Nelle scorse settimane hanno fatto notizia le risposte polemiche di Meloni ad alcuni articoli pubblicati dai quotidiani del gruppo Gedi (Repubblica e La Stampa), di proprietà di Exor, la finanziaria del gruppo Agnelli-Elkann. Questi accusavano il governo di voler svendere il paese, trattando dei piani per fare cassa con pezzi dell’apparato pubblico ancora in mano allo Stato: Poste, Trenitalia, Eni. Per tutta risposta Meloni ha ricordato agli Agnelli-Elkann le valanghe di soldi pubblici intascate nel corso degli anni senza che ciò abbia portato a un rilancio reale della produzione automobilistica in Italia.
Quello che colpisce è che le accuse reciproche sono reali, ma il battibecco è solo il teatrino che serve a celare la connivenza reciproca.
Il battibecco ha avuto come epilogo che Tavares, amministratore delegato di Stellantis, ha chiesto ulteriori incentivi alla rottamazione dei veicoli per sostenere il lancio dell’auto elettrica, minacciando altrimenti di chiudere almeno due stabilimenti in Italia. Sulla graticola ci sono già gli stabilimenti di Cassino e Mirafiori, ma anche a Melfi e altrove non tira una bella aria, con i lavoratori messi sempre più sotto pressione e spinti a lasciare il posto di lavoro, con le buone (incentivi all’esodo) o le cattive.
Per tutta risposta il governo annuncia che gli incentivi ci saranno e per bocca del Ministro delle Imprese e del Made In Italy Urso apre alla necessità di un nuovo soggetto industriale che, anche dall’estero, venga a rilanciare la produzione automobilistica in Italia! Come a dire: “incassate pure e fate come vi pare, speriamo che altri vengano a rilevare gli stabilimenti che abbandonate”.
Questa è la sintesi della politica industriale del governo: smantellamento dell’apparato produttivo e sottomissione alle multinazionali e al sistema speculativo internazionale. Lo dimostra la volontà di svendere ulteriormente il settore pubblico, come la mano libera che i predoni della speculazione trovano nel nostro paese: Tim, Gkn, Ilva sono solo alcuni degli esempi possibili.
L’ulteriore tappeto rosso srotolato ai piedi di Stellantis è mascherato da un litigio a uso e consumo dei media, che cela il vero nodo della questione.
L’attuale capitalizzazione di tutto il gruppo Stellantis è di circa 65 miliardi, a fronte dei 220 miliardi di soldi pubblici intascati in quasi cinquant’anni. Altro che nuovi incentivi e nuovi investitori stranieri, lo Stato italiano Stellantis l’ha già comprata almeno tre volte!
A questo punto l’unica cosa giusta e sensata che un governo con un minimo di serietà, decenza e vera legittimità popolare farebbe è mandare a quel paese gli Agnelli-Elkann e prendere in mano, senza ulteriori esborsi, la gestione degli stabilimenti ancora presenti in Italia. Impossibile? L’alternativa è il presente sotto i nostri occhi.
Una storia lunga decenni… Una stima elaborata da Federcontribuenti sostiene che, dal 1975 a oggi, il gruppo ex Fiat ha incassato sotto forma di finanziamento statale la bellezza di 220 miliardi di euro! La cifra è stimabile calcolando la cassa integrazione e i prepensionamenti utilizzati nel corso dei decenni per le “ristrutturazioni aziendali”, gli incentivi alla rottamazione, gli stabilimenti costruiti con i contributi pubblici, gli incentivi alla ricerca e all’innovazione.
Il risultato di questo sostegno? Il gruppo industriale è passato dai 170 mila dipendenti circa negli anni Settanta agli attuali 40 mila, la produzione è stata progressivamente spostata all’estero, così come il quartier generale del gruppo che ha trovato ospitalità in lidi fiscalmente meno gravosi come Amsterdam o Londra.
Ecco dove sono andati a finire tutti i soldi dei contribuenti, per non parlare dei profitti che ne sono derivati, puntualmente suddivisi in lauti dividendi agli azionisti.