Pubblichiamo la lettera che una nostra compagna ci ha scritto in cui riporta alcune considerazioni suscitatele dalla partecipazione all’iniziativa Costruiamo la riscossa delle donne lavoratrici organizzata dalla sezione Milano Nord-est del Partito dei CARC, di cui rilanciamo il video.
La lettera è utile non solo perché mostra alcuni esempi di lotte condotte sui luoghi di lavoro dalle compagne che hanno partecipato al dibattito ma anche perché mostra nella pratica in cosa si traduca agire da lavoratrice comunista sul proprio posto di lavoro.
La compagna, infatti, spiega come partire dalle lavoratrici, dalle necessità oggettive e dalle forme di oppressione che in questo sistema vivono sul posto di lavoro, elaborarle insieme a loro e trasformarle in azioni, mobilitazioni e organizzazione, è uno degli aspetti decisivi per avanzare nella lotta per cacciare il governo Meloni e imporre un nuovo governo del paese. Un governo che sia espressione di chi per vivere deve lavorare e che su spinta e incalzo delle lavoratrici e dei lavoratori organizzati trasformi in leggi e decreti quanto deciso da loro. Buona visione e buona lettura.
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Care compagne e compagni dell’Agenzia Stampa Staffetta Rossa,
sono una compagna del Partito dei CARC e domenica 10 marzo ho partecipato all’iniziativa Costruiamo la riscossa delle donne lavoratrici, organizzata dalla sezione Milano Nord-est.
L’iniziativa si è svolta a conclusione di una settimana di lotta e mobilitazione per le donne delle messe popolari, che venerdì 8 marzo hanno aderito allo sciopero nazionale promosso da Non Una di Meno e proclamato da alcuni sindacati di base che ne hanno raccolto l’appello. Appello che incalzava le donne lavoratrici a costruire lo sciopero all’interno del proprio posto di lavoro e ad organizzarsi per partecipare in massa alla mobilitazione.
All’iniziativa hanno partecipato diverse donne lavoratrici: Margherita Napoletano, CUB sanità; Tania Giusto, Coordinamento per le RSA Sol Cobas; Emilia Piccolo, ADL Cobas scuola; Elena Bocci, iscritta FILT CGIL logistica e Giovanna Baracchi, Democrazia Atea.
Quando si cerca di mettere insieme sindacati diversi spesso a prevalere è la concorrenza tra questi. Gli interventi che hanno fatto le compagne relatrici invece mi hanno mostrato qualcosa di diverso. Ognuna, per il suo ruolo e per il suo settore di lavoro, ha messo al centro del proprio ragionamento il fatto di essere una donna comunista e cosa questo implichi rispetto al compito che una compagna deve assumere all’interno del proprio posto di lavoro, innanzitutto promuovere organizzazione tra le lavoratrici, a prescindere dalla tessera sindacale di appartenenza.
L’esperienza raccontata da Tania è stata quella dalla quale ho raccolto immediatamente alcuni insegnamenti. La compagna ha parlato infatti di come sia riuscita a organizzare le sue colleghe contro condizioni di lavoro per niente dignitose, sia contro la gestione degli ospiti delle Rsa esclusivamente incentrata sul profitto imposto dai padroni, spalleggiati anche dalla regione Lombardia. Tania ha quindi spiegato che fare rete attorno alle problematiche presenti sul proprio posto di lavoro è il solo modo per migliorare le proprie condizioni e quelle degli ospiti delle strutture.
Dal suo intervento ho compreso meglio l’importanza che ha, per una lavoratrice, fare un’esperienza pratica di organizzazione e lotta collettiva per emanciparsi dal padrone. E ho compreso meglio che partire dai problemi oggettivi e contingenti contro cui ogni lavoratrice si trova a combattere ogni giorno è la principale spinta da cui deve partire chi si pone l’obiettivo di costruire organizzazione delle donne all’interno di un posto di lavoro.
Un esempio di come partire da un problema specifico per sviluppare discussione, informazione e mobilitazione l’ha fornito Elena quando ha raccontato della discriminazione subita dai part time nel settore logistica per quel che riguarda la retribuzione delle ore di straordinario. La compagna ha riportato infatti alcuni dati che mostrano come circa la metà delle donne impiegate in Italia abbia un contratto part time, spesso involontario.
Questa esperienza mi ha fatto molto riflettere sul fatto che spesso anche noi comuniste abbiamo difficoltà nel trovare spunti e questioni attorno alle quali aggregare e organizzare le donne lavoratrici, ma in realtà è parlando con loro, è semplicemente confrontando le buste paga, è studiando collettivamente i nostri diritti che possiamo renderci conto dei 10, 100, 1000 appigli che abbiamo per costruire organizzazione non solo l’8 marzo, ma tutto l’anno.