comuniste hanno assunto dopo l’intervento della Federazione russa in Ucraina in risposta all’aggressione della NATO iniziata nel 2014 dopo le stragi di Odessa e di piazza Maidan a Kiev. Nel movimento comunista ci sono vari partiti e organizzazioni secondo i quali la guerra in Ucraina non è una risposta della Federazione russa alla NATO, ma una guerra tra gruppi imperialisti, da un lato quelli USA, europei e sionisti dei quali la NATO è braccio militare e dall’altro la Federazione russa, che sarebbe uno Stato imperialista (come lo sarebbe la Repubblica Popolare Cinese) in guerra non per difesa, ma per mire espansionistiche. Sono due tesi assolutamente contrapposte. Il Partito dei CARC è intervenuto a sostenere la prima tesi e legarla al tema in discussione, quello della crisi. La guerra in Ucraina è determinata dallo sviluppo della crisi economica, che è crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e che ha come soluzioni possibili e alternative soltanto la rivoluzione socialista o, appunto, la guerra. La prima è la soluzione verso cui marciano la classe operaia, le altre classi delle masse popolari e i popoli oppressi dall’imperialismo, con alla testa i partiti comunisti dei vari paesi, la seconda è la soluzione verso cui la borghesia imperialista spinge.
Cosa c’entra la guerra con la crisi? Trattare della crisi, tema di questa Conferenza, significa dare spiegazione scientifica della guerra in Ucraina: la borghesia imperialista spinge verso la guerra perché è portata a farlo dal movimento oggettivo della crisi. Sbagliano quelli che ritengono che la guerra sia causata dalla volontà soggettiva di gruppi imperialisti contrapposti, ciascuno dei quali mirerebbe a togliere terreno all’altro, entrambi spinti da una sorta di “volontà di potenza”. Il movimento oggettivo della crisi è soggettivo solo ed esclusivamente nel senso che o prevale la direzione della classe operaia diretta dal suo partito comunista, e allora termine della crisi è la rivoluzione socialista, o prevale la direzione della borghesia, e allora si ha la guerra.
La tesi portata dai compagni del P.CARC e illustrata nel documento del (n)PCI, letto dai compagni del P.CARC, era una tesi nuova per i presenti e, nonostante fosse minoritaria, ha generato molto interesse e molta attenzione,
- perché ha il pregio di essere concreta: mostra gli elementi opposti di un fenomeno a fronte delle altre che si perdono nell’opinione secondo cui “tutti sono imperialisti”, gli USA con la Comunità internazionale che li segue, la Russia, la Cina, l’India, il Brasile e differirebbero tra loro solo per quantità, cioè per il “grado di imperialismo”, maggiore negli uni, minore negli altri,
- soprattutto perché indica cosa fare: l’alternativa è o rivoluzione o guerra, e pone in primo piano la necessità di fare la rivoluzione socialista nel proprio paese, in primis nei paesi imperialisti, quindi, per noi, in Italia. Questa è stata l’affermazione applaudita con maggior calore dall’intera platea e recepita da singoli compagni che ci hanno personalmente detto che la condividevano.
È stato un dibattito franco e aperto quale nel movimento comunista internazionale non si vede spesso. Questo è un ottimo segnale di quanto andiamo sperimentando nei vari campi del nostro lavoro nel nostro paese: il periodo di nera reazione iniziato con la caduta dell’URSS e protrattosi a lungo, è giunto al termine, le masse popolari si mobilitano in tutto il mondo, il nuovo movimento comunista si fa avanti con determinazione e fiducia. La ripresa del dibattito su tutto questo è un aspetto e una manifestazione positiva. Questo è ciò che noi compagni del P.CARC abbiamo capito e sentito dalle reazioni alle relazioni nostre, che abbiamo tratto dagli incontri bilaterali svolti con dirigenti del movimento comunista delle Filippine, del Canada, degli USA e da scambi a livello personale. La posizione che la Carovana del (n)PCI ha costruita in vent’anni di lavoro internazionale è solida e in grado di fissare e attuare le linee di sviluppo che si sono aperte. Tutto favorisce l’attuazione del compito che ci spetta: fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista, fare dell’Italia un nuovo paese socialista, sostenere la nascita di partiti comunisti maoisti negli altri paesi imperialisti a partire dagli USA, sostenere i paesi socialisti che già esistono, sostenere la lotta delle masse popolari e dei popoli dei paesi oppressi dall’imperialismo. Questo noi compagni italiani abbiamo detto nella conclusione della Conferenza in risposta alle molte domande che ci sono state rivolte. Questa fiducia abbiamo trasmesso ai tanti che ci ascoltavano con mente aperta e con la curiosità di conoscere le tesi che la Carovana ha elaborato nel corso di decenni di lavoro. Questa fiducia si è rafforzata in noi compagni del P.CARC impegnati in questa impresa e avviati sulla strada che va fino alla vittoria.
