Sulla morte di Barbara Balzerani e la diversione sulle Brigate rosse

In queste ore la stampa si occupa della morte dell’ex brigatista Barbara Balzerani. La sua scomparsa è diventata il pretesto per trattare dell’esperienza politica delle Brigate Rosse diffondendo falsità e alimentando sfiducia nella parte più combattiva e avanzata delle masse popolari, in particolare quella legata al movimento comunista. Tra queste, la tesi principale è la denigrazione e negazione della forza della classe operaia quando si lega al movimento comunista.

Queste tesi sono state rilanciate anche da profili social di alcuni dirigenti e compagni di varia estrazione politica ma soprattutto su siti e giornali che si definiscono comunisti. Il più grave tra questi è l’articolo pubblicato da Il Manifesto, a firma di Andrea Colombo, dal titolo “Balzerani, la scrittura dopo la tragedia armata. Di questo articolo la vera tragedia è il suo contenuto. L’autore non fa altro che denigrare l’esperienza delle Brigate Rosse e di tutto il movimento rivoluzionario del nostro paese, definendolo “tragedia” “non giustificabile” fino a definire “esoterismo le analisi che le BR sfornavano periodicamente”. Un articolaccio moralisteggiante e sfacciatamente disonesto che potrebbe andar bene più per Avvenire o Famiglia cristiana che per un quotidiano che si definisce comunista.

Questa diversione attorno alla morte di Barbara Balzerani non è però solo dovuta alla speculazione politica che i media borghesi cercano di fare per denigrare il movimento rivoluzionario del nostro paese e impedirne il più possibile la rinascita. È dovuto anche al contenuto di alcuni scritti, opere e dichiarazioni che lei stessa ha fatto, rispetto a quelle esperienze da cui si è nei fatti dissociata nel corso degli anni. Come quando nel 2003 definì la scelta della lotta armata e della clandestinità “assolutamente improponibile” come denigrazione nei confronti dei compagni che sono in carcere con l’accusa di “aver rifondato le BR”.

Il cordoglio di compagni e compagne che con Balzerani hanno condiviso la militanza rivoluzionaria in un preciso contesto storico è comprensibile, ma al commiato sul piano personale – e a maggior ragione alle “celebrazioni” che fa la borghesia – per i comunisti è principalmente utile alimentare la discussione sul bilancio del movimento rivoluzionario degli anni Settanta nel nostro paese. La Carovana del (n)PCI ha fatto il bilancio dell’esperienza delle Organizzazioni Comuniste Combattenti – e fra di esse la principale sono state le BR – e a fronte dell’ondata di diversione, intossicazione e disfattismo che dilagano in queste ore, riteniamo utile rilanciare l’Avviso ai naviganti n. 61 del Comitato Centrale del (n)PCI, del 5 aprile 2016.

***

Avviso ai naviganti 61

5 aprile 2016
(Scaricate il testo in versione Open Office, PDF o Word )

Dedichiamo questo Avviso ai naviganti a Sergio Spazzali, per il generoso contributo che ha dato al bilancio dell’impresa delle Brigate Rosse di cui qui si tratta.
Lettera aperta ai redattori di Contropiano (Rete dei Comunisti) e affini

Barbara Balzerani o Pippo Assan?

Come sotto le vesti dell’introspezione e della narrazione, una pentita BR diffonde fatalismo e rassegnazione.

