L’umanità sta subendo gli effetti della crisi generale del capitalismo. È una “malattia” sorta cinquant’anni fa (a metà degli anni Settanta) che prima è stata negata (quando, fin dagli anni Ottanta, dicevamo che era iniziata la seconda crisi generale del capitalismo, tutti ci prendevano per matti) poi sottovalutata e infine “esplosa” con tutte le sue conseguenze economiche, ambientali, sociali e culturali. Oggi tutti parlano di crisi, anche gli economisti, i politologi e i professori pagati dalla classe dominante. Ma ognuno di loro si guarda bene dall’indicarla come la causa comune delle tante e diverse “emergenze” che si susseguono e dal formulare una via d’uscita concreta.
Prendiamo solo gli ultimi quattro anni: pandemia, guerra in Ucraina, genocidio in Palestina. A ciò si aggiungono gli sconvolgimenti in atto nei principali paesi imperialisti: gli Usa sono sull’orlo della guerra civile, come la Francia; la Germania è in recessione economica, ecc.
La questione è che siamo, da circa un secolo, nel pieno dell’epoca imperialista. Il modo di produzione capitalista ha raggiunto e superato l’apice del suo sviluppo ed è diventato la principale causa della rovina della società. È l’epoca di grandi e inevitabili sconvolgimenti, è l’epoca della guerra e della rivoluzione socialista.
O la rivoluzione socialista previene e scongiura la guerra mondiale oppure la guerra mondiale prepara la rivoluzione socialista.
Per concepire la rivoluzione socialista come una strada concreta bisogna, in primo luogo, “avere la rivoluzione socialista in testa”, come i capitalisti hanno in testa il profitto e i guerrafondai la guerra
Chi si illude che l’attuale classe dominante, la borghesia imperialista, si fermerà prima dell’irreparabile è smentito sia dalla storia che dagli avvenimenti attuali.
È smentito dalla storia perché una situazione del tutto simile si è già presentata all’epoca della prima crisi generale del capitalismo (1900-1945). E la borghesia imperialista NON si è fermata: ha trascinato il mondo nel vortice della Prima e della Seconda guerra mondiale, con enormi distruzioni e crimini di ogni sorta, da una parte, e la nascita e lo sviluppo del campo dei primi paesi socialisti (la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia trionfò proprio nel contesto della guerra mondiale) e la lotta di liberazione antimperialista dei popoli coloniali, dall’altra.
Per quanto riguarda gli avvenimenti attuali basta guardarsi intorno. La “guerra in Ucraina” ha sancito un salto che la classe dominante ha cercato in ogni modo di nascondere con una martellante propaganda sull’invasione russa, quando in realtà il conflitto è la conseguenza delle manovre della Nato per espandersi a Est, accerchiare la Federazione Russa e conquistare posizioni contro questa e contro la Repubblica Popolare Cinese. La “guerra in Ucraina” è guerra della Nato, per interposta persona, contro la Federazione Russa. Ma, contemporaneamente, le provocazioni della Nato si sono estese contro la Repubblica Popolare Cinese (con il pretesto di Taiwan), alla Repubblica Popolare Democratica di Corea, al Venezuela e all’Iran. La Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue sta conducendo un genocidio in Palestina e opera per allargare la guerra aperta e dispiegata a tutto il Medio Oriente.
La borghesia imperialista, spontaneamente, non si fermerà. Non ha né la volontà né la possibilità di farlo, perché fermarsi vuol dire far crollare più velocemente la cappa di oppressione, ricatto, speculazioni, affarismo e rapina con cui domina il mondo. Fermarsi vorrebbe dire estinguersi.
Di fronte al marasma in cui il mondo è immerso, invocare il ritorno “alla normalità” è un’illusione o un imbroglio. Non si torna indietro: la causa di questo marasma è esattamente la (finta) normalità che l’ha preceduto.
Solo la rivoluzione socialista può fermare la classe dominante. Fermarla, spazzarla via e porre le basi per un’epoca nuova per l’umanità, l’epoca dell’edificazione del socialismo e della transizione al comunismo.
Data l’attuale debolezza del movimento comunista cosciente e organizzato, la prospettiva della rivoluzione socialista appare improbabile anche a tanti che idealmente concordano e si dicono, si sentono, e idealmente sono, comunisti. Appare come un atto di fede anziché come una strada concreta da percorrere. È utile soffermarsi su questo argomento.
Per concepire la rivoluzione socialista come una strada concreta bisogna, in primo luogo, “avere la rivoluzione socialista in testa”, così come i capitalisti hanno in testa il profitto e i guerrafondai la guerra. Bisogna essere guidati dalla concezione comunista del mondo, così come i capitalisti sono guidati dalla concezione borghese e i preti da quella clericale.