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Contributo del Partito dei Carc alla “Conferenza Teorica Internazionale sulla crisi nell’epoca imperialista” promossa dal Fronte Democratico Nazionale delle Filippine (FDNF)
La crisi attuale è crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. iniziata a metà degli anni ’70 del secolo scorso e dal 2008 entrata nella sua fase acuta e terminale. È una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale: a livello mondiale e considerando tutti i settori produttivi, il capitale accumulato è tanto che, se i capitalisti lo impiegassero tutto nelle loro aziende che producono merci, estrarrebbero una massa di profitto inferiore a quella che estraggono impiegandone solo una parte. Quindi la crisi attuale ha la sua fonte nelle attività produttive (l’economia reale), cioè nella struttura della società (in questo senso è una “crisi strutturale”). Siccome il capitale esiste sotto forma di denaro, condizioni della produzione (tecnologie, materie prime, reti di comunicazione e scambio, ecc.), mezzi di produzione, merci e forza lavoro, sovrapproduzione assoluta di capitale significa che tutte queste forme di capitale esistono in quantità superiore a quella che la borghesia può impiegare con profitto nella produzione di merci, quindi restano inutilizzate, cioè vi è sovrapproduzione di ognuna di esse.
È una crisi generale: comprende la crisi economica per sovrapproduzione assoluta di capitale, che è il suo aspetto dirigente, la crisi politica (degli istituti, degli ordinamenti e delle relazioni politiche interne e internazionali) e la crisi culturale (intellettuale, morale) che sono gli aspetti derivati, dialetticamente legati all’aspetto dirigente; la crisi ambientale, generata anch’essa dal capitalismo, si è aggiunta alla crisi generale e ne è diventata una componente e un’aggravante. Quindi la crisi attuale riguarda tutto il sistema di relazioni sociali e il sistema delle relazioni internazionali (in questo senso è una “crisi sistemica”).
È la seconda crisi generale del capitalismo: l’umanità si è già trovata una volta in una situazione simile all’inizio del secolo scorso, nel periodo 1900-1945, e ne è uscita con la prima ondata della rivoluzione proletaria che ha portato alla creazione dei primi paesi socialisti e con due Guerre mondiali, cioè con una combinazione di eliminazione del capitalismo in alcuni paesi e distruzione delle forze produttive in quantità tali da permettere la ripresa dell’accumulazione capitalista in altri (e non con le riforme economiche keynesiane o con il New Deal di Roosevelt).
Nei trent’anni che abbiamo alle spalle, non potendo investire tutto il capitale accumulato nella produzione di merci, la borghesia ha ricercato freneticamente altri campi di investimento del capitale.
Negli anni ’70 e ’80 il capitale accumulato in eccesso è stato riversato principalmente in prestiti imposti ai paesi oppressi e poi, di fronte all’impossibilità da parte di questi ultimi di pagare interessi, rate e commissioni, nelle concessioni sullo sfruttamento delle risorse naturali e nell’acquisto di industrie e servizi pubblici di questi paesi (piano Brady e simili), quindi nella ricolonizzazione in particolare dei paesi africani e asiatici. Combinati con questo principale campo di sfogo del capitale in eccesso, ve ne sono stati altri ausiliari e complementari, tra cui particolarmente importante è stata la privatizzazione delle industrie, dei servizi e dei beni pubblici nei paesi imperialisti. Questo periodo è stato segnato da una serie di crisi economiche dal 1973 al 1992 e dalla bolla dell’economia giapponese terminata nel collasso del 1989.
b) Negli anni ’90 e nei primi anni del nuovo secolo il capitale in eccesso ha trovato sfogo principalmente nella globalizzazione, nelle fusioni e aggregazioni che hanno creato grandi imprese produttive monopolistiche mondiali, nello sviluppo della finanziarizzazione, nelle grandi opere speculative e, soprattutto e infine, nello sviluppo gigantesco delle attività speculative con cuiil denaro crea nuovo denaro.
