La mattina del 16 febbraio a Firenze crolla una struttura destinata a diventare un nuovo supermercato Esselunga. Una strage, cinque operai morti e tre feriti è la conta finale delle vittime. La portata dell’evento costringe anche i media più asserviti a mostrare la cruda realtà.
In quel cantiere stavano lavorando operai senza contratto e formazione adeguata, erano i famosi “distaccati”, ammessi e concessi dalle principali organizzazioni sindacali ormai da vent’anni.
In quel cantiere si contano più di trenta aziende diverse che lavorano tra appalti e subappalti, rendendo talmente alta la probabilità di “errori” da stupirsi che non sia successo prima.
Quel cantiere è l’ennesima speculazione edilizia fatta in fretta e furia e al risparmio, in un’area pubblica dove i residenti, da anni, chiedevano l’apertura di un parco.
Una situazione che non concede margini di assoluzione ai responsabili diretti e indiretti, che si lanciano subito in una gara allo scarica barile. Il sindaco, Dario Nardella, ha voluto precisare che la nuova proprietà del cantiere non c’entra e che bisogna indagare sulle aziende costruttrici. Sia mai che qualcuno ricerchi i responsabili tra chi ha approvato e sostenuto questo progetto. Il governo e le associazioni padronali, tra un minuto di silenzio e l’altro, parlano di incidente e restringono al singolo evento la ricerca delle cause, come se le cause vere non fossero sotto gli occhi di tutti. I sindacati di regime rimestano nell’eco del “mai più stragi”, cercando di nascondere l’evidenza: anche questa strage è una conseguenza della loro complicità, evidenziata – pure questa volta – dal rifiuto di proclamare un serio sciopero generale.
I risultati dello spettacolo raccapricciante sono sotto gli occhi di tutti. La politica borghese e le associazioni padronali hanno già imboccato il loro inutile dibattito, che non supererà la fine del mese. I sindacati di regime, con i sassi sempre più alle porte, continuano a tentare di restare in piedi scaricando sui rispettivi concorrenti politici le loro responsabilità. E ai lavoratori, quindi, che resta da fare?
(…) I lavoratori sono gli unici ad aver interesse a mettere fine a questo massacro. È chiaro che sono anche gli unici a poterlo fare. È talmente chiaro che l’hanno sempre detto anche i padroni nei loro corsi di formazione: “non c’è norma o regola che si possa far rispettare, se non è per primo il lavoratore a farlo”. Quello che non spiegano è qual è la strada per farlo. Perché una strada c’è, è l’unica oggi, come lo era ieri e sempre sarà, è l’organizzazione e la mobilitazione dei lavoratori.
Iscritti o non iscritti ai sindacati, delegati oppure no: ogni lavoratore, in qualunque posto di lavoro, ha la possibilità di organizzarsi. Non importa quanti si è quando si parte e non è importante il pretesto da cui si parte. Anche semplicemente rifiutarsi di aggirare i sistemi di sicurezza è un buon inizio – ed è una decisione che non si può prendere senza il supporto e la solidarietà dei propri colleghi.
A maggior ragione, l’organizzazione dei lavoratori è la strada principale anche nelle aziende dove ci sono già operai che si organizzano e si mobilitano. Sostituire i macchinari usurati e pericolosi o anche solo applicare le norme di sicurezza è impossibile se in un azienda non c’è chi ogni giorno vigila e ha la forza di imporsi. La salubrità dei luoghi di lavoro e la formazione adeguata possono essere scritte su tutte le piattaforme e tutti gli accordi del mondo, ma non saranno rispettate se poi nei singoli posti di lavoro non c’è la forza per imporle.
(…) In ogni contesto a ogni lavoratore e lavoratrice di questo paese, indipendentemente dal livello di coscienza che ha oggi, la situazione impone due vie: lasciarsi andare lentamente, nelle mani del padrone, oppure combattere.
LM
***
Due modi per affrontare il problema: che direzione prende la Cgil?
Esistono due modi per affrontare il problema della strage di lavoratori.