Richiamiamo l’attenzione dei nostri lettori sull’articolo (riportato in Appendice a questo AaN) pubblicato il 2 aprile (ma non era un pesce d’aprile!) sul giornale online Contropiano di Rete dei Comunisti (RdC) che lo ha ripreso dal giornale indipendentista basco Gara. RdC è un’organizzazione che si dichiara impegnata a promuovere la lotta per il comunismo e addirittura, proprio in queste settimane, impegnata a ricercare in una successione di confronti pubblici locali “un ruolo per i comunisti dentro questa fase storica”, “in vista di un incontro nazionale da tenersi nei prossimi mesi”. In nome di questo dichiarato impegno ci rivolgiamo anche ai redattori di Contropiano e richiamiamo la loro attenzione sul ruolo dell’articolo citato: “A causa dell’eclettismo che inquina i vostri sforzi intellettuali, in definitiva a causa della vostra soggezione alla sinistra borghese del cui anticomunismo l’eclettismo è il distintivo sul terreno intellettuale, voi distruggete con una mano quello che dichiarate di voler costruire con l’altra”.

Il ruolo che uno scritto svolge nello sviluppo della società non dipende dalle intenzioni né dalla coscienza che di questo ruolo hanno l’autore e i diffusori dello scritto, spesso neanche da quelle dei suoi lettori. Eppure uno scritto ha un ruolo nello sviluppo della società, perché alimenta o contrasta, tramite l’effetto intellettuale e sentimentale (psicologico) che ha sui suoi lettori, lo sviluppo di tendenze proprie della società in cui i suoi lettori vivono. Oggi la nostra società è alle prese con il compito di instaurare il socialismo, unica via per rompere con il corso catastrofico delle cose che la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti impone al mondo (e non può non imporre perché questo corso deriva dalla natura del sistema di relazioni sociali e internazionali di cui essa è alla testa). Ogni attività intellettuale e pratica di individui e gruppi va quindi valutata dall’effetto che ha in questo compito universale: quando una città è travolta da un’inondazione, chi cerca di sottrarsi alla lotta per farvi fronte è un vigliacco, chi distrae altri dal compito è dannoso.

Capita a volte che autori e diffusori si lamentino della valutazione che noi comunisti, cultori e utilizzatori della scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, diamo di uno scritto. Come se noi esponessimo e giudicassimo le loro intenzioni. Premettiamo quindi che noi non entriamo in merito alle intenzioni, né attribuiamo loschi propositi e oscure relazioni né ai redattori di Contropiano né a Barbara Balzerani (BB). Ci appelliamo anzi alle loro buone intenzioni e ai loro sani propositi e siamo disposti a verificarli senza preconcetti nella pratica, a iniziare dalla risposta che daranno al nostro appello a rigettare e confutare il bilancio disfattista dell’opera delle Brigate Rosse e a ricavare invece dall’esperienza dei loro successi e della loro sconfitta gli insegnamenti che contengono sul ruolo che i comunisti possono e devono svolgere nell’attuale fase storica.

Noi non sappiamo in che misura ognuno dei redattori di Contropiano, come singoli individui o come collettivo, sono consapevoli del servizio che con articoli e prese di posizione del genere di quello della recensione a una pubblicazione di BB (non è l’unico comparso in Contropiano) rendono ai capitalisti, alla Repubblica Pontificia e alla borghesia imperialista in generale. Ma in questo caso denunciamo la diffusione di uno scritto che rende servizio alla Repubblica Pontificia e al governo Renzi e ostacola la lotta della classe operaia e delle masse popolari. Con esso infatti denigrano il primo importante tentativo compiuto nel nostro paese di ricostruire il partito comunista, dopo la deriva imposta dai revisionisti moderni guidati prima da P. Togliatti e poi da E. Berlinguer che condusse il vecchio PCI alla corruzione e alla disgregazione.