Questo secondo periodo è segnato dalle crisi economiche del 1997, del 1999 e del 2001 (scoppio della bolla della “new economy” costituita dalle imprese dell’informatica), dall’intensificarsi del riarmo, dall’espansione della rete di basi militari USA, NATO e sioniste, dalle operazioni di destabilizzazione e promozione di guerre civili (in particolare in Africa), da varie guerre di aggressione imperialista, in Iraq, Jugoslavia, Somalia, Afghanistan.
Contemporaneamente la borghesia ha ridotto le conquiste di civiltà e di benessere che i lavoratori e le masse popolari dei paesi imperialisti le avevano strappato nell’ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria e trasformato in imprese finanziarie le istituzioni connesse a quelle conquiste, cioè pensioni, assicurazioni, assistenza sanitaria, istruzione, ecc.. Ha spostato a vantaggio del capitale produttivo di merci e del capitale finanziario i termini della ripartizione del valore prodotto, diminuendo la parte attribuita alle masse popolari. Ha finanziato sempre più le spese pubbliche con il debito pubblico anziché con le imposte, ampliando il campo di attività del capitale finanziario. Parallelamente ha eliminato le misure prese nel corso della prima crisi generale per limitare le manovre monetarie, come gli Accordi di Bretton Woods, e la speculazione finanziaria e ha mosso da un angolo all’altro del mondo denaro, capitale finanziario e capitale produttivo di merci con libertà illimitata.
In questo modo la borghesia imperialista ha rimandato e attenuato la caduta delle attività produttive di merci e, nello stesso tempo, ha creato le circostanze e le forme della crisi attuale.
Nel 2008, con la crisi finanziaria iniziata negli USA, la seconda crisi generale è entrata nella sua fase terminale, caratterizzata dalla combinazione permanente della crisi finanziaria con la crisi economica. Le attività finanziarie e speculative si sono gonfiate a un punto tale che sono in uno stato convulsivo cronico, lo sconvolgimento sistematico delle istituzioni finanziarie e monetarie si riversa sulle attività produttive di merci provocandone la riduzione rapida e catastrofica con conseguente aumento dei disoccupati, fallimento degli artigiani e dei lavoratori autonomi, aumento della precarietà, riduzione dei salari, esaurimento dei risparmi e indebitamento crescente, riduzione delle entrate della pubblica amministrazione con imposte, tasse, tariffe, ecc., riduzione delle prestazioni sociali (assistenza sanitaria, istruzione, servizi pubblici, sussidi, ecc.) e, per le imprese, caduta delle vendite, aumento delle giacenze di magazzino, indebitamento, taglio dei salari, licenziamenti.
Le misure prese dalle istituzioni finanziarie e politiche internazionali e dai governi dei singoli paesi dal 2008 a oggi hanno aggravato la crisi economica, peggiorato pesantemente le condizioni di vita e lavoro della massa della popolazione e accresciuto la devastazione dell’ambiente. Il grosso di queste misure hanno riguardato le manifestazioni della crisi in campo finanziario, in particolare a partire dal 2010 la speculazione sui titoli dei debiti pubblici della Grecia, poi dell’Italia, della Spagna, del Portogallo e dell’Irlanda e sono consistite in crescenti e ripetute iniezioni di soldi alle banche, alle società finanziarie, alle borse, ai loro clienti e agenti. Allo stesso modo di chi cerca di spegnere un incendio buttando benzina sul fuoco, queste misure non hanno fatto che accrescere la massa di denaro in mano a gente che non ha altro obiettivo che aumentarlo sempre di più, che quanto più ne ha e tanto più ne pretende, che più ne ha e più cerca di accrescerlo moltiplicando le attività speculative.
