Sequestro Moro e bilancio degli anni Settanta. Contro disfattismo e complottismo

Il 16 marzo di 46 anni fa, a Roma, le Brigate rosse (Br) rapirono il presidente della Democrazia cristiana (Dc), Aldo Moro. L’operazione rientrava in quella che le Br definirono “campagna di primavera”, che durò 55 giorni e non si limitò al sequestro Moro. Da nord a sud, infatti, furono decine gli attacchi armati contro uomini degli apparati politici e militari della Repubblica Pontificia, decine le azioni contro le gerarchie e dirigenti industriali nelle grandi fabbriche di Torino, Milano, Genova e del Veneto (che durarono per tutto il 1978) e le iniziative di lotta nei quartieri e nelle carceri delle principali aree metropolitane del centro-sud.

Il primo obiettivo che si diedero le Br in questa campagna era quello di disarticolare il tentativo di compromesso storico, rompendo l’abbraccio mortale tra la Dc e il Partito comunista italiano (Pci). Il secondo era il lancio di un’offensiva al nemico, sulla base di una superiore unità del movimento rivoluzionario, sintetizzato nella parola d’ordine “portare l’attacco al cuore dello Stato”.

Il risultato furono mesi che misero in scacco il sistema politico italiano capitanato dalla Dc e che misero il movimento rivoluzionario del nostro paese in una posizione di forza. Infatti da un lato l’accordo tra Dc e Pci saltò, dall’altro le Br raccolsero nuove forze rivoluzionarie, militanti e collaboratori. Un momento della storia della lotta di classe del nostro paese che ancora spaventa la borghesia, la quale attraverso i suoi mezzi d’informazione non perde occasione, a tutt’oggi, di denigrare ed esorcizzare.

In questi giorni, non a caso, in occasione dei 46 anni della campagna di primavera e del sequestro Moro, si sprecano gli articoli accusatori di Repubblica, la Stampa, il Corriere della sera e degli altri giornali di regime che cercano di squalificare le Br come “terroristi”, “assassini” e “criminali”. Una propaganda costantemente accompagnata da ricostruzioni storiche distorte e false – vedi il recente servizio di Report – secondo cui le Br erano infiltrate, eterodirette dalla Cia o dai Servizi segreti. Storie complottiste ricostruite più o meno accuratamente per dimostrare che in fondo non è possibile che la classe operaia e le masse popolari possano organizzarsi in maniera autonoma e passare all’attacco contro la borghesia.

La classe dominante prova sempre a screditare i movimenti rivoluzionari, lo fa soprattutto quando “passano all’attacco” e aumenta gli sforzi quando la criminalizzazione non basta. Come un disco rotto, ogni volta che nella storia le masse popolari passano all’attacco e assestano colpi alla classe dominante, inizia il coro denigratorio, iniziano le insinuazioni: “ma quale resistenza e resistenza, chi attacca lo Stato è manovrato dallo Stato!”. Fateci caso: è lo stesso armamentario e sono gli stessi argomenti che oggi la classe dominante usa per denigrare la resistenza palestinese.

Come per le Br, infatti, alla criminalizzazione del “sono terroristi e assassini” si sono aggiunte teorie secondo cui è impossibile che Hamas e le forze della resistenza palestinese potessero scagliare un attacco come quello del 7 ottobre contro uno dei principali apparati di sicurezza militare del mondo. Ma l’offensiva non solo è stata possibile, ha anche spinto all’attacco il resto delle masse popolari del mondo che dal 7 ottobre stanno riempiendo i propri paesi di manifestazioni, azioni di lotta e preso di mira i propri governi guerrafondai e complici.

Una grande lezione per tutti i popoli oppressi dall’imperialismo, perché dimostra come la resistenza può far saltare ogni piano degli imperialisti, il cui sistema di potere sta andando in pezzi con il procedere della crisi generale del capitalismo. Una grande lezione anche per le masse popolari dei paesi imperialisti come il nostro, che stanno trasformando la solidarietà con la resistenza palestinese e l’indignazione verso i crimini dello stato sionista d’Israele in ribellione, organizzazione e lotta per cacciare il governo Meloni, complice dei sionisti, servo dei gruppi imperialisti Usa – Nato e di quelli Ue.

Dare credito e propagandare che le Br fossero un tentacolo dei servizi segreti e della Cia – o che la resistenza palestinese opera per conto dei sionisti anziché per conto del popolo palestinese – è uno dei modi per alimentare fra le masse popolari la convinzione che resistere e contrattaccare è impossibile, che non è possibile organizzarsi in modo autonomo, indipendente e antagonista dalla classe dominante. È una forma di disfattismo e manifesta sottomissione al nemico.

Ecco perché i comunisti e la parte avanzata del movimento di resistenza delle masse popolari devono rigettare queste narrazioni e combattere chi le spaccia come “verità storica”. Del resto, la “verità storica” che la classe dominante cerca di imporre è sempre stata – e sempre sarà – la verità che fa comodo alla classe dominante.

La verità storica che serve ai comunisti è quella che permette di comprendere e usare i punti di forza, di comprendere e superare i limiti e gli errori del movimento rivoluzionario. Ancora oggi una parte consistente del movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese deve emanciparsi da due concezioni che sono tipica dimostrazione della sottomissione ideologica alla classe dominante: il disfattismo e il relativismo.