Il tentativo generoso e fecondo di “ricostruire il partito comunista tramite la propaganda armata” fatto dalle Brigate Rosse (BR) negli anni ’70 e ’80 non fu sconfitto né dal tradimento dei pentiti e dei dissociati né dalla feroce determinazione delle classi reazionarie come invece con la collaborazione di Contropiano BB sostiene: l’uno e l’altra non mancano mai in nessuna grande impresa rivoluzionaria e se da essi dipendesse la sua sconfitta, nessuna grande impresa rivoluzionaria avrebbe mai avuto successo. Il tentativo delle BR raggiunse grandi risultati in termini di raccolta delle forze, ma quando si trattava di valorizzarle e costituire il Partito comunista, Stato Maggiore della classe operaia che lotta per instaurare il socialismo, fu sconfitto dalla Repubblica Pontificia, dai revisionisti moderni e dalla NATO coalizzati a causa

1. della concezione del mondo che guidava le Brigate Rosse: essa non era materialista dialettica e marxista-leninista-maoista, ma derivata dalla Scuola di Francoforte;

2. dalla deriva militarista (secondo cui le armi e lo scontro militare e non la linea politica sono i fattori decisivi dell’esito della lotta di classe) in cui di conseguenza le Brigate Rosse si lasciarono trascinare da Prima Linea, da Potere Operaio, dall’Autonomia Operaia e da varie altre correnti minori non a caso sorte numerose in quegli anni, come numerose e inconcludenti correnti anarchiche e anarcosindacaliste avevano contrastato il movimento comunista all’inizio della prima crisi generale del capitalismo.

Nonostante la sconfitta finale, l’opera delle Brigate Rosse contiene molti grandi insegnamenti per la lotta di oggi, insegnamenti di cui ci siamo serviti per riunire e animare la Carovana del (nuovo) Partito comunista italiano e di cui ci serviamo per consolidare e rafforzare il Partito. Questi insegnamenti sono esposti nell’opuscolo Cristoforo Colombo del 1988 firmato con lo pseudonimo Pippo Assan. Sono quindi stati ripresi e sviluppati in vari articoli di La Voce e in particolare nell’opuscolo Martin Lutero, supplemento a La Voce n. 3 (ottobre 1999) e infine riassunti nel capitolo 2.1.3 del nostro Manifesto Programma.

Per maggiori dettagli rimandiamo a questa letteratura. Qui diciamo solo che gli insegnamenti in estrema sintesi si riassumono in due punti che segnano anche la distinzione tra il (nuovo)PCI e il vecchio glorioso PCI fondato nel gennaio 1921 su iniziativa della prima Internazionale Comunista, quello della Resistenza e della vittoria contro il nazifascismo che tuttavia lasciò via libera all’instaurazione della Repubblica Pontificia:

1. il partito comunista per essere guida efficace e vittoriosa della classe operaia nella lotta per instaurare il socialismo deve fondarsi sulla scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, una scienza sperimentale e in via di sviluppo che oggi è il marxismo-leninismo-maoismo: con essa il Partito è in grado di raccogliere e valorizzare le tendenze positive espresse spontaneamente dalla classe operaia e dalle masse popolari e condurle fino alla vittoria;

2. la strategia della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti non è l’insurrezione popolare e la sua preparazione, ma la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata: la rivoluzione socialista non scoppia ma la si costruisce passo dopo passo, fase dopo fase.

“Bisogna fare il bilancio delle Brigate Rosse!”: quante volte abbiamo sentito e sentiamo questo ritornello ripetuto da personaggi che mai si sono cimentati né si cimentano nel fare il bilancio e nemmeno nel prendere posizione sul bilancio che noi abbiamo fatto e le conclusioni che ne abbiamo tratte. Siamo d’accordo, bisogna fare il bilancio delle Brigate Rosse e per questo lo abbiamo fatto.

Come bisogna fare il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria che ha caratterizzato il secolo XX, del grande sviluppo da essa raggiunto nella prima parte del secolo e del suo esaurimento nella seconda parte del secolo. Bisogna farne il bilancio e per questo lo abbiamo fatto.

Bisogna fare il bilancio dell’esperienza della rivoluzione socialista, perché il marxismo-leninismo-maoismo è una scienza sperimentale.

