Sul referendum per abrogare il Jobs Act

Maurizio Landini ha annunciato che la Cgil avvierà una raccolta di firme per un referendum abrogativo del Jobs Act. È una buona notizia?

Abbiamo già affrontato varie volte la questione. Quale che ne sia il tema, la sola campagna d’opinione non è sufficiente a vincere una battaglia politica. L’esempio più recente riguarda il salario minimo.

Furono avviate ben due raccolte firme! Una promossa da Potere al Popolo per una Legge di iniziativa popolare – raccolte e depositate 70 mila firme a fronte delle 50 mila necessarie – e una promossa da Pd e M5s a sostegno di un disegno di legge – in quattro giorni sono state raccolte oltre 300 mila firme on line. Inutile dire che non sono servite a niente.

Il fatto è che la sola campagna d’opinione, anche quando è indorata dai promotori con obiettivi di “partecipazione democratica” (Legge di iniziativa popolare e referendum) non è MAI sufficiente.

Oltre al salario minimo, quante altre raccolte firme giacciono nei cassetti delle commissioni o sono state rigettate?

La campagna d’opinione serve, come dice il nome, a sensibilizzare e orientare l’opinione pubblica: è uno strumento accessorio, benché utile, a sostegno di una battaglia politica, mentre è strumento fondamentale ai fini della campagna elettorale.

Stiamo insinuando, forse, che la proposta di Landini ha a che vedere con la campagna elettorale? Diciamo che è molto probabile.

Tuttavia, se la raccolta di firme partirà effettivamente, è una buona notizia. Si tratta di un’occasione

1. per rimettere al centro del dibattito politico l’abolizione del Jobs Act (ecco il ruolo positivo della campagna d’opinione);

2. per favorire la mobilitazione degli iscritti della Cgil e far emergere la parte più disponibile a mobilitarsi e a impegnarsi in una campagna politica;

3. per spingere quella parte di lavoratori a irrompere nella campagna elettorale;

4. per presentare il conto al Pd. È ovvio che sulla carta il Pd sarebbe il maggior beneficiario dell’operazione e lo sarebbe tanto più quanto più le redini dell’operazione sono lasciate nelle mani dei vertici della Cgil. Ma è anche ovvio che in qualche modo il Pd deve rendere conto del fatto di essere stato il promotore del Jobs Act (governo Renzi, 2016) con la compiacenza dei vertici della Cgil (segretaria Susanna Camusso, oggi senatrice del Pd!).

Pertanto, più che denunciare la strumentalità dell’operazione e più che evocare “la lotta anziché la raccolta di firme per il referendum” i comunisti, i sindacati di base, la sinistra dei sindacati di regime devono approfittare dell’occasione, buttarsi a pesce nell’operazione proprio per trasformare “la raccolta di firme” in uno strumento di organizzazione e in miccia per la mobilitazione.

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