Conflitto d’interessi

Ci sono molte evidenze del fatto che il governo Meloni è nemico degli interessi delle masse popolari. Per vederle, in alcuni casi, non serve essere dei fini analisti, ma è sufficiente il senso comune corrente. Ecco un esempio.

Guido Crosetto di mestiere fa l’imprenditore nel settore delle armi e della difesa. Cioè è uno che dalla vendita di armi trae il grosso della sua ricchezza e garantisce affari e commesse alla sua cricca.

Giorgia Meloni lo ha nominato Ministro della difesa. Poco importa che per molto tempo abbia millantato una laurea che non aveva senza dover far fronte a particolari conseguenze – provate voi a millantare un titolo di studio per un concorso pubblico! – ma importa molto che sia direttamente invischiato, per interessi diretti oltre che per ruolo politico, con le forniture di armi a paesi “belligeranti” (Ucraina e Israele) in piena violazione della Costituzione e contro gli interessi delle masse popolari.

Daniela Santanché di mestiere fa l’imprenditrice nel settore del turismo. È più corretto dire che fa l’imprenditrice in ogni settore che le permette di trafficare – è indagata attualmente nell’affaire Visibilia – e il ruolo di ministro le ha consentito di curare i suoi affari e di fantasticare di grandi speculazioni come l’aeroporto a Cortina.

L’elenco è ben più lungo. Da Nordio, che nei panni di Ministro della giustizia conduce la crociata per sottomettere la magistratura al governo, a Valditara che non ha né il titolo né le competenze per essere Ministro dell’istruzione e del merito.

Emerge da ogni parte che il governo Meloni non è solo composto da gente a vario titolo raccomandata, ma raccoglie soprattutto individui che hanno uno specifico interesse – personale o di cricca – da coltivare.

Torna in mente che ai tempi del governo Conte 1, in buona compagna dei loro emuli del Pd, questa gente bullizzava i ministri del M5s perché mostravano di essere impreparati e inesperti. Benché in alcuni casi lo fossero realmente, il vero motivo per cui erano denigrati è che non rispondevano a interessi particolari, erano in questo senso incontrollabili e non ricattabili. Rispondevano del loro operato alle masse popolari.

Che poi non siano andati fino in fondo, che abbiano iniziato a rendere conto alle autorità e alle istituzioni della Repubblica Pontificia del loro operato anziché alle masse popolari, che non abbiano allargato quanto più possibile la breccia che era stata aperta nel sistema politico delle Larghe Intese con le elezioni del 2018, tutto questo è un altro discorso.

Quella breccia ha iniziato a richiudersi con il governo Conte 2 (M5s e Pd) e si è definitivamente chiusa con il governo Draghi. E il conflitto di interessi torna a manifestarsi su ampia scala. Solo che oggi non è più indicato come “il male assoluto” neppure dalla propaganda “progressista”, come ai tempi dei governi Berlusconi, ma, al contrario, è sdoganato come strumento per tentare di dare un indirizzo unitario al governo del paese. L’affarismo come strumento di coesione e fedeltà a un sistema politico che fa acqua da tutte le parti.

Non è certo una novità per i governi della Repubblica Pontificia. “È sempre stato così”, dice qualcuno. Vero. Quello che cambia è che oggi c’è in ballo la partecipazione dell’Italia alla terza guerra mondiale promossa dalla Nato. E gli affari di Crosetto, i traffici della Santanché, la crociata di Nordio e le pagliacciate di Valditara conducono il paese verso la guerra.

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