Qui ci fermiamo all’enunciazione del bilancio dell’opera delle Brigate Rosse. Mettiamo però in guardia i nostri lettori dal tentare di ricostruire il significato dei due punti sopra indicati dal significato corrente dei termini e delle espressioni con cui li enunciamo: come per ogni scienza, chi vuole giovarsi della scienza deve darsi i mezzi per studiarla: il Partito guida e aiuta i suoi candidati a procurarseli. La nostra scienza, come ogni altra scienza si avvale di categorie sue proprie che bisogna assimilare. Il tentativo di capirla, di impadronirsene per assonanze con le favole del passato, con le interpretazioni del mondo date da filosofi di altre classi, con un qualche bigino e a senso comune, porta al fallimento.

Torniamo allo scritto diffuso su Contropiano il 2 aprile in cui, anziché tirare dall’avanzata e dalla sconfitta dell’eroico tentativo impersonato dalle Brigate Rosse e illustrare gli insegnamenti preziosi che esso contiene, BB denigra le Brigate Rosse come frutto di incoscienza e presenta come fallimentare la loro attività. In realtà BB svela essa stessa la concezione del mondo che la guida.

In proposito la tesi più significativa proclamata da BB è che le Brigate Rosse all’inizio degli anni ’80 avrebbero dovuto “ritirarsi come avevano fatto i cinesi”, fare come il Partito Comunista Cinese dopo la morte di Mao (1976), la sconfitta della “banda dei quattro” e l’avvento dei revisionisti capeggiati da Teng Hsiao-ping che avviarono il rientro graduale della RPC nel sistema imperialista mondiale. Tradotto in italiano: le Brigate Rosse avrebbero dovuto avviare il rientro nella legalità borghese, nelle istituzioni della Repubblica Pontificia e lo Stato borghese avrebbe dovuto accondiscendervi. Secondo BB, le cose andarono male perché lo Stato volle stravincere.

BB giustifica la sua tesi che le BR dovevano rientrare nella legalità borghese, dicendo che “non incidevano nell’ambito delle decisioni politiche generali”. Eppure all’inizio degli anni ’80 tutti i vertici della Repubblica Pontificia erano concentrati nella caccia alle Brigate Rosse: erano queste quindi che dettavano legge allo Stato borghese. In che senso quindi le Brigate Rosse “non incidevano nell’ambito delle decisioni politiche generali”? La tesi di BB è chiara se si intende la lotta delle Brigate Rosse come sindacalismo armato, al modo di Prima Linea e di altre affini Organizzazioni Combattenti. Effettivamente all’inizio degli anni ’80 la nuova crisi generale del capitalismo era già in pieno svolgimento. La borghesia imperialista non poteva più concedere miglioramenti generali in termini di diritti e condizioni di vita e di lavoro. Il capitalismo dal volto umano era finito. In palio non erano più le riforme, ma il potere. Con la propaganda armata le Brigate Rosse avevano raccolto grandi forze. Si trattava quindi di passare a una nuova fase della lotta di classe. Ma chi concepisce la lotta di classe come combinazione di rivendicazioni di massa e “fare da sponda politica nelle istituzioni borghesi” per determinare la condotta di queste a fronte delle rivendicazioni delle masse, vede nella crisi del capitalismo anche la propria sconfitta. In queste condizioni, il tradimento era l’unica alternativa allo “insensato continuismo”: si trattava di trovare una via onorevole.

Chiamiamo i nostri lettori a rigettare il veleno di uno scritto che alimenta la controrivoluzione preventiva, il disfattismo, la demoralizzazione o, per contro, il rivoluzionarismo individuale e moralistico: in ogni caso distoglie dal marxismo, dal materialismo dialettico e dalla via che il movimento comunista con la sua esperienza indica per condurre con successo la lotta di classe fino all’instaurazione del socialismo e a marciare verso il comunismo.

