Il 21 febbraio si è conclusa a Londra la seconda e ultima udienza del ricorso contro l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, dove rischia una condanna a 175 anni di carcere per aver rivelato al mondo i crimini di guerra degli imperialisti Usa. Nel momento in cui scriviamo, la sentenza non è stata ancora emessa.
Manifestazioni per la liberazione di Assange si sono tenute in 56 città nel mondo, da Parigi a Colonia, da Londra a New York, passando per Sidney, Vienna, Copenaghen, Madrid, Barcellona e così via. Anche nel nostro paese si sono tenute manifestazioni in molte città, con una mobilitazione capillare dal Nord al Sud del paese. A Milano un centinaio di persone si sono riunite davanti al consolato britannico. A Roma la manifestazione si è svolta davanti all’ambasciata britannica. A Napoli davanti al consolato degli Stati Uniti, protetto da un ingente schieramento di polizia. Altre mobilitazioni si sono svolte a Catania, Perugia, Ancona, Cagliari e Trieste.
L’accanimento contro Julian Assange mostra la paura che gli imperialisti hanno di chi svela la verità sui loro crimini, sulla reale natura del loro sistema.
Non è certo da ieri che la classe dominante si adopera per distogliere le masse popolari dalla comprensione della realtà attraverso i media, la diversione, l’intossicazione delle coscienze e, quando questi strumenti non bastano, la censura.
Ma nell’ultimo periodo l’opera di diversione e il clima di censura hanno fatto un salto di qualità, prima con la pandemia, poi con la guerra contro la Federazione Russa, ora con l’invasione sionista di Gaza: tanto più le cose vanno male tanto più serve convincere tutti che va tutto bene. E con il levarsi sempre più forte dei venti di guerra, pacificare il fronte interno diventa essenziale per la classe dominante.
La censura, oggi, non colpisce più solo giornalisti come Assange: nell’ultimo periodo abbiamo visto lavoratori licenziati per un commento su Facebook, studenti attenzionati per aver pubblicato un post in sostegno alla causa palestinese, e chiunque pubblichi su internet un commento o una notizia che va fuori dalla narrazione ufficiale può vedersi cancellato il profilo.
La lotta contro la censura e per la libertà di espressione diventa perciò un ambito sempre più importante della lotta di classe, che coinvolge direttamente le masse popolari. Deve diventare terreno di organizzazione e di mobilitazione e la mobilitazione in solidarietà con Assange, i tanti comitati sorti e l’ampio coordinamento che si è sviluppato, mostrano una via da percorrere e sviluppare.
Censura dilagante. Il caso del film Il testimone
Un chiaro esempio del clima di censura dilagante è il boicottaggio de “Il testimone”, film russo che denuncia i crimini di guerra del regime Zelensky.
Il film è stato, fin da subito, denunciato dai media come “propaganda filoputiniana”, da cui tenersi alla larga. A Bologna l’amministrazione del Pd è intervenuta direttamente per fermare la sua proiezione da parte di una associazione culturale, minacciando di revocarle la concessione degli spazi. A Firenze il sindaco Nardella, sempre del Pd, ha denunciato il film per incitamento all’odio e ha intimato al teatro dell’Affratellamento, che aveva in programma di proiettarlo, di sospendere l’iniziativa. L’intervento istituzionale ha portato il teatro a rinunciare.
A Milano, dove il film è stato proiettato il 13 febbraio nel Circolo di unità proletaria, la comunità ucraina, sostenuta dal Pd, ha organizzato una manifestazione di protesta davanti al locale che si è protratta per tutta la sua durata.
Insomma, questo Partito Democratico non sembra poi così democratico… Come si vede, la censura non è più solo una prerogativa delle destre al governo. È invece parte integrante della tendenza della classe dominante e di tutte le sue istituzioni a fare fronte alla crescente resistenza delle masse popolari con una repressione sempre più aperta e dispiegata.