Intervista a un lavoratore della vigilanza privata

Giorni indietro abbiamo incontrato un compagno che ci ha raccontato la sua esperienza lavorativa in Sicuritalia, azienda leader nel mercato Italiano per la sicurezza, dove per quasi trent’anni ha prestato servizio svolgendo prevalentemente il turno di notte. Per questioni di riservatezza ci chiede di non dire il suo nome e la sede dove era impiegato.

Nata dal già noto “Istituto Lariano di Vigilanza”, nel 2019 Sicuritalia cresce ulteriormente grazie all’acquisizione di IVRI (Istituti di Vigilanza Riuniti d’Italia) divenendo così il principale player italiano nel settore della Sicurezza Privata. Nel corso del 2023 Sicuritalia conclude l’acquisizione del gruppo estero MAAT Security, l’operazione le permette di entrare nei mercati di Belgio, Olanda e Germania. Grazie a questa annessione arriva a posizionarsi come il secondo più importante operatore a livello europeo nell’ambito dei servizi di sicurezza per aziende e privati. Attualmente sono circa 15 mila i lavoratori impiegati nel nostro pese, tra questi 11mila prestano servizio armato (pattugliamento, scorte a carichi eccezionali compreso materiale bellico, piantonamento ad aziende e strutture pubbliche), mentre i restanti 4mila senza il porto d’armi presidiano le reception e i cantieri. Tra i suoi 100.000 clienti, Sicuritalia annovera, oltre a privati e piccole aziende, blasonate committenze in ambito industriale, bancario, commerciale e pubblico, tra queste spiccano Intesa San Paolo, Unicredit, Carrefour, Esselunga, TIM, Vodafone, Leonardo, Fincantieri, Eni, Enel.

Il compagno ci parla di un settore in forte espansione, che durante il periodo delle restrizioni dovute al dilagare del virus ha continuato a lavorare, ottenendo importanti commesse e accumulando ingenti profitti. Quello della vigilanza privata infatti è uno dei pochi settori dove assumono in continuazione. Il problema è che le condizioni di lavoro e la sicurezza dei dipendenti non hanno avuto uno sviluppo pari a quello dell’azienda, con la crescente richiesta di flessibilità nell’orario lavorativi e di svolgere mansioni che prima non venivano richieste: è significativo che durante il periodo del lockdown i lavoratori della vigilanza armata siano stati impiegati per controllo degli accessi negli ospedali. Ci ha raccontato che addirittura durante il periodo del Covid in più di una occasione si è trovato a dover sanificare l’auto usata dal collega che aveva svolto il turno precedente al suo perché non esisteva alcun servizio di sanificazione e pulizia organizzato dall’azienda, ma cosa ancora più grave che non era previsto alcun supporto psicologico per sostenere i lavoratori impegnati nel turno di notte particolarmente soggetti a crisi a causa del contesto surreale in cui improvvisamente sii sono trovati a lavorare. A questo aggiunge le condizioni contrattuali che nonostante le proteste e gli scioperi sono tutt’ora da caporalato: dopo anni di battaglie è stato rinnovato il CCNL ma nei fatti non è cambiato nulla rispetto alla condizione precedente.

Con lo stipendio da fame che percepisce un lavoratore della vigilanza privata è quasi un obbligo rendersi disponibili a fare gli straordinari, ai doppi turni, a ignorare le pessime condizioni dei mezzi di trasporto che soprattutto per chi svolge il servizio nelle zone montane o in peridi particolari dell’anno sono molto importanti. Nei trent’anni in cui ha prestato servizio per Sicuritalia più volte è venuto a conoscenza di colleghi che dopo una settimana di straordinari e doppi turni sono incappati in incidenti stradali dovuti al sonno e alla mancanza di riflessi, alcuni casi arrivando anche a infortuni molto gravi se non addirittura al decesso. Il lavoro ripetitivo e la postura adottata stando per diverse ora al giorno seduti all’interno di un veicolo nel lungo periodo porta a problemi anche molto gravi sia per il sistema nervoso che di neoplasie, ipoacusia da rumore, dolori ai muscoli e danneggiamenti all’apparato scheletrico. Queste patologie nella maggioranza dei casi vengono trascurate dall’azienda, ma molto spesso anche da colleghi distratti e superficiali. Questo mi porta a puntare il dito verso un sistema sociale che lascia campo libero alle aziende di sottovalutare l’importanza della sicurezza in nome della competitività produttiva, allo stesso tempo fa ricadere sull’individuo la responsabilità per gli infortuni dovuti al mancato rispetto delle regole.