Forse qualcuno ci obietterà che la valutazione negativa che diamo degli scritti in cui Barbara Balzerani espone i suoi sentimenti e i suoi giudizi e pregiudizi, fa eco all’ostilità della destra più reazionaria e bigotta nei confronti delle pentita che dopo anni di carcere osa mostrarsi in pubblico senza certificato ufficiale di pentita. Un anno e mezzo fa Contropiano ha in effetti diffuso (21 agosto 2014) una vibrata protesta contro l’Amministrazione Comunale di Carpineto Romano (Latina) in mano a PD e SEL che aveva disdetto la presentazione che BB avrebbe dovuto fare di una sua opera (Lascia che il mare entri) perché le destre avevano minacciato manifestazioni di protesta se una ex BR si presentava come una normale scrittrice.

Ma la morale da trarne non è la tolleranza verso il veleno che BB semina quanto alle sorti e alle forme della rivoluzione socialista, ma che quando ci si mette nella via del meno peggio, non c’è fine al peggio. Nella lotta di classe non esistono rese onorevoli. C’è sempre una fazione della classe dominante che o per demagogia o per paura del futuro e spirito di vendetta per la paura provata, pretende di più. Una buona ragione per non mettersi sulla via del meno peggio.

Appendice

Riproduciamo dal sito di Contropiano del 2 aprile 2016 il triste scritto sul pensiero di Barbara Balzerani

A proposito di “Compañera Luna”

di Mikhel Zubimendi *

“Sì, è stata una sconfitta storica di un’ipotesi complessiva di rivoluzione”

Barbara Balzerani, storica dirigente della colonna romana delle Brigate rosse, è stata recentemente in Euskal Herria invitata dall’editrice Txalaparta. Ha presentato il suo libro “Compañera Luna”, testo di notevole musicalità letteraria, non un’autobiografia, non un racconto della storia della guerriglia comunista italiana, ma la narrazione di un viaggio, vitale, personale, terribilmente onesto, attraverso i cosiddetti anni di piombo. Per lei scrivere è “un dovere militante di restituzione di una memoria partigiana che difendo con amore e cui sono molto legata”

Barbara Balzerani ha partecipato ad alcune delle più spettacolari azioni delle Brigate Rosse, come il sequestro del generale statunitense e comandante della Nato per l’Europa meridionale, James Lee Dozier. Durante il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, occupava insieme a Mario Moretti, la principale base operativa romana delle Brigate Rosse, in via Gradoli 96. Una base scoperta dalla polizia a causa di una perdita d’acqua.

È stata una delle ultime figure storiche delle BR ad essere arrestata. Era il 1985, ed è ritornata in libertà nel 2011. La stampa ufficiale l’ha definita “irriducibile” – categoria che rifiuta tout court. Erano chiamati così i militanti che rifiutavano i “benefici” concessi ai delatori (i pentiti, coloro che in cambio di trenta monete – passaporto, soldi e una nuova identità – sono diventati collaboratori) e più tardi ai dissociati (coloro che hanno usufruito di una riduzione della pena abiurando la loro identità passata ed arrivando a fare apologia di Stato). Tuttavia, Barbara Balzerani riconosce con sincerità “quanto è stato difficile trovare il punto di equilibrio tra il sottrarsi alla logica di un insensato continuismo e non cedere sull’essenziale” mantenendo una ferma “indisponibilità a fare mercato della sua identità, della sua storia, dei suoi compagni”.

Insieme ad altri due dirigenti storici delle Brigate rosse, Mario Moretti e Renato Curcio, Barbara Balzerani partecipa, nel 1987, alla famosa intervista per la Rai in cui si dichiarava conclusa la lotta armata delle Brigate Rosse, chiedendo la fine delle azioni e l’apertura di una fase di riflessione sociale e politica sugli errori e sulle ragioni di quell’esperienza.