L’interpretazione della natura della crisi attuale è un campo della lotta di classe. Dall’interpretazione della natura e della causa della crisi attuale deriva anche la via d’uscita e la linea politica da seguire, allo stesso modo in cui la cura di una malattia dipende dalla diagnosi della malattia. Nella cultura dominante la crisi attuale viene correntemente considerata
– una crisi ciclica, cioè che rientra in un “normale” (salvo le dimensioni) alternarsi di cicli congiunturali e che, come tutte le crisi cicliche, prima o poi cesserà da sé, perché lo sconquasso del sistema produttivo, riducendo la capacità produttiva, crea le condizioni per la ripresa della produzione; quindi per le masse popolari e le loro organizzazioni si tratterebbe di stringere la cinghia in attesa di tempi migliori, al più di convincere o indurre i governi ad adottare politiche anticongiunturali, di “contenimento del danno”, con piani di spesa pubblica e ammortizzatori sociali. Questa interpretazione della crisi attuale è sostenuta anche da partiti ed esponenti politici che si dichiarano fedeli ai principi del movimento comunista, ma di fatto traspongono dogmaticamente nel presente l’analisi di Marx relativa alle crisi dei paesi capitalisti nella fase pre-imperialista (quando dominava la libera concorrenza tra molti capitalisti indipendenti) e trova un apparente fondamento nel fatto che anche nella fase di sovrapproduzione assoluta di capitale l’economia reale procede tra alti e bassi, a zig zag, conformemente alla natura anarchica del sistema produttivo capitalista;
– oppure una crisi finanziaria, dovuta al liberismo selvaggio, alla “deregulation” nelle attività finanziarie e bancarie, alla speculazione e alla globalizzazione o alla creazione dell’euro: la crisi ora si esprime anche in questi aspetti, ma ognuno di essi a sua volta è stato generato dalla necessità dei capitalisti di muoversi liberamente alla ricerca di mezzi per valorizzare il loro capitale che una parte importante di essi non trovavano più nelle aziende capitaliste; la soluzione consisterebbe nella regolamentazione del mercato finanziario, nei controlli sulle istituzioni finanziarie, nella tassazione delle transazioni finanziarie e per le masse popolari e le loro organizzazioni si tratterebbe di convincere o indurre i governi e le istituzioni internazionali ad introdurre regole e forme di controllo.
Entrambe queste interpretazioni della natura della crisi attuale hanno in comune che in definitiva o danno per possibile risolvere la crisi in modo sostanzialmente pacifico, ad opera delle stesse autorità e classi che ci hanno trascinato nella crisi, restando comunque nell’ambito di un capitalismo magari riformato e corretto o danno per scontato che la rivoluzione scoppi.
La soluzione della crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale implica invece uno sconvolgimento generale del sistema di relazioni all’interno di ogni paese e a livello internazionale per creare l’assetto di potere politico che
– all’azienda creata e gestita dal capitalista per aumentare il suo capitale, sostituisce l’unità produttiva costruita e gestita dai lavoratori organizzati che produce i beni e i servizi che i lavoratori organizzati riconoscono come necessari alla vita dignitosa della popolazione, al livello di civiltà che l’umanità ha oggi raggiunto
– al sistema di relazioni internazionali basato sulla concorrenza e la competizione tra paesi e gruppi industriali e finanziari, che inevitabilmente prima o poi sfocia nella guerra, sostituisce un sistema di relazioni internazionali basato sulla solidarietà, sulla collaborazione e sullo scambio tra paesi.
In sintesi, la soluzione della crisi attuale è l’instaurazione del socialismo e l’avvio della transizione al comunismo.
La fase terminale della crisi aggrava la crisi politica all’interno di ogni paese e a livello internazionale. All’interno di ogni paese cresconoil marasma politico, l’instabilità, l’ingovernabilità, è in caduta libera l’egemonia delle classi dominanti sulle masse popolari, cioè la loro capacità di orientarne le coscienze e controllarne e indirizzarne l’attività, è alle stelle la guerra intestina tra i gruppi borghesi.
In ogni paese imperialista la crisi generale allarga sempre più nettamente il solco che divide la società in due parti contrapposte: da una parte le masse popolari, composte da quelle classi che per vivere devono lavorare e riescono a vivere solo se riescono a lavorare (operai, dipendenti pubblici, disoccupati e precari, pensionati, lavoratori autonomi, piccoli proprietari, piccoli commercianti, ecc.); dall’altra la borghesia imperialista, composta da quelli che vivono del lavoro altrui e che, se lavorano, lo fanno solo per aumentare le proprie ricchezze (industriali, banchieri, affaristi e mafiosi, grandi funzionari, prelati di alto rango, esponenti politici borghesi, artisti e personaggi di successo della cultura borghese, ecc.).
