Bando al disfattismo. Tutto dipende dai comunisti

Quasi telegraficamente, alcuni punti a premessa.
– Come diciamo da tempo, la forza e la stabilità che i media di regime e gli opinionisti di palazzo attribuivano al governo Meloni erano solo chiacchiere. Il governo Meloni è da mesi alla canna del gas e oggi lo ammette anche chi era pagato per negarlo. Resta in piedi solo perché i suoi padrini e sostenitori hanno da affrontare problemi maggiori rispetto al mandare a casa una combriccola male assortita di nostalgici del Ventennio e sovranisti senza sovranità (c’è un articolo a pag. 3).
– Nonostante la debolezza e l’instabilità, però, il governo è riuscito a portare a casa l’approvazione della Legge di bilancio. Non per capacità proprie, va detto. Ci è riuscito solo perché ha avuto un’opposizione parlamentare (Pd e M5s) compiacente e perché i principali centri di aggregazione e mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari hanno agito con il freno a mano tirato. Gli scioperi generali “a pezzi” che Cgil e Uil hanno promosso a novembre, ad esempio, avevano l’obiettivo di “essere ascoltati dal governo”, non di “prendere a calci il governo”.E se nessuno lo spinge giù, per quanto debole e mal messo sia, un governo da solo non casca.

Se lo dice pure lui… Se occorresse la conferma della compiacenza del Pd verso la politica economica del governo Meloni, eccola servita da un insospettabile. Subito dopo l’approvazione della legge di bilancio in parlamento, il 30 dicembre, Marcello Degni – Consigliere della Corte dei Conti, non un esponente dell’estremismo di sinistra –scriveva sui social “la votazione è stata un’occasione persa, c’erano le condizioni per l’ostruzionismo e l’esercizio provvisorio” e le opposizioni avrebbero potuto ostacolare il governo fino a “farli sbavare di rabbia sulla cosiddetta manovra blindata. Gli abbiamo invece fatto recitare Marinetti”.
Dato il ruolo istituzionale di Degni, ovviamente si è scatenata la polemica. Lui ha risposto che con quelle parole voleva esprimere il rammarico per il fatto che l’opposizione avrebbe potuto sfruttare di più gli strumenti del diritto parlamentare per “marcare meglio” la maggioranza sulla manovra.
L’esercizio provvisorio – ha poi chiarito su La Stampa – “è un istituto previsto dalla Costituzione e non avrebbe creato problemi all’Italia ma al governo, all’interno di una normale dialettica tra governo e maggioranza (…) Dall’opposizione mi sarei aspettato la presentazione di mille emendamenti che avrebbero costretto il governo a decidere il voto di fiducia. In quel caso ci sarebbe stato un dibattito e si potevano sfruttare tutti gli spazi per rallentare l’approvazione della manovra”.

– Intanto, il 2024 inizia con “la catastrofe che incombe”. Gli effetti della crisi generale, la terza guerra mondiale a pezzi che si allarga, le soluzioni che la combriccola male assortita di nostalgici del Ventennio e sovranisti senza sovranità vogliono imporre si combinano ad alimentare il vortice di povertà, precarietà e sfruttamento in cui sprofondano le masse popolari.
– Tutto si muove velocemente, nonostante la classe dominante provi a nasconderlo con l’intossicazione delle coscienze e la diversione dalla realtà. Cioè la società e il paese procedono velocemente verso l’aggravamento della barbarie e le masse popolari sono spinte a cercare più velocemente – e più efficacemente – una soluzione coerente con i loro interessi.

Tutto si muove velocemente nonostante la classe dominante provi a nasconderlo con l’intossicazione delle coscienze e la martellante diversione dalla realtà. Qualcuno, ai piani alti, ha scommesso che la morbosa curiosità per il pandoro della Ferragni, per la storia della “Top gun che è diventata Miss America” (a proposito di sdoganamento della propaganda bellica in ogni dove) o per l’esonero dell’allenatore della Roma possano preoccupare le masse popolari più dei missili Usa e Gb sullo Yemen o del progressivo smantellamento dell’apparato produttivo del nostro paese. Ovviamente c’è chi è pronto a giurare che hanno vinto la scommessa. Ma, a Pasqua, del pandoro della Ferragni non parlerà più nessuno. Ai piani alti dovranno trovare un altro argomento per evitare che le masse popolari si preoccupino del coinvolgimento dell’Italia nella terza guerra mondiale a pezzi, del genocidio sionista in corso in Palestina o del futuro di decine di migliaia di posti di lavoro delle aziende che stanno chiudendo i battenti, del carovita imperante e dell’economia di guerra.
La produzione industriale di notizie spazzatura e l’ingente quantità di denaro speso perché abbiano la massima rilevanza su tutti i canali di informazione indicano le difficoltà che la classe dominante incontra a mantenere succubi le masse popolari.