Il pidocchio sull’albero sano”

Alla domanda su quanto abbiano pesato nel percorso delle Brigate Rosse il pentitismo e la dissociazione, Balzerani è franca nell’affermare che si è trattato dell’“elemento più dirompente di una ben più pervasiva campagna di dissuasione e di discredito. Quello che ha fatto terra bruciata di ogni tradizione e memoria e, soprattutto, è stato l’ostacolo più insidioso a che si potessero creare le condizioni per un gesto di chiusura unilaterale dell’esperienza armata fuori dalla pregiudiziale dissoluzione di ogni sua ragione”.

L’espressione “il pidocchio sull’albero sano” si riferisce a Patrizio Peci, della colonna torinese, che decide di collaborare con lo Stato permettendo ai Carabinieri di fare irruzione nella base genovese e di crivellare di colpi quattro brigatisti. E lo interpreta come “inequivocabile segnale della profondità della nostra crisi politica. L’infamia dei traditori. Fratelli di ieri che denunciano gli altri e di questi si fanno giudici e cacciatori. Niente ha resistito al contraccolpo. Né l’allestimento logistico, né i criteri di sicurezza, né la linea politica, né la fiducia in noi stessi”

1982. L’anno della sconfitta

Per Balzerani, il cumulo di errori e l’indebolimento politico delle Brigate Rosse arriva al punto di coagulo nel 1982. “Le divisioni interne, gli arresti in massa, le battaglie perdute”. Ma si mostra rivoluzionaria nella sua autocritica quando aggiunge che, anche prima, in diverse occasioni, “l’ingrossarsi delle loro fila era avvenuto parallelamente all’indebolirsi della loro proposta politica. Eravamo fuori gioco, non riuscivamo a giustificare la presenza di una guerriglia che malcelava la sua crisi di progetto dietro una capacità militare a tratti spettacolare”. Che fare? Cos’altro tentare? Non incidevano nell’ambito delle decisioni politiche generali e non riuscivano neanche a frenare la deriva resistenziale delle lotte. “Hic rodhus : e sia per l’americano a tre stelle!” .

In quella situazione, “praticamente per strada e con la mano sul calcio della pistola” le Brigate Rosse iniziarono a discutere cosa dovesse essere fatto, “Dovevamo ritirarci come avevano fatto i cinesi, ma come? Dovevamo raccogliere le forze e resistere fino a capire se esisteva ancora un nostro futuro politico. Era poi così semplice il bilancio di un’esperienza armata che non aveva avuto modelli per nascere e non poteva averne per morire?”

Rosa Luxemburg aveva detto, dopo la sconfitta della settimana spartachista, che “la rivoluzione è l’unica forma di guerra –anche questa è una sua particolare legge di vita – in cui la vittoria finale può essere preparata solo attraverso una serie di sconfitte!” Abbiamo riproposto questa riflessione a Barbara Balzerani che annuisce chiedendosi “quante sconfitte ancora per assicurarsi la vittoria? Come riconoscere quelle necessarie da quelle irrimediabili? È la domanda più difficile, quando tutto vacilla”. E aggiunge: “Intanto veniva allestito il mercato dei vinti e dei vincitori. Ancora una volta la partita si chiudeva a somma zero: si vinceva o si perdeva tutto. Si avevano tutte le ragioni o nessuna. Insomma, senza via d’uscita”

Guai ai vinti!”

Vae Victis! E così sia, nella polvere e in catene. Balzerani riconosce che questo scenario poteva starci nel conto. Ma non può starci “la sottrazione di senso della storia, della ragione dei fatti”. Quando viene arrestata, sul suo foglio di detenzione si legge un ineffabile “fine pena: mai”. E chiede a se stessa: “Cos’altro altrimenti? Deve esserci nella mia vita un segno fatale coniugato con i sempre, i mai, i tutto, i niente. Come se, fuori dall’eccesso delle passioni assolute non riesca a trovare motivi per muovermi”.

