Contro il revisionismo storico

L’azione di via Rasella e la strage delle Fosse Ardeatine

Il 23 marzo ricorre l’anniversario dell’azione di via Rasella a Roma, la più importante operazione militare della Resistenza nella capitale occupata dai nazisti, condotta dai Gruppi di Azione Patriottica (formazioni militari del Partito Comunista). Il 24 marzo ricorre l’anniversario della strage delle Fosse Ardeatine, la rappresaglia dei nazisti che, il giorno seguente l’attacco dei partigiani, fecero fucilare 335 tra antifascisti, ebrei e detenuti comuni, dieci per ogni tedesco ucciso.
Fin da subito, questi fatti sono stati al centro dell’opera di revisionismo storico portata avanti dalla classe dominante e dai suoi servi per screditare la Resistenza e, in particolare, l’opera del Partito Comunista.
Già il 26 marzo del 1944, infatti, il giornale del Vaticano, L’Osservatore Romano, pubblica un comunicato in cui mette sullo stesso piano i nazisti morti nell’azione partigiana e le vittime giustiziate a freddo nella rappresaglia. E soprattutto incolpa i partigiani di quest’ultima, con una tesi quanto meno singolare: se i responsabili dell’azione si fossero consegnati ai nazisti, questi non avrebbero condotto la rappresaglia.
È attorno a questa tesi che, nei decenni successivi, si è costruita la narrazione revisionista. Le versioni possono variare, ma nei suoi tratti fondamentali la tesi resta questa: l’azione di via Rasella era priva di valore militare, perché la colonna attaccata era composta non di soldati nazisti, ma di musicisti, una banda di suonatori per di più anziani, prossimi alla pensione; non poteva essere utile all’avanzata degli Alleati poiché la situazione al fronte era in un periodo di stallo; era un’azione irresponsabile, poiché esponeva Roma, che era stata dichiarata città aperta (in pratica non sarebbe stata usata ai fini della guerra e non si sarebbe combattuto in città), e i suoi abitanti a rappresaglie.

La responsabilità della strage delle Fosse Ardeatine sarebbe quindi da addossare ai partigiani, responsabili non solo di aver compiuto un’azione inutile, pur consapevoli di quale sarebbe stata la reazione tedesca, ma anche e soprattutto di non aver risposto a un fantomatico appello dei nazisti a consegnarsi, lasciando che degli innocenti venissero fucilati al posto loro.
Già lo scorso anno la pletora di nostalgici del fascismo che compone l’attuale governo ha dato il via alle provocazioni sull’eccidio delle Fosse Ardeatine, con la Meloni e La Russa in testa nel riprendere nelle loro dichiarazioni ufficiali le tesi revisioniste di cui sopra: la colonna di nazisti era una banda musicale, secondo La Russa; le vittime della rappresaglia nazista sono state uccise “perché italiane”, secondo la Meloni (quando invece c’erano italianissimi fascisti ad aiutare i nazisti: fu lo stesso questore fascista di Roma ad aiutare a compilare le liste di chi doveva essere fucilato, pescandoli non semplicemente tra “gli italiani”, ma tra gli antifascisti e gli ebrei).

È probabile che nel contesto della campagna elettorale per le europee e con l’avvicinarsi del 25 Aprile tali provocazioni verranno riprese ed estese, allo scopo di portare più a fondo la propaganda antipartigiana e anticomunista. A maggior ragione è quindi importante tornare su questi fatti, per smontare il castello di bugie su cui si regge la narrazione revisionista.
Anzitutto occorre avere presente il contesto in cui sono avvenuti i fatti. L’azione di via Rasella avviene il 23 marzo 1944. In quel momento Roma è occupata da oltre sei mesi dai nazisti, che l’hanno presa in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo tre giorni di combattimenti, mentre il re e il governo fuggivano precipitosamente a Brindisi.
Nonostante sia stata dichiarata dai nazisti città aperta, viene utilizzata dalla Wehrmacht come retrovia per il fronte di Anzio (dove erano sbarcati gli Alleati) per fare transitare i rifornimenti, far riposare le truppe e come sede di comandi e centri di comunicazione. Viene perciò colpita quasi giornalmente dai bombardamenti alleati.
Nella città si susseguono inoltre rastrellamenti dei nazisti, che bloccano interi quartieri: arrestano antifascisti ed ebrei per mandarli nei campi di sterminio e semplici proletari per spedirli ai lavori forzati in Germania e alimentare la macchina bellica tedesca. Ma si susseguono anche le azioni partigiane: vengono colpite colonne e centri di rifornimento, caserme, cortei di fascisti, ufficiali tedeschi e commissari della polizia repubblichina; non di rado dal Tevere emergono corpi di soldati nazisti. Tanto che il colonnello delle SS Dollmann dichiarerà al suo processo per crimini di guerra: “Roma è la capitale che ci ha dato più filo da torcere”.