La crisi aggrava la guerra di sterminio della borghesia imperialista contro le masse popolari in ogni angolo del mondo: è una guerra che provoca ogni anno decine di milioni di morti per fame, miseria, sfruttamento, guerre, malattie professionali, depressione, alcool e droga, inquinamento ambientale, incidenti sul lavoro, incidenti stradali, eventi naturali catastrofici prevedibili e contenibili quali terremoti, alluvioni, uragani, tsunami, ecc. Nessuna guerra nella storia dell’umanità ha mai fatto tante vittime quanto ne miete ogni anno questa guerra di sterminio, causata unicamente dal permanere del sistema capitalista e della dominazione borghese.
La crisi acuisce i contrasti tra gruppi imperialisti e il ricorso alla guerra come strumento per regolare i conti tra loro e con quanti ostacolano i loro interessi e affari o non accettano il loro dominio, per aprirsi la via allo sfruttamento delle risorse e delle masse popolari dei paesi oppressi ed ex-socialisti, per soffocare la rivolta dei popoli oppressi e per impedire la rinascita del movimento comunista. Sono guerre di aggressione imperialista anche se i gruppi imperialisti le presentano alle masse popolari dei propri paesi come guerre umanitarie, guerre contro i dittatori e per la libertà, guerre per la “pace” e per “esportare la democrazia”, ecc. e le fanno approvare dagli organismi internazionali che essi stessi e i loro Stati hanno creato: ONU, UE, NATO, ecc.
La fase terminale della crisi aggrava la crisi culturale. La borghesia nell’epoca imperialista ha smesso di svolgere un ruolo progressista è si è alleata con le residue classi feudali, in particolare con il clero e la Chiesa cattolica romana nella lotta contro il movimento comunista. A livello culturale ha via via abbandonato la promozione della ricerca scientifica e della comprensione della realtà fisica in cui viviamo, recuperando ogni forma di superstizione e credenza per affermare che il suo dominio corrisponde al “naturale ordine delle cose”. In forma ancora più grave agisce per impedire, distorcere o indirizzare in senso reazionario la ricerca e l’elaborazione della comprensione relative alla specie umana: agli individui e alla società.
La fase terminale della crisi aggrava ed estende questa tendenza. Il marasma economico con il suo portato di emarginazione, disoccupazione, precarietà e sfruttamento mette in crisi tutte le consuetudini, le certezze e i valori che si erano consolidati nel periodo del capitalismo dal volto umano nel campo delle masse popolari e con ciò favorisce il diffondersi tra le stesse masse popolari di comportamenti antisociali e autodistruttivi. Le idee, le concezioni, le convenzioni, le abitudini di un tempo non risultano più valide nella nuova situazione. Il movimento comunista non deve promuovere né tanto meno impersonare il rimpianto del passato, ma al contrario deve mettersi alla testa del cambiamento, elaborare, diffondere, radicare tra le masse popolari con l’esercizio e l’esperienza pratica idee, concezioni e comportamenti adeguati alla costruzione della rivoluzione socialista.
Le masse non riescono più a vivere come prima e, a loro modo, spontaneamente resistono, individualmente o collettivamente. Per evitare che questo si tramuti in organizzazione cosciente e mobilitazione rivoluzionaria la borghesia punta sempre più sul mantenere l’arretratezza politica e culturale delle masse con un articolato sistema di diversione ed evasione dalla realtà, di disinformazione e intossicazione dell’opinione pubblica. In questo modo cerca di impedire che le masse imparino ad assimilare e comprendere gli insegnamenti che l’esperienza diretta della crisi porta con sé e di evitare che da esse emerga un’avanguardia forte di una nuova coscienza e una nuova morale, che si renda sempre più autonoma dalla sua influenza.
Con un’attenzione particolare verso i giovani la borghesia fomenta quindi con tutti i mezzi l’individualismo estremo, il menefreghismo, la rassegnazione, il disimpegno e l’evasione; promuove ogni genere di vizio; alimenta paure, superstizioni e luoghi comuni verso le diversità quali il razzismo, l’omofobia ecc.; impoverisce i sistemi scolastici, dando spazio alla rivalutazione del fascismo e recuperando vecchie teorie reazionarie. La comprensione scientifica della realtà viene riservata ai rampolli della borghesia, quella che dovrebbe diventare la futura classe dirigente della società borghese, ripristinando integralmente il carattere classista della scuola. Non essendo in grado di impedire lo sconvolgimento delle loro vite e la loro mobilitazione, la borghesia, a livello morale e intellettuale, tenta di spingere le masse al livello di abbruttimento e ignoranza necessari per intrupparle al suo servizio nella mobilitazione reazionaria.