Il disfattismo di chi ripropone la tesi antistorica che il movimento rivoluzionario degli anni Settanta è stato sconfitto, è morto e sepolto e in termini di scoperte e insegnamenti non ha nulla da dare al movimento rivoluzionario che sta rinascendo oggi; il relativismo di chi riconosce il ruolo positivo del movimento rivoluzionario degli anni Settanta, ma per pigrizia intellettuale, opportunismo o reale incapacità, afferma che quell’assalto al cielo fu possibile SOLO ed ESCLUSIVAMENTE per le condizioni particolari, speciali, che si erano create, cioè elimina del tutto il ruolo soggettivo dei comunisti dal processo storico e dal processo rivoluzionario.

“Serve un bilancio di quella esperienza” sentiamo dire a più riprese. Ma la necessità viene spesso elusa dietro la supposta “complessità del tema”. La Carovana del (nuovo)PCI un bilancio del movimento rivoluzionario degli anni Settanta l’ha fatto. E porta a conclusioni molto diverse rispetto alla brodaglia male assortita e intossicante cucinata dalla sinistra borghese e da chi, come la redazione di Contropiano – alimenta disfattismo e relativismo per affermare che no, non è possibile passare all’attacco perché i tempi sono bui, la borghesia è onnipotente, i suoi apparati repressivi sono spietati. La Carovana del (nuovo)PCI ha elaborato un bilancio che è, insieme, strumento per analizzare il movimento rivoluzionario degli anni Settanta, strumento per ricavarne insegnamenti ai fini del movimento rivoluzionario odierno, strumento per contrastare la rassegnazione che organi come la redazione di Contropiano spargono a piene mani.

Un inciso. Abbiamo invitato molte volte la redazione di Contropiano a discutere in modo serio del bilancio degli anni Settanta – e non ritiriamo la disponibilità, a patto che il dibattito sia serio – ma ha sempre rifiutato e anzi non ha mai perso occasione di fare contro il P.Carc – e più in generale la Carovana del (nuovo)Pci – quello che la classe dominante fa con tutte le organizzazioni rivoluzionarie: denigrazioni, gettare discredito, alimentare ambiguità, giocare a nascondino con le accuse di essere infiltrati e manovrati…
Anziché giocare a nascondino con le accuse di collusione del P.Carc con gli apparati repressivi, la redazione di Contropiano deve mostrare le prove di quello che sostiene e darvi grande risalto pubblico perché tollerare nel movimento comunista e rivoluzionario infiltrati dei servizi segreti, della polizia o di chi altro è una grave omissione che sfiora la complicità. Se non lo fa, significa che sta dicendo a chi la segue che essere e fare i chiacchieroni sciocchi e irresponsabili è cosa buona e giusta. Quando invece è cosa molto sbagliata. Alimentare confusione e diversione nel movimento comunista, rivoluzionario e popolare, infatti, è grave quanto tollerare le infiltrazioni di spioni e servizi segreti.

La sconfitta delle Br è portata come dimostrazione che è impossibile fare la rivoluzione e instaurare il socialismo nel nostro paese. Invece le Br furono un’organizzazione rivoluzionaria realmente innovatrice: con la “propaganda armata” imposero che la rivoluzione socialista è anche un fatto d’armi, dimostrando, per la terza volta in Italia dopo il Biennio Rosso e la Resistenza al nazi fascismo, la possibilità concreta di dirigere le masse popolari nel passaggio a un livello superiore della lotta rivoluzionaria e rompere la cappa riformista tipica del movimento comunista dei paesi imperialisti.

Nel comunicato Un’importante battaglia politica nell’avanguardia rivoluzionaria italiana (1984) le stesse Br-Pcc hanno riconosciuto che dopo la Campagna di Primavera (1978) la lotta armata condotta da una Organizzazione comunista combattente (Occ) aveva dato tutto quello che poteva dare e che il salto che si poneva era la costituzione del partito comunista. Tale salto però non era una questione meramente organizzativa.

Il partito comunista doveva essere costituito sulla base di una concezione del mondo diversa da quella che aveva guidato le Br fino a quel momento, imbevuta delle teorie piccoloborghesi della Scuola di Francoforte anziché dalla scienza rivoluzionaria sintetizzata da Marx, Engels, Lenin e Mao. La concezione che pone al centro la costruzione della rivoluzione socialista, che si fonda sul dualismo di potere, sul partito comunista come avanguardia del potere proletario, che estende in termini ideologici e politici la propria influenza nel campo delle masse popolari, che contende alla borghesia la direzione del paese e tappa dopo tappa accumula forze rivoluzionarie e mezzi necessari alla vittoria. Un partito munito di una strategia per fare la rivoluzione.

È la mancanza di questo salto ideologico, politico e organizzativo che ha sancito la sconfitta della Br, non il tradimento dei pentiti, dei dissociati o la forza e ferocia della repressione e persecuzione della Repubblica Pontificia e dei suoi poliziotti di fiducia alla Dalla Chiesa. La mancanza di questo salto ideologico ha aperto la strada al militarismo (le armi e lo scontro militare sono i fattori decisivi dell’esito della lotta di classe, non la linea politica) che ha preso il sopravvento e ha portato alla sconfitta.

L’opuscolo Cristoforo Colombo – Ossia di come convinti di navigare verso le Indie approdammo in America riassume importanti elementi di bilancio dell’esperienza delle Br e Il Manifesto Programma del (n)PCI inquadra l’esperienza delle Br nel più generale bilancio della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria. Invitiamo a leggere entrambi i testi.

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