L’impegno di Barbara Balzerani oggi è quello di parlare, ci mette la faccia, racconta ciò che quella generazione di comunisti ha vissuto, e critica aspramente il fatto che il fenomeno venga analizzato in termini di psicanalisi criminale, inchieste complottiste, intimismo mediatico, sempre scollegato dalle relazioni di causalità. Afferma la necessità della “laicità di una riflessione critica senza pregiudizi” e rivendica “la grandezza di una storia e dei suoi protagonisti, liberati da un’iconografia santificante o demonizzante basata su pregiudizi, che li restituisca all’intelligenza dei fatti”.

Ed è sicura che “questo può aiutarci a capire i nessi e le discontinuità delle diverse esperienze politiche che hanno segnato il secolo di tentativi di assalto al cielo, prima che un dubbio giudizio coscienziale tra bene e male impedisca l’esercizio della critica storica”.

La Commissione parlamentare d’inchiesta che ha studiato gli anni di piombo, ha definito quel fenomeno come guerra civile di bassa intensità. Si trattò, di fatto, di un fenomeno di massa, con un vasto radicamento sociale, con una guerriglia comunista che, nelle sue diverse espressioni, poté contare su oltre duemila militanti all’inizio degli anni 80, e che si ritrovò con 6.500 prigionieri politici. In conflitti di tale portata ci sono responsabilità collettive, che non possono essere risolte mediante vendita di indulgenze, confessioni strappate sotto tortura e senza riflettere sulle origini politiche.

Lo Stato ha sconfitto militarmente il “terrorismo” ma è stato privo di volontà e coraggio quando si è trattato di assumere le sue responsabilità per superare questo fatto storico. L’unica soluzione è stata la vendetta infinita. E, paradossi della vita, i vincitori della “guerra di piombo” erano tutti corrotti. Giulio Andreotti, inossidabile ex presidente del Consiglio aveva rapporti con Cosa nostra. Il Paese controllato da organizzazioni come Gladio, struttura legata alla Nato in Europa, e la P2, della quale facevano parte molti generali dell’esercito e dei servizi segreti, ed anche il cavalier Berlusconi.

“Ripensandoci adesso – dice Balzerani ricordando i convulsi anni 70 – non è facile ricordare dove trovavamo tanta incosciente fermezza nel giocarci la vita. Non eravamo che gruppetti di giovani compagni, insofferenti ai tentennamenti di una sinistra extraparlamentare messa alle corde, con niente altro che la determinazione a cercare nuove strade per continuare quella rivoluzione che aveva consumato in fretta l’innocenza dei primi entusiasmi di fronte al volto livido di un Potere assassino e stragista e di una sinistra istituzionale che perfezionava la sua paranoide sindrome rinunciataria da accerchiamento. Niente ci faceva intravedere una strada che non fosse quella di uno scontro diretto, sanguinoso, indifferente al sacrificio dei nostri giovani anni.”

Come accaduto anche altrove, tra la progressiva radicalizzazione delle lotte popolari e la lotta armata non ci fu un aumento progressivo e graduale, come la febbre quando sale. “C’era un salto che modificava tutto, e non veniva da sé, come un fattore genetico insito nella natura di una generazione di violenti: Allende e i centomila nello stadio di Santiago del Cile furono una tragedia che ci toccò tutti, una frustata, la scossa decisiva al fragile quadro di posizioni. E ciascuno dovette decidere”.

Balzerani è molto critica verso il Partito comunista italiano, il più forte partito comunista d’Europa, e verso certi intellettuali “di sinistra”, come Antonio Tabucchi: “Hanno chiuso qualsiasi possibilità di analizzare criticamente la nostra esperienza. A loro sono seguiti venti anni di berlusconismo”. La conseguenza, conclude con amarezza, è che “si nega l’appartenenza dei militanti delle Brigate Rosse alla politica, alle file comuniste o al genere umano, secondo i casi. Una specie di cortocircuito che impedisce ogni ragionamento”.

* Traduzione della recensione di Mikhel Zubimendi/Donostia – Gara 31/3/2016

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