La crisi ambientale. Per la prima volta nella storia dell’umanità la crisi generale del capitalismo si combina con la crisi ambientale. Il capitalismo per sua natura deve espandere all’infinito la produzione e il consumo. Esso, quindi, ha saccheggiato la terra e modificato l’ambiente, per di più in modo caotico dettato dal profitto dei singoli capitalisti, dei singoli produttori di merci, dei singoli individui. L’inquinamento, la devastazione e il saccheggio dell’ambiente sono oramai giunti a un livello tale da mettere in pericolo la sopravvivenza della specie umana e del pianeta. Nella cultura corrente hanno corso varie proposte di soluzione della crisi ambientale, quali la green economy e la decrescita, soluzioni impraticabili e che in definitiva contribuiscono entrambe a disperdere la lotta per eliminare il sistema di relazioni sociali che genera inquinamento e saccheggio del pianeta. Condotte fino in fondo, invece, esse implicano l’instaurazione del socialismo: un nuovo sistema di relazioni sociali che sia contemporaneamente corrispondente alle esigenze delle masse popolari, democratico, ecocompatibile, adeguato alle forze produttive materiali e intellettuali oggi esistenti, corrispondente ai sentimenti e alle concezioni più avanzate.
La crisi ambientale confluisce con la crisi generale a rendere l’instaurazione del socialismo e la transizione al comunismo indispensabili per la sopravvivenza dell’umanità oltre che per il suo progresso. L’umanità ha tutte le forze materiali e tutte le conoscenze necessarie per porre fine alla crisi ambientale e per stabilire una nuova positiva relazione tra la specie umana e il resto della natura, diversa e superiore a quella che ha avuto lungo il corso della sua plurimillenaria evoluzione.
Quanto al presente, la tendenza alla guerra che la crisi genera ha la forma più avanzata nella guerra che la Comunità Internazionale dei Gruppi Imperialisti americani, europei promuove ed alimenta in Ucraina. Lo sviluppo della crisi rende netta l’alternativa tra mobilitazione rivoluzionaria e reazionaria, tra rivoluzione socialista e guerra, che o la rivoluzione socialista impedirà la guerra o la guerra genererà la rivoluzione. Già lo scontro in atto è manifesto oggi nella resistenza che le masse popolari e i popoli di tutto il mondo oppongono all’attacco della borghesia imperialista. Questa resistenza già si trasforma in attacco come è stato il 7 ottobre in Palestina. La trasformazione in attacco della resistenza spontanea delle masse popolari e dei popoli in tutto il mondo contro il procedere della crisi è il compito essenziale della Carovana del (nuovo)PCI di cui il Partito dei CARC è componente. L’appoggio a questa resistenza sta anche nel nome del Partito dei CARC, Comitati d’Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo. Trasformiamo la resistenza in lotta per il comunismo, per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire così alla rinascita del Movimento Comunista Internazionale e alla nuova ondata della rivoluzione proletaria.
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Contributo del CC del (nuovo)Partito comunista italiano alla “Conferenza Teorica Internazionale sulla crisi nell’epoca imperialista” (Amsterdam, 28-29.03.2024) promossa dal Fronte Democratico Nazionale delle Filippine (FDNF)
24 marzo 2024
Cari compagni,
il (nuovo)PCI plaude all’iniziativa organizzata dal FDNF sulla natura e l’origine della crisi del capitalismo nell’epoca imperialista.
Noi siamo alla vigilia di una svolta decisiva nella lotta che caratterizza l’epoca imperialista tra l’instaurazione del socialismo e la decadenza della società borghese. Siamo nel pieno di quei cambiamenti oggettivi indicati da Lenin come caratteristici di una situazione rivoluzionaria: “1. impossibilità per le classi dominanti di conservare il loro dominio senza modificarne la forma; 2. un aggravamento maggiore del solito dell’angustia e della miseria delle classi oppresse e 3. in forza delle cause suddette, un rilevante aumento dell’attività delle masse”. Lenin però avvertiva anche che la rivoluzione nasce solo da quelle situazioni rivoluzionarie in cui a questi elementi oggettivi si aggiunge una trasformazione soggettiva: “la capacità della classe rivoluzionaria di compiere azioni rivoluzionarie di massa sufficientemente forti da poter spezzare (o almeno incrinare) il vecchio regime, il quale, anche in periodo di crisi, non ‘crollerà’ mai da sé se non lo si ‘farà crollare’”. Solo le masse popolari possono dare soluzione alle contraddizioni in cui si dibattono, ma sono in grado di farlo solo sotto la direzione dei comunisti e a patto che questi abbiano una comprensione abbastanza avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e sulla base di questa la spingano avanti.