In questo contesto, l’aspetto decisivo, cioè quello da cui dipende tutto, è se e quanto i comunisti sanno agire in modo conforme alle esigenze della storia.
Può sembrare eccessivo citare Marx in questo discorso, ma non c’è modo altrettanto efficace per spiegare il concetto: “I filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi, ora si tratta di trasformarlo”.
Se serve una traduzione, è la seguente: fare una approfondita e giusta analisi della situazione è necessario, elaborare una linea politica adeguata agli obiettivi è indispensabile, ma arriva un momento in cui quella elaborazione deve essere messa in pratica. E la fase, il momento, sono esattamente questi.

Il movimento comunista del nostro paese è in subbuglio. Da alcuni anni si susseguono spinte all’aggregazione e all’unità, proclami e tentativi di “ricostruzione”, ma sono vanificati dai nodi ideologici, irrisolti, che già pesavano sulla parte più avanzata e rivoluzionaria del vecchio movimento comunista: l’elettoralismo e l’economicismo (vedi articolo “La parabola di Marco Rizzo”).
Il subbuglio, quindi, da una parte è manifestazione di una certa vitalità e dall’altra è manifestazione di un avvitamento attorno al che fare, segno della difficoltà a mettere a fuoco il ruolo e la funzione dei comunisti.
In una fase in cui i rituali della politica borghese servono soprattutto alla classe dominante per imbrigliare le masse popolari in un teatrino inconcludente e le lotte rivendicative non permettono di ottenere risultati duraturi e su ampia scala, il ruolo e la funzione dei comunisti vanno concepiti in funzione delle esigenze di sviluppo del movimento concreto delle masse popolari.
Il movimento comunista cosciente e organizzato rinasce più speditamente se si fa sistematico promotore della lotta per strappare il governo del paese all’attuale classe dominante e imporre un governo di emergenza popolare. Molto sinteticamente ciò significa dare alle mobilitazioni e alle proteste delle masse popolari uno sbocco politico, incanalarle nella lotta per la conquista del potere. Il discorso sembra astratto e “complicato” – e in parte “complicato” lo è davvero – ma con alcuni esempi il ragionamento diventa più chiaro.
Quanti sono i comitati locali che si oppongono alla speculazione e alla devastazione dei territori? Una miriade. Da quelli contro l’apertura di nuove discariche a quelli contro la costruzione di termovalorizzatori e inceneritori, da quelli che si oppongono alla costruzione di nuove infrastrutture – spesso poco utili alla popolazione, oltre che estremamente impattanti per l’ambiente – e molti altri. Ebbene TUTTI si mobilitano contro un problema per affrontare il quale se ne trovano di fronte un altro più grande (ad esempio i criteri con cui Comune e Regione governano il territorio) dietro al quale se ne nasconde uno ancora più grande (le speculazioni economiche e finanziarie) e, dietro a esso, un altro ancora, enorme (come e per conto di quali interessi agisce il governo nazionale).

È quello che succede agli operai che si trovano a difendere il posto di lavoro (sono almeno sessanta i tavoli aperti al ministero, considerando solo i principali), ai comitati per la difesa della sanità pubblica e della scuola pubblica, ai movimenti per il diritto alla casa, ecc.
Qualunque problema si intende affrontare, esso è contenuto in un altro più grande e più grave. In fondo a questa catena di problemi c’è la questione che li accomuna e li contiene tutti, ma la cui soluzione è inaccessibile al singolo comitato ambientalista, al singolo gruppo di lavoratori e al singolo movimento di protesta: la questione del governo del paese.

Ecco, il compito dei comunisti NON è solo quello di coordinare le lotte e portarle al loro massimo grado di sviluppo (in termini di efficacia e risultati immediati conseguibili), ma è, innanzitutto, quello di incanalarle nella lotta per il governo del paese. Questo significa agire in funzione delle esigenze del movimento concreto delle masse popolari che è alla ricerca di una soluzione di prospettiva.
Quale che sia il motivo per cui le masse popolari si mobilitano, l’attuale classe dirigente non ha alcuna soluzione positiva perché ragiona e agisce esclusivamente secondo i criteri e i principi del sistema di relazioni sociali esistente, a sua volta determinato dal modo di produzione capitalista. Non può fare diversamente: da quando è iniziata la seconda crisi generale del capitalismo la sua funzione si riassume nel tentativo di preservare e conservare a qualunque costo il capitalismo e il suo sistema di relazioni sociali, benché sia superato dalla storia e la sua crisi irreversibile sia la fonte di tutti i problemi, le minacce, le emergenze.
Sta ai comunisti condurre il percorso di organizzazione, coordinamento e lotta che porta le masse popolari organizzate a trovare soluzioni coerenti con i loro interessi e a darsi i mezzi per attuarle e realizzarle, a diventare quelle nuove istituzioni che basano la loro forza sul protagonismo popolare anziché sulla rete di relazioni sociali, sul giogo delle relazioni sociali, imposte dal capitalismo.
Per i comunisti si tratta, in definitiva, di portare le masse popolari organizzate ad agire come nuova classe dirigente del paese e della società.

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