Pubblichiamo questo contributo di un nostro simpatizzante operaio sulla questione della crisi dell’Industria Italiana Autobus (IIA). Come ben denuncia questo contributo, la IIA è l’ultima azienda di bus rimasta in Italia, è in grado di produrre quegli autobus ecologici che sono fondamentali per affrontare il tema della transizione ecologica, di una mobilità sicura e sostenibile, di cui spesso governanti e padroni si riempiono la bocca. Un’azienda che ha ordinativi e capacità produttive enormi e che, però, viene abbandonata agli appetiti della speculazione finanziaria da una politica pronta a mettere gli interessi dei fondi e dei loro azionisti al di sopra di tutto, anche a costo di lasciare centinaia di operai senza un posto di lavoro e di privare il territorio di una sua eccellenza e di una risorsa in grado di contribuire a migliorarne il futuro.
Come già scrivemmo per la Marelli, “l’intento complessivo è delocalizzare in paesi dove possono ricavare maggiori profitti da destinare alle loro attività speculative […]. Ecco spiegata la ‘scarsa propensione’ all’investimento nella conversione green! Arrivano, depredano e se ne vanno. Cercare di ottenere da questa gente la disponibilità a fare investimenti che tengano conto delle esigenze produttive della collettività (produrre quello serve, in questo caso veicoli ecologici) e la tutela dei posti di lavoro è come aspettarsi che uno sciacallo mangi insalata”.
Tutto questo per i lavoratori ha un significato ben preciso: aspettare il buon investitore di turno significa fare la fine dalla rana bollita. I lavoratori della GKN di Campi Bisenzio hanno dimostrato che chi in azienda è deciso a lottare deve coalizzarsi e prendere in mano la lotta. Ciò a prescindere dalla tessera sindacale. Si tratta di fare della lotta una questione politica che riguarda tutto il territorio, si tratta di costruire una rete di alleanze nel territorio e per il territorio. Come dimostra la manifestazione del 22 ottobre 2022, i lavoratori organizzati possono unificare e dirigere tutto il vasto movimento di resistenza delle masse popolari (in particolare, in questi mesi, abbiamo visto il movimento ambientalista che è il naturale alleato degli operai della IIA) e, così facendo, possono far traballare il gigante dai piedi di argilla e vincere.
Fare di ogni azienda minacciata di delocalizzazione, chiusura, ristrutturazione un centro promotore della lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo del nostro paese e per una produzione che risponda alle esigenze dei lavoratori e della collettività!
Buona lettura.
La storia della Breda Menarini è iniziata più di cento anni fa. Tante storie, tante vite costruite a un modello di lavoro dove l’operaio aveva conquistato un ruolo da protagonista come componente politica singola e di classe.
Oggi, i social, la stampa, la politica, la classe dirigente tutta sono i Giuda che a turno si giocano la sorte delle nostre famiglie, la sorte di chi li ha resi ricchi. Sulla rete sono presenti vari servizi che elogiano l’unicità di questa realtà produttiva e ben ne evidenziano, però, anche quelle trame che oggi permettono un crimine legale: quello di trovarsi pieni di ordini e nonostante tutto vedere la realtà dove spendi il tuo tempo incapace, volutamente, di erogarti lo stipendio.
Industria Italiana Autobus (IIA), così si chiama oggi la ex Breda Menarinibus, ha due siti produttivi: uno a Flumeri in provincia di Avellino e l’altro Bologna, il più conosciuto [in tutto si parla di circa 500 lavoratori, NdR]. Fa parte di un gruppo che comprende Menarini, Padane e Rampini, tre aziende che si occupano di servizio pubblico, turismo e produzione di autobus elettrici, diciamo di media e piccola taglia. Del gruppo fa parte anche l’azienda Kansan che ad oggi produce bus con motore all’idrogeno e che è un’azienda turca [qui la composizione societaria].
I timori dei lavoratori si sono manifestati a partire da 10 anni fa quando si iniziò a intravedere la possibilità della delocalizzazione degli ordini, problema che si è concretizzato mano a mano per poi aggravarsi nel tempo. L’opposizione dei sindacati è stata tradita dal falso appoggio di Bonaccini, che mentre faceva finta di chiedere conto ai vari governi di turno del loro operato, consentiva l’acquisto di bus prodotti all’estero condannando più volte i lavoratori a vivere con i fantasmi di fallimenti all’orizzonte, falsi acquirenti eccetera. Uno dei Borgomeo [il riferimento è alla lotta dei lavoratori GKN, NdR] di turno è stato il “buon” Stefano del Rosso a cui si è succeduto Giancarlo Schisano, prostitute della finanza che hanno prospettato ristrutturazioni che dovevano avere la durata di 12 mesi ma che poi si sono protratte fino ad adesso con le stesse modalità e col paradosso che, nel frattempo, gli ordini sono addirittura aumentati ma la Breda è passata da produrre un bus e mezzo al giorno a produrne uno al mese, poco più.
Subdole promesse di rilancio mischiate ovviamente ad azioni sporche dove si era addirittura arrivati a creare una disparità salariale di 400 euro fra i dipendenti di Bologna con i colleghi di Flumeri, ricattando questi ultimi con una potenziale chiusura del loro sito produttivo, cui erano susseguite vertenze per rivendicare queste ingiustizie. Come non parlare di quei 316 milioni di euro stanziati per la fantomatica transizione ecologica che, ad oggi, evidentemente non riguarda la IIA. Fondi ingenti e ammortizzatori sociali non sono altro che la mangiatoia di politici e multinazionali.
Tutto è tristemente banale. Come banale è la necessità di una mobilitazione come si deve, che trasformerebbe queste speculazioni in un boccone amaro per finanza e politica, una mobilitazione su cui il sindacato in primis per troppo tempo ha tenuto bassa l’asticella. Al momento si sta sviluppando per gli operai della IIA una sorta di vicolo cieco, che però può sempre diventare, se lo volessimo e se ci mobilitiamo innanzitutto noi operai, una delle nostre “Little Big Horn”, un’occasione nostra di cambiare epilogo, una possibilità di cominciare a costruire vince che continuare a distruggere, in un’epoca che consuma materia e persone.
Invece di insegnare ai nostri figli a scappare o ad accontentarsi, ad obbedire, la sfida di oggi è volere insegnare loro non a difendersi ma ad attaccare.