La comprensione della natura e dell’origine della crisi attuale è essenziale per i comunisti: da essa deriva la definizione della linea generale (strategia rivoluzionaria e tattiche) che il partito comunista deve seguire per condurre le masse popolari alla conquista del potere. È indispensabile in particolare per i comunisti dei paesi imperialisti. La rivoluzione socialista in questi paesi (almeno in uno o alcuni di essi) è la condizione per evitare una terza guerra mondiale dispiegata e per sollevare una nuova ondata della rivoluzione proletaria. Nei paesi imperialisti le masse popolari devono distruggere di loro iniziativa un ordine che le soffoca ma che sia pur malamente le nutre e costruire un nuovo sistema sociale che conoscono solo a grandi linee, che la borghesia denigra con mezzi raffinati e da cui cerca di distoglierle in mille modi. Quindi solo una scienza profonda del corso delle cose rende i comunisti di questi paesi capaci di capire quale percorso è possibile e necessario e di guidare le masse popolari a compierlo.
Oggi nel MCCO internazionale sono diffuse due tesi sbagliate su natura e origine dell’attuale crisi del capitalismo.
1. Che la crisi attuale è principalmente una crisi finanziaria: sono la finanza e i suoi disordini che sconvolgono l’economia reale. La finanziarizzazione dell’economia sarebbe causata dalla libertà d’azione che gli Stati hanno concesso a banche, fondi speculativi e monopoli eliminando o allentando regolamenti nazionali e internazionali.
2. Che la crisi attuale è fondamentalmente una crisi ciclica, come quelle analizzate da Marx e tipiche dell’epoca pre-imperialista della società borghese, caratterizzate dalla successione decennale di periodi di prosperità, sovrapproduzione di merci, contrazione e stagnazione dell’attività economica, ripresa di questa, dovute principalmente allo squilibrio tra domanda e offerta di merci e al carattere anarchico della produzione. La soluzione di queste crisi veniva dallo stesso movimento economico della società borghese. Con l’ingresso nell’epoca imperialista le crisi cicliche continuano ad esistere, ma perdono di importanza: diventano oscillazioni relativamente poco ampie tra periodi di sviluppo e periodi di depressione.
Entrambe queste tesi contribuiscono a mantenere buona parte del movimento comunista dei paesi imperialisti impantanato nelle deviazioni storiche dell’economicismo e dell’elettoralismo per condizionare l’azione dei governi borghesi in senso favorevole alle masse (“più Stato, meno mercato”, regolamentazione delle attività finanziarie, investimento in nuove tecnologie, aumento dei salari, ammortizzatori sociali, ecc.) nell’attesa che “scoppi una rivoluzione”, anziché mettere al centro la conquista del potere da parte della classe operaia e delle masse popolari organizzate e finalizzare consapevolmente a questo anche la promozione delle lotte rivendicative e la partecipazione alla lotta politica borghese. Farla finita con il disastro del capitalismo è una guerra popolare rivoluzionaria: non basta la moltiplicazione delle lotte rivendicative e la partecipazione alla lotta politica borghese accompagnate dalla propaganda del socialismo.
