Io non sono ricattabile. Così Giorgia Meloni rispondeva a Berlusconi a pochi giorni dall’insediamento del governo. Berlusconi pretendeva un peso maggiore e non ha esitato a ricordare a Meloni di avere elementi sufficienti a renderle la vita difficile nel caso non fosse stato accontentato.
Le parole di Giorgia Meloni ebbero molto risalto mediatico. Il che, coerentemente con gli usi e i paramenti della Repubblica Pontificia italiana, significa che erano false.
Giorgia Meloni è ricattabile, disponibile a essere ricattata, malleabile e perfino servile di fronte a coloro che la possono ricattare. È disposta a fare, a far fare alla sua combriccola e a imporre al paese di fare da scendiletto agli imperialisti Usa e Ue. Altro che integerrima!
La sequenza infinita di scandali, inchieste, figure di palta e sputtanamento sui giornali di questo o quello degli esponenti della maggioranza ne sono la conferma.
Dall’inchiesta contro Daniela Santanché a quella delle relazioni fra Verdini e Salvini, dalla denuncia a Sgarbi per i quadri rubati alla pistola di Pozzolo, dal licenziamento di Giambruno (compagno di Giorgia Meloni) da Mediaset dopo i fuori onda di Striscia la notizia alle sparate di Crosetto contro la magistratura, dalla mancata risposta di La Russa alla domanda “sei antifascista?” alla risposta isterica di Sangiuliano allo stesso quesito. Con la ciliegina sulla torta delle implicazioni del padre di Giorgia Meloni con la malavita organizzata sollevate recentemente da Report.
Ma questa è solo una parte: inchieste (giudiziarie o giornalistiche) per malavita, furti, speculazioni, favori, regalie, appropriazioni, maschilismo, razzismo, bullismo: dal ministro al consigliere comunale del paesino di provincia, i partiti di governo finiscono sui giornali tutti i giorni.
Ogni fatto che rientra in questo elenco – potenzialmente lunghissimo – è contemporaneamente tre cose.
Prima di tutto, è esattamente la manifestazione dei ricatti, delle pressioni e degli sgambetti di cui il governo Meloni è oggetto da parte dei diversi centri di potere della Repubblica Pontificia.
In secondo luogo, è un elemento di diversione e intossicazione dell’opinione pubblica. I media parlano costantemente di questioni che non hanno alcuna rilevanza rispetto alle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. Questioni che suscitano sdegno e indicano il degrado raggiunto dalla classe politica del nostro paese. Parliamoci chiaro: chiedere a La Russa “sei antifascista?” è come chiedere a uno sciacallo se è vegetariano. E che La Russa risponda o meno non fa nessuna differenza rispetto all’abolizione del Reddito di Cittadinanza, al carovita che cresce, alle aziende che chiudono.
In terzo luogo, è l’unica dimensione in cui l’opposizione dà segni di vita. Posto, infatti, che il Pd di Elly Schlein condivide il 100% del programma economico del governo Meloni (poche storie: è l’agenda Draghi controfirmata dalla Ue) e un buon 95% del programma che riguarda tutto il resto (sottomissione alla Nato e coinvolgimento dell’Italia nella terza guerra mondiale a pezzi, in primis), l’unico “campo di battaglia” sono le chiacchiere sui giornali, con una predilezione per quelle sui diritti civili “che valgono solo per i ricchi”. Ma basta un accenno alla “questione morale” che il Pd è in difficoltà, dato che in termini di raggiri, affarismo, speculazioni e truffe non ha nulla da imparare e tanto da insegnare.
Dunque ricapitoliamo. Sui media va in scena il Processo del lunedì al governo Meloni, ma esattamente come accadeva per quella trasmissione, le chiacchiere non cambiano i risultati della partita. Nella realtà, il governo Meloni è alla canna del gas. Non per gli articoli sulle “prodezze” dei suoi esponenti e neppure per l’iniziativa delle opposizioni, ma perché è diretta emanazione del sistema di potere della Repubblica Pontificia, che sta implodendo per effetto della crisi generale e dei suoi effetti.
Il punto della situazione politica? Per il momento, il governo Meloni va benissimo agli Usa e alla Ue. È servile come lo sono stati i governi Monti, Renzi, Gentiloni e Draghi che l’hanno preceduto e pertanto rimarrà in sella finché andrà bene a loro. La questione è che il governo Meloni non va affatto bene per le masse popolari.
Non serve la sfera di cristallo per prevedere che a un certo punto, per contraddizioni fra fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia, il governo Meloni sarà scaricato dalla classe dominante. Salterà, come in passato sono saltati altri governi che, fino al mese prima, erano spacciati per solidi e stabili.
Per ciò che riguarda il movimento comunista italiano, il variegato fronte anti Larghe Intese e i principali organismi operai e popolari, la questione però è un’altra: non bisogna aspettare che il governo Meloni sia fatto fuori da una manovra di palazzo, ma usare TUTTE le sue debolezze e le contraddizioni della classe dominante per rovesciarlo con la mobilitazione.
E bisogna rovesciarlo il prima possibile perché ogni settimana che passa trascina un po’ più a fondo il paese, i lavoratori e le masse popolari tutte.
***
Senza lotta non ci sono conquiste
Che fine ha fatto il salario minimo?
Nell’Editoriale del numero 9/2023 di Resistenza avevamo trattato della campagna d’opinione sul salario minimo, che andava di moda in quelle settimane.
Dicevamo che andava bene la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare lanciata da Potere al Popolo e che tutto sommato andava bene anche la petizione promossa da Pd e M5s a sostegno del disegno di legge che avevano presentato (e che il governo ha affossato subito), ma dicevamo anche che, se l’iniziativa fosse rimasta nel campo della campagna d’opinione, il salario minimo sarebbe stato solo un tormentone estivo.
La questione, chiaramente, non metteva affatto in discussione la sacrosanta ambizione di definire per legge una paga oraria minima dignitosa, ma il fatto che senza una mobilitazione pratica – senza lotta di classe – quell’ambizione sarebbe rimasta una velleità. E nel caso del Pd anche qualcosa di più grave: una speculazione bella e buona a fini propagandistici. Come volevasi dimostrare, chi ha più sentito Elly Schlein (o Conte) parlare del salario minimo?
C’è chi ci accusa di essere esagerati quando diciamo che il Pd ha lo stesso programma del governo Meloni, ma oltre a non aver mosso un dito per il salario minimo, non ci risulta neppure nessuna iniziativa pratica del Pd in difesa del diritto di sciopero da mesi sotto attacco del governo a colpi di precettazioni. Eppure lo sciopero è il principale strumento con cui i lavoratori “contrattano il salario minimo” con i padroni, senza surrogati della lotta di classe come la raccolta di firme.