A livello nazionale l’azienda è sindacalizzata. Nelle sedi che Sicuritalia ha in giro nel paese sono presenti rappresentanze gran parte delle rappresentanze sindacali espressione sia della destra che della sinistra di governo. Nonostante la categoria non sia propriamente la punta più avanzata della classe lavoratrice rivoluzionaria gli è capitato più volte di trovare colleghi anche molto combattivi e addirittura comunisti come lui che denunciano le condizioni in cui sono costretti a lavorare e che vorrebbero organizzarsi se solo trovassero un centro che li mobilita e che li organizza per vincere. Da quando il movimento comunista ha perso la sua forza anche i lavoratori hanno visto assottigliarsi uno dopo l’altro i diritti e le conquiste ottenute con le lotte degli anni ‘70. I lavoratori che oggi provano a organizzarsi in Sicuritalia o che non accettano di sottomettersi alle condizioni imposte dall’azienda sono soggetti a ricatti e repressione. Riguardo a questo ci racconta una vicenda, del tutto estranea al rendimento lavorativo ma capitata a un suo collega legato al movimento comunista, dove a causa di un procedimento penale che gli ha causato il blocco del porto d’armi è stato sospeso e tenuto senza stipendio per sei mesi. Il fatto strano è che da regolamento dopo sei mesi di mancato adempimento delle mansioni contrattuali l’azienda avrebbe dovuto licenziarlo, dandogli modo di accedere alla NASPI e quindi di poter riorganizzare la sua via cercando con serenità un altro impiego. Tutto questo non è avvenuto e le conseguenze hanno portato a disturbi psico fisici dovuti alla difficoltà a mantenersi ma soprattutto allo smacco dovuto al comportamento dell’azienda che dopo trent’anni di servizio ha voluto infierire sulla vita del compagno non rispondendo alle sue richieste di licenziamento e nei fatti tenendolo per ben due anni senza stipendio. Soltanto grazie al sostegno di amici e familiari e grazie all’accesso all’assistenza sociale il collega è riuscito prima a reagire psicologicamente e poi a dare battaglia per far valere i propri diritti e ottenere tutto quello che gli spetta.

Il sistema sociale capitalista ha delle regole ben chiare, che impongono a chi detiene il capitale (soldi, strumenti, capacità e forza lavoro) di sviluppare continuamente anche se farlo può significare arrecare dei danni alle persone e alla salvaguardia dell’ambiente. Spremere fino all’osso i lavoratori sfruttandoli, mal pagandoli, ricattandoli affinché siano disponibili allo straordinari e al doppio turno non solo è criminale nei confronti di chi riesce a vivere soltanto se lavora, è anche immorale in quanto l’impresa privata ha una responsabilità sociale come sancito nell’articolo numero 42 della Costituzione. Non interessarsi del benessere psico fisico dei propri dipendenti mette a repentaglio la loro vita ma anche quella delle masse popolari che possono diventare bersaglio di incidenti stradali e di comportamenti fuori dalle righe dovuti alla allo stress da lavoro correlato per i carichi di lavoro e la mancanza di riposo.

Iscriviti alla newsletter

Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.

I più letti

Articoli simili
Correlati

La lotta per la formazione

La formazione è un pilastro dell’attività del P.Carc. Si...

Manuale di Storia contemporanea

La conoscenza della storia è uno strumento della lotta...

4 novembre in piazza: appello del Calp di Genova

Unire le lotte e le mobilitazioni contro la guerra...

Quando i sionisti attaccano hanno paura della verità

Liliana Segre e la denuncia all'attivista Cecilia Parodi