Nell’epoca imperialista il fenomeno determinante del movimento della società è la sovrapproduzione assoluta di capitale, di cui Marx aveva trattato nel libro III di Il capitale. Marx aveva illustrato sia che la sovrapproduzione assoluta (cioè non limitata ad alcuni settori, ma estesa all’intera economia) di capitale prima o poi sarebbe diventata il fattore determinante del corso delle cose, sia le misure a cui per loro natura i capitalisti avrebbero fatto ricorso per ritardare lo sbocco catastrofico di esso. Engels, e dopo di lui Lenin e Stalin, hanno compreso che il capitalismo era entrato in un’epoca nuova e individuato le caratteristiche economiche e politiche di essa, ma non le hanno connesse con la sovrapproduzione assoluta di capitale prevista da Marx. Questa lacuna ha contribuito a quei limiti che impedirono che il MCCO instaurasse il socialismo nei paesi imperialisti nel corso della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976). È significativo che i comunisti alla fine della Seconda guerra mondiale si aspettavano una ripresa della crisi economica, invece della ripresa dell’accumulazione di capitale. I revisionisti moderni sfruttarono l’errore di analisi della sinistra del movimento comunista a favore della loro tesi che le società borghesi erano entrate in una fase di stabile sviluppo progressista in campo economico e politico e dell’interpretazione del “capitalismo dal volto umano” (1945-1975) come segnale che i due sistemi sociali, capitalista e socialista, convergevano.
La crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale consiste nel fatto che il capitale risultante alla fine di un ciclo produttivo di merci è maggiore di quello che i capitalisti possono reimpiegare tutto con profitto nel ciclo successivo. Se lo impiegassero tutto, otterrebbero una massa di profitto uguale o inferiore a quella che hanno ottenuto nel ciclo produttivo concluso, quindi non lo fanno. I capitalisti impiegano diversamente il capitale-denaro con cui si ritrovano quando hanno venduto le merci prodotte dalle loro aziende. La frazione di capitale impiegata nella produzione e circolazione delle merci, sebbene ineliminabile, diventa secondaria ed è estremamente ridotta rispetto al complesso del capitale che i capitalisti devono valorizzare: nel 2013, secondo stime di BRI, FMI e BM, ammontava al 7% dell’intero capitale mondiale (75.000 miliardi $ su 1.070 miliardi $). Questa situazione genera crisi che pur nascendo dall’economia diventano generali, cioè investono ogni ambito della vita associata: politica, morale, cultura, ambiente. Nell’ambito del sistema di relazioni sociali capitaliste, esse trovano la loro provvisoria soluzione sul terreno politico, in uno sconvolgimento generale degli ordinamenti sociali a livello di singolo paese e del sistema di relazioni internazionali. L’instaurazione del socialismo e la costruzione del socialismo ad opera delle masse popolari dirette dai partiti comuniste sono in ogni paese la soluzione positiva e la fine di questo sconvolgimento.
Dopo il periodo del “capitalismo dal volto umano” di cui la ripresa dell’accumulazione di capitale tramite la produzione e circolazione di merci su scala globale è stata un aspetto fondamentale, dalla metà degli anni ‘70 il capitalismo è immerso nella sua seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (CGxSAC). Né le cure della destra borghese basate sulla teoria dell’offerta (il governo deve prendere misure che aumentano i profitti ai capitalisti che impiegano proletari nella produzione di merci), né quelle della sinistra borghese basate sulla teoria della domanda (il governo deve elargire soldi ai proletari e agli altri lavoratori) hanno posto né porranno fine alla crisi perché, dopo l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, l’iniziativa in campo economico è di nuovo nelle mani dei capitalisti e il motore dell’economia capitalista (ciò che spinge un capitalista a impiegare proletari) non è la produzione di merci ma la produzione di profitti: l’intoppo sta proprio nel fatto che oltre certi limiti l’aumento della produzione di merci non determinerebbe aumento bensì diminuzione della massa dei profitti e nessun capitalista assume più operai per avere meno profitto.
La seconda CGxSAC sta provocando una serie di conseguenze devastanti per le masse popolari e mette a rischio la sopravvivenza dell’umanità e del pianeta. Ma questo a sua volta fa crescere la resistenza spontanea delle masse, aumenta i potenziali alleati del proletariato nella rivoluzione socialista, allarga il divario tra le masse e la classe dominante. Questa resistenza spontanea che, a causa della sua crisi, la borghesia non può cessare di alimentare, è il terreno che ha bisogno dell’opera di noi comunisti per diventare una marea montante e spazzare via il sistema capitalista. Prendere la direzione di questa resistenza trasformandola nella forza rivoluzionaria che porrà fine al dominio della borghesia è il compito dei partiti comunisti.
Concludiamo augurando alla Conferenza un fecondo dibattito, che sia portatore di sviluppi utili alla rinascita del MCCO in tutto il mondo, a partire dai paesi imperialisti.
Comitato Centrale del (nuovo)Partito Comunista Italiano