Roma non è quindi certo una città pacificata, dove l’azione di via Rasella ha rappresentato un fulmine a ciel sereno, anzi: è a tutti gli effetti una città in guerra e sotto una feroce occupazione militare.
In questo contesto, gli Alleati chiedono insistentemente ai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale di compiere azioni contro i nazisti dentro Roma, per impedire ai tedeschi di continuare a usare la città come retrovia per il fronte.
Così, nei giorni immediatamente precedenti il 23 marzo, alcuni appartenenti ai Gruppi di Azione Patriottica, operanti nella capitale, adocchiano la colonna militare Bozen, che sfila ogni giorno per via Rasella cantando in tedesco. La colonna è composta da truppe alto atesine (Bozen sta per Bolzano, la cui regione era stata annessa direttamente al Reich tedesco): 150 uomini in assetto da guerra, armati di mitra e bombe a mano. È un reparto di polizia militare, che partecipa regolarmente ai rastrellamenti nei quartieri romani e che in seguito diverrà parte integrante delle SS. Insomma, di certo non una banda di musicisti pensionati.
Rapidamente i gappisti si confrontano con i vertici del Partito Comunista e si decide per l’attacco.
Il 23 marzo diciassette gappisti (tutti ragazzi sui vent’anni) si apprestano ad attaccare la colonna nazista. Il piano d’attacco è tanto semplice quanto efficace: quando la colonna entra in via Rasella, un gappista accende la miccia di una bomba artigianale piazzata a metà della strada e si allontana; cinquanta secondi dopo la bomba esplode in mezzo alla colonna militare, che va nel panico e spara ovunque all’impazzata (uccideranno un poliziotto fascista). A quel punto altri quattro gappisti sbucano alle spalle dei nazisti, lanciando bombe a mano e infine entrano in gioco altri partigiani armati di pistola, che coprono la ritirata.
Il piano riesce senza grandi intoppi: trentatré nazisti muoiono nell’attentato, decine restano feriti.

Il giorno dopo, il 24 marzo, arriva la rappresaglia. Sempre il colonnello Dollmann testimonierà che l’ordine arrivava direttamente da Hitler, che alla notizia dell’azione di via Rasella comanda di ammazzare dieci prigionieri per ogni tedesco ucciso. È bene dire che mai prima i nazisti avevano operato una rappresaglia di questo tipo, giustiziando prigionieri pescati a caso in proporzione ai loro morti. E soprattutto che la rappresaglia avviene in segreto, per paura che la città insorga alla notizia delle fucilazioni. Solo il 25 marzo i giornali pubblicano un comunicato del comando tedesco in cui si dà notizia dell’avvenuta rappresaglia.
Come si vede, la tesi secondo cui i nazisti avevano chiesto ai partigiani di consegnarsi e le vittime delle Fosse Ardeatine erano state giustiziate al posto dei responsabili dell’azione di via Rasella è completamente inventata.
Nonostante l’orrore della rappresaglia, l’azione di via Rasella ottiene ottimi risultati a livello militare: i nazisti smettono di far transitare i rifornimenti sulle vie consolari e di utilizzare Roma come retrovia (la città infatti non viene più bombardata dagli Alleati nei due mesi successivi) e sono costretti a distogliere forze dal fronte per le operazioni repressive.

Insomma, le tesi revisioniste sono completamente campate per aria, non hanno nessun valore storico, servono solo a gettare fango sulla Resistenza e i comunisti. L’azione di via Rasella non fu certo un inutile e vile attentato come sostengono fascisti e anticomunisti. Fu un’azione eroica, ardita e geniale, condotta da una manciata di ragazzi male armati contro una colonna di 150 nazisti in assetto da guerra, pienamente funzionale alla strategia della Resistenza e degli Alleati, che conseguì per intero i suoi obiettivi. La responsabilità della rappresaglia è da imputarsi interamente alla barbarie nazista e non certo a chi questa barbarie la combatteva in prima persona al prezzo della vita.

Una fonte: la lezione del professore Alessandro Barbero I Gap di Roma e l’attentato di via Rasella

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