Non aspettare che cada da solo

Organizzarsi e mobilitarsi per cacciare il governo Meloni

Le mobilitazioni e le proteste dello scorso autunno si sono apparentemente raffreddate, senza peraltro ottenere nessuno degli obiettivi che i promotori avevano definito – in particolare i cinque scioperi generali di Cgil e Uil. In termini di estensione della mobilitazione popolare, oggi siamo in una situazione per cui chi si ostina a voler vedere il bicchiere mezzo vuoto torna a ripetere che “in Italia non si muove niente”.
Noi ragioniamo in modo diverso. Non perché continuiamo ostinatamente a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, ma perché abbiamo l’obiettivo di riempire il bicchiere fino a farlo traboccare.

***

I motivi per cui le mobilitazioni dello scorso autunno si sono (solo) apparentemente raffreddate sono essenzialmente due.
– I principali promotori, in particolare i vertici della Cgil e della Uil, non avevano fin da principio alcuna intenzione di mettersi alla testa di una lotta ampia e dispiegata per cacciare il governo Meloni attraverso le proteste contro la legge di bilancio. Hanno quindi proceduto con il freno a mano tirato e anzi, anche quando Salvini ha offerto l’appiglio per uno scontro diretto con il governo, con la precettazione dello sciopero dei trasporti del 17 novembre, si sono limitati a “dichiarazioni di fuoco”. Dichiarazioni, per l’appunto. Niente di più.
– Il variegato fronte anti Larghe Intese – partiti e organizzazioni del movimento comunista, sindacati di base, organismi operai e popolari, sinistra dell’associazionismo, delle reti e dei movimenti – tutt’altro che coeso, non ha saputo mettere in campo un’azione efficace per valorizzare la spinta alla mobilitazione che pure montava; non ha saputo intervenire affinché la convergenza delle mobilitazioni si sviluppasse oltre un livello spontaneo ed elementare e non ha saputo intervenire sulla parte più organizzata e combattiva di chi scendeva in piazza per incalzare i vertici dei sindacati di regime. Sono tre limiti strettamente legati alle resistenze a prendere l’iniziativa per dare alla mobilitazione delle masse popolari uno sbocco politico (vedi Editoriale).

Nonostante ciò, le mobilitazioni dello scorso autunno hanno creato condizioni più favorevoli alla lotta contro il governo Meloni, contro le Larghe Intese e per costituire un governo di emergenza delle masse popolari organizzate. Bisogna individuare queste condizioni e valorizzarle.

1. Le manifestazioni in solidarietà al popolo palestinese e in sostegno alla resistenza – che peraltro continuano dal 7 ottobre tutte le settimane in molte città – hanno contribuito a dare a ogni altra mobilitazione del periodo, quale che fosse la motivazione per cui è nata, un carattere internazionalista e hanno rafforzato la partecipazione (o per lo meno hanno sensibilizzato una parte più ampia di masse popolari) alle proteste contro la terza guerra mondiale a pezzi verso cui gli imperialisti Usa e i sionisti trascinano il mondo.

2. Le mobilitazioni contro la violenza di genere, e in particolare la giornata del 25 novembre, hanno mandato in frantumi i tentativi di unità nazionale del governo Meloni e le manovre per alimentare la guerra fra poveri promossi dalle Larghe Intese. Non solo, hanno contribuito a porre in un modo complessivamente più avanzato la relazione fra diritti sociali e diritti civili (anziché alimentare la contrapposizione) e hanno rafforzato il protagonismo delle donne delle masse popolari.

3. Se è vero che le secchiate d’acqua gelida che i vertici dei sindacati di regime hanno buttato sulle proteste contro il governo hanno contribuito a raffreddare le mobilitazioni, è altrettanto vero che proprio questo ha trasmesso ancor più l’impressione che serva ben altro per risolvere i conti: decine di migliaia di lavoratori che hanno scioperato e sono scesi in piazza si chiedono oggi a cosa sia servito farlo, dato che la legge di bilancio è stata approvata e il governo Meloni, ancora in sella, sta preparando altre “delizie” per le masse popolari (a partire dall’inasprimento delle misure repressive contro chi sciopera, manifesta, occupa, ecc.). Detto in altri termini hanno toccato con mano che la linea di scioperare e manifestare “per essere ascoltati dal governo” è un vicolo cieco.
Il sostanziale immobilismo dei vertici di Cgil e Uil di fronte alle precettazioni e all’attacco al diritto di sciopero apre un enorme campo di intervento per i sindacati alternativi e di base. Adesso tocca a loro approfittarne per alimentare la mobilitazione dei lavoratori anziché lanciarsi nelle beghe e nei piagnistei contro i sindacati di regime. Lo sciopero proclamato proprio dal sindacalismo di base nel trasporto pubblico locale del 24 gennaio è un primo importante momento di rilancio.