Per i comunisti questo significa liberarsi dal senso comune corrente, che è un miscuglio di concezione borghese, concezione clericale e concezione comunista, e assimilare (sul piano ideologico e morale) e usare (sul piano pratico) la concezione comunista. A questo scopo non esiste altra scuola che non sia il partito comunista.
Se il partito comunista – e nel nostro paese ce ne sono vari di questo tipo – si preoccupa di diventare grande – soprattutto attraverso la partecipazione alle elezioni e prendendo a criterio di verifica i risultati elettorali – e di diventare forte – soprattutto attraverso la promozione di lotte rivendicative e prendendo a criterio di verifica la partecipazione delle masse alle lotte rivendicative che promuove – allora, anziché formare instancabilmente i propri membri all’assimilazione e all’uso della concezione comunista del mondo, abdica al suo ruolo. E il risultato, surreale e a tratti ridicolo, è che proprio dai comunisti arriva alle masse il messaggio che “non ci sono le condizioni per fare la rivoluzione socialista”, “il nemico è troppo forte”, “non è il momento”. Un messaggio che alimenta attendismo, disfattismo e rassegnazione anziché la ribellione, la riscossa e l’organizzazione.
Possiamo dunque affermare che se la fiducia nella rivoluzione socialista appare come un atto di fede anziché come granitica certezza che il socialismo è il futuro dell’umanità, la principale ragione sta nella debolezza ideologica del movimento comunista cosciente e organizzato.
In secondo luogo, la rivoluzione socialista DEVE essere una prospettiva concreta per i comunisti prima che per i lavoratori e le masse popolari. Chi pensa che il movimento rivoluzionario si sviluppi spontaneamente senza l’azione cosciente dei comunisti e del partito comunista è destinato ad aspettare un treno che non passerà, quali che siano le condizioni oggettive. Non è vero che quanto più la situazione peggiora, tanto più “la rivoluzione scoppia”: senza la direzione dei comunisti la mobilitazione delle masse popolari – per quanto estesa e radicale – non si sviluppa oltre un livello elementare e, senza l’intervento dei comunisti, può persino confluire nella mobilitazione reazionaria promossa dalla classe dominante. Sono i comunisti che devono avere coscienza che siamo in una fase rivoluzionaria, che devono far valere questa coscienza e porsi come avanguardia del proletariato e delle masse popolari.
Ogni volta in cui i comunisti non assumono questo ruolo, contribuiscono a dare alla prospettiva della rivoluzione socialista un valore astratto, la presentano alle masse come un “inaccessibile” atto di fede.
In terzo luogo, la rivoluzione socialista si costruisce, passo dopo passo. È un processo. Non si sviluppa principalmente convincendo il proletariato e le masse popolari di quanto sia giusta e possibile, ma facendoli partecipare direttamente ai passi concreti attraverso cui il processo si sviluppa.
Nel marasma attuale noi comunisti non possiamo e non dobbiamo limitarci a denunciare il cattivo presente. Abbiamo il compito di dire la verità (in questo rientra la denuncia del cattivo presente) e di mettere in opera tutte le iniziative che abbiamo la forza di realizzare per alimentare l’organizzazione e la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Per inciso, è proprio in questo modo che il vecchio Pci è diventato grande e forte: dirigendo la resistenza contro il nazifascismo nonostante fosse un piccolo partito clandestino, perseguitato e flagellato dalla repressione. Ha conquistato il suo ruolo ponendosi alla testa della lotta di classe, non rinviando il momento di lottare per l’obiettivo più alto.
Possiamo, a questo punto, tirare alcune conclusioni. La crisi generale del capitalismo ha le radici nell’economia, ma si propaga a tutti gli aspetti della società perché nella società capitalista tutto è in funzione del profitto (la ricerca del profitto dirige tutto).
La soluzione alla crisi è, invece, prima di tutto politica: la rivoluzione socialista è la cosciente mobilitazione per sostituire il modo di produzione capitalista con il modo di produzione socialista e per riordinare tutte le attività umane in funzione del benessere delle masse popolari e della convivenza pacifica dei popoli.
Da qui deriva il compito dei comunisti oggi: “dare uno sbocco politico alle mobilitazioni e alle proteste di cui le masse popolari sono protagoniste”. Compito tanto più urgente quanto più la classe dominante impone al mondo, in modo sempre più evidente, il suo corso disastroso.
La sintesi è che per quanto il movimento comunista cosciente e organizzato può apparire debole – ed esserlo realmente – deve contendere alla classe dominante la direzione della mobilitazione delle masse popolari. La mobilitazione spontanea che la classe dominante intruppa nella mobilitazione reazionaria (guerra fra poveri, guerra fra Stati) i comunisti la devono incanalare nella guerra popolare rivoluzionaria. Questa è la funzione del partito comunista, questo è il presente della lotta di classe.