Il primo modo è quello di proseguire l’andazzo con cui finora è stato affrontato: chiedere e rivendicare attraverso piattaforme, incontri con governi e ministri, conferenze e grandi proclami maggiori tutele per i lavoratori, assunzioni negli ispettorati del lavoro e più controlli, sanzioni e penali per le aziende. Nel migliore dei casi, tutto ciò verrà accompagnato da qualche ora di sciopero, che richiederà il cambiamento di qualche legge appellandosi al ministro di turno. Questa linea, questo modo di affrontare il problema, ha già mostrato ai lavoratori che affidarsi al boia (Confindustria e le altre associazioni padronali) o a chi concede al boia la mannaia per colpire i lavoratori (i governi formati dai partiti delle Larghe Intese e tecnici che si sono susseguiti negli ultimi quarant’anni) ha portato ad avere, dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2023, 21.050 lavoratori uccisi, ammazzati sia sui luoghi di lavoro che durante il viaggio, a cui si aggiungono ogni anno decine di migliaia di infortuni molto spesso dichiarati “incidenti domestici” o simili su pressione dei padroni. Negli ultimi cinque anni, oltre 300.000 lavoratori hanno subito danni permanenti da infortunio sul lavoro e altrettanti si sono ammalati per agenti inquinanti e mansioni usuranti. Un fenomeno in crescita tanto sono cresciuti la precarietà e il ricatto padronale, in particolare da quando il Jobs Act firmato dal governo Renzi ha abolito l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
L’introduzione della patente a punti patrocinata da Landini e sostenuta da Pierpaolo Bombardieri (Uil) prevede, inoltre, un punteggio al di sotto del quale le aziende non possono lavorare con la Pubblica Amministrazione (appalti, commesse, ecc.), oppure devono chiudere e quindi, precisiamo noi, licenziare. Suggerisce ai padroni, nella sostanza, che è sufficiente non investire in sicurezza e causare incidenti per chiudere le aziende e delocalizzare le produzioni. Che ne facciamo delle aziende che chiuderanno e degli operai che saranno licenziati? Non è un caso, infatti, che la maggior parte degli omicidi padronali avvengono nelle aziende destinate dai padroni a morte lenta e a chiusura: quanto più velocemente i padroni intendono smantellare le aziende, tanto meno spendono denaro per la sicurezza dei lavoratori.
Il secondo modo per affrontare il problema è invece quello di mobilitare i propri iscritti e gli altri lavoratori a imporre, con ogni mezzo necessario, le misure che servono, ossia:
– convergere sulla proposta di legge per l’istituzione del reato di omicidio e lesioni gravi o gravissime sul lavoro promossa da Rete Iside e Unione Sindacale di Base (Usb), costituire in ogni azienda gruppi di lavoratori che si occupano di promuoverla e così contribuire a renderla una campagna di mobilitazione generale dei lavoratori in combinazione con scioperi e altri tipi di iniziative;
– estendere l’azione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (comparto della Pubblica Amministrazione, che fa capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali), aumentando il numero di ispettori per ispezionare da cima a fondo capannoni, cantieri, uffici, macchinari, per controllare i carichi di lavoro e le mansioni usuranti, i contratti di assunzione e le reali mansioni assegnate ai lavoratori, la qualità dei materiali e della strumentazione, la formazione professionale e tutto ciò che riguarda anche solo il minimo rischio per la salute dei lavoratori, per contrastare il lavoro nero e il caporalato attraverso un attento lavoro di vigilanza, imponendo la regolarizzazione e l’assunzione di tutti i lavoratori precari e a nero. Questo va combinato con lo stanziamento immediato di fondi e altre risorse necessarie per i controlli, con la rimozione di quei dirigenti della Pubblica Amministrazione incapaci o collusi che, nei fatti, si rendono corresponsabili dello stato di degrado e inerzia degli ispettorati del lavoro e la loro sostituzione con persone competenti, non corrotte dai padroni e quindi di fiducia dei lavoratori;
– estendere e rafforzare l’azione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (Rls), le Rappresentanze Sindacali Aziendali (Rsa) e le Rappresentanze Sindacali Unitarie (Rsu) affinché controllino l’operato dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (non limitarsi a fare le segnalazioni, ma denunciare quando i controlli non avvengono, i rapporti di corruzione tra alcuni ispettorati e le aziende, ecc.), collaborino con gli ispettori per far sì che i controlli siano periodici e adeguati, venga diffusa la cultura della sicurezza sul lavoro tra i lavoratori.
Queste sono tutte misure di buon senso che il Governo di Blocco Popolare attuerà sistematicamente, una volta instaurato, impiegando tutte le risorse necessarie ad avere un corpo di ispettori del lavoro non corrotto, dedito a tutelare i lavoratori e capace di fare il proprio lavoro, che collaborerà attivamente con gli organismi operai e popolari e gli Rls, Rsa e Rsu nei controlli. Allo stesso tempo, sono tutte misure che bisogna sollecitare e puntare a mettere in campo già oggi, nell’immediato, facendo leva sulla mobilitazione dei lavoratori.
Da “Maurizio Landini, la patente a punti per le aziende e la lotta dei lavoratori” – Comunicato del (n)Pci del 28 febbraio 2024