4. Il complesso delle mobilitazioni, ma in particolare quella lanciata dal Collettivo di Fabbrica della ex Gkn contro i licenziamenti che avrebbero dovuto scattare dall’1 gennaio, hanno sedimentato parecchia brace sotto la cenere e adesso ogni vertenza delle almeno sessanta – contando solo quelle più significative: ex Alitalia, ex Ilva, Tim, ecc. – che “intasano” il ministero del lavoro (che oggi si chiama Mimit) sono una potenziale miccia per rinfocolare l’iniziativa operaia alla testa della lotta di classe in corso.

5. L’apparente raffreddamento delle mobilitazioni di piazza ha alimentato la tendenza di piccoli gruppi di lavoratori a organizzarsi e coordinarsi. Gli esempi sono molti, fra i più rappresentativi citiamo i lavoratori della sanità per la Palestina (abbiamo dato notizia sul numero scorso della petizione per rimuovere Marco Carrai dalla Fondazione Meyer di Firenze) e i lavoratori Carrefour per i diritti che, prendendo spunto dalla campagna di boicottaggio in corso contro Carrefour per il sostegno all’esercito sionista, provano ad aggregare i loro colleghi solidali con il popolo palestinese (vedi articolo a pag. 9).

6. Un discorso più generale riguarda i potenziali legami con quei settori delle masse popolari che si stanno attivando contro il governo Meloni a seguito degli appelli e per iniziativa di pezzi della “società civile”: dalla campagna dei giornalisti contro il bavaglio alla cronaca giudiziaria fino alle proteste contro l’autonomia differenziata.

Se tiriamo una sintesi, emerge chiaramente che il supposto raffreddamento delle mobilitazioni non c’è stato affatto: non siamo di fronte a un periodo di calma piatta e rassegnazione, ma a una rigogliosa situazione in cui tessere la tela della mobilitazione e della riscossa.
Riempire il bicchiere fino a farlo traboccare. Nonostante ci siano ampi margini di crescita e sviluppo della mobilitazione popolare (e i motivi delle proteste aumenteranno nel prossimo periodo) le manifestazioni di malcontento e persino le manifestazioni di ribellione – per quanto possano essere radicali – da sole non bastano. La condizione per riempire il bicchiere è avere ben chiari gli obiettivi e darsi i mezzi per perseguirli.
Un esempio? È stata proprio la “fumosità” con cui Cgil e Uil hanno proclamato gli scioperi di novembre (“per essere ascoltati dal governo”) che ha ostacolato una partecipazione ancora più ampia dei lavoratori, partecipazione che invece è cresciuta dal momento in cui Salvini, con la precettazione del 17 novembre, ha portato un attacco diretto al diritto di sciopero e le manifestazioni sono diventate “contro Salvini, contro il governo e per difendere il diritto di sciopero”.
Ci vogliono obiettivi chiari, dunque. Il più chiaro, quello su cui è possibile unire la parte più organizzata, combattiva e generosa dei lavoratori e delle masse popolari, è la cacciata del governo Meloni.
Però anche dire “cacciamo il governo Meloni” non basta, perché non si tratta di sostituire il governo Meloni con un altro governo delle Larghe Intese. È necessario affiancare il per – la prospettiva – al contro.

Qual è il motivo per cui ci sono tante resistenze a indicare chiaramente un obiettivo di prospettiva?
Pesano le tare ideologiche che ancora gravano sul movimento comunista del nostro paese, in particolare – ai fini di questo discorso – l’elettoralismo: indicare la prospettiva elettorale e “la lunga marcia nelle istituzioni” è un’illusione che alimenta sfiducia e rassegnazione, non combattività. I comunisti devono usare anche le elezioni, ma le elezioni sono uno strumento, non il fine.
In questa fase, il movimento comunista ha un ruolo positivo per la mobilitazione delle masse se pone apertamente la questione politica del governo del paese. Se si pone alla testa del movimento per imporre un governo di emergenza delle masse popolari.
Incontriamo spesso compagni e compagne sfiduciati rispetto alla possibilità di questa prospettiva. Ma guardiamo la realtà, anziché ragionare sulla base degli stati d’animo e delle suggestioni!
A cosa ha portato l’illusione elettoralista? A cosa ha portato l’illusione movimentista? A cosa porta dire che “in Italia non si muove niente”? Nel migliore dei casi sono giustificazioni per non assumere il compito e le responsabilità che spettano ai comunisti. E del resto, compagni, se non siamo noi comunisti a promuovere l’organizzazione e la mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari per costituire e imporre un loro governo di emergenza, a chi dovremmo delegare – e per quanto tempo ancora – la questione del governo del paese?

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