Nell’Editoriale di questo numero si sottolinea come i ripetuti attacchi di Salvini al diritto di sciopero mettano in mostra l’inadeguatezza di alcuni degli attuali centri promotori della mobilitazione.
Questa inadeguatezza si esprime nell’incapacità di dare un seguito concreto ai proclami contro le precettazioni di cui Salvini sta ampiamente abusando per farsi la sua campagna elettorale e per assestare colpi alla mobilitazione popolare. Dare un seguito concreto significa chiamare alla disobbedienza e organizzarsi per sostenerla, senza scorciatoie, senza trucchetti e senza machiavellismi. Significa prendersi la responsabilità di farlo.
Se si pensa che manca la forza, la questione è darsi i mezzi per costruirla. Il procedere della crisi e la necessità di dare prospettiva politica alla crescente mobilitazione popolare inevitabilmente provocheranno uno scontro aperto con il governo Meloni.
Violare le precettazioni e praticare il diritto di sciopero, in definitiva è l’unico modo per difendere il diritto di sciopero.
Da una parte, le attuali difficoltà a seguire questa strada si spiegano con la storica contiguità e complicità dei vertici dei sindacati di regime con i vertici della Repubblica Pontificia. Dall’altra, la difficoltà dei sindacati di base sta nell’uscire da una spirale che è sempre più caratterizzata dalla concorrenza al ribasso con Cgil, Cisl e Uil per ritagliarsi un ruolo nei medesimi tavoli concertativi (come in molti casi dimostra l’accettazione del Testo Unico sulla Rappresentanza).
Appellarsi a Mattarella, fare ricorsi al Tar, chiamare alla disobbedienza senza organizzarla concretamente, come fatto da Cgil e Uil per lo sciopero generale del 17 novembre e da Usb e da altri sindacati di base in occasione dello sciopero del trasporto pubblico del 15 dicembre, sono pratiche che alimentano nei lavoratori solo un senso di impotenza e disfatta.
“Superare la logica della concertazione.
La precettazione di Salvini e le riduzioni del margine di lotta e conflitto per i lavoratori e le rappresentanze sindacali non cadono dal cielo, sono lo sviluppo di un attacco ai diritti dei lavoratori che va avanti da decenni. Nel 1990 Cgil, Cisl e Uil sostennero l’introduzione della legge 146/90 (“Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge”) e negli anni hanno sostenuto tutte le integrazioni, sempre più restrittive.
Nel corso del tempo Cgil, Cisl e Uil si sono appellate molte volte al rispetto di questa legge per frenare l’iniziativa dei lavoratori con la scusa che non si potesse “uscire dalle regole e dalla legge”. E hanno fatto spallucce quando la Commissione di garanzia vietava gli scioperi dei sindacati di base.
È quindi nel nome della concertazione imboccata dai sindacati di regime, alla quale anche i sindacati di base, al di là dei proclami, si sono via via allineati, che negli anni Cgil, Cisl e Uil hanno permesso che la Commissione di garanzia, ad esempio, vincolasse la stesura dei contratti collettivi nazionali a norme arbitrariamente stabilite e in questa fase ne hanno pagato lo scotto. Ogni volta che Cgil, Cisl e Uil hanno fatto appello al “rispetto della legge e delle regole” non hanno tutelato i lavoratori, ma hanno rafforzato le regole e la legge dei padroni.
Hanno fatto tutto questo nonostante persino le stesse leggi che normano il diritto di sciopero contengano appigli per i lavoratori per rifiutare la precettazione e scioperare. L’articolo 2, comma 7, della Legge 146/90, dice infatti che le disposizioni in tema di preavviso minimo dello sciopero e di indicazione della durata “non si applicano” nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale o “di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”.
In ogni caso lo sciopero e le mobilitazioni dei lavoratori non si organizzano e promuovono sulla base della volontà di un governo, di un ministro e neanche di una legge. Il diritto allo sciopero, anzi, è sempre legittimo e appartiene all’unica vera legge che regola i rapporti nella società capitalista, la lotta di classe. È per questo che si è scioperato anche sotto il re o il fascismo, figurarsi con Salvini o Meloni. La verità, quindi, è che rispetto a questi attacchi non è più possibile limitarsi a parare i colpi, è necessario passare all’attacco e superare la logica della concertazione” – dall’articolo dell’Agenzia Stampa Staffetta Rossa “Il diritto di sciopero si difende scioperando!”.
Passare all’attacco significa oggi attrezzarsi per fare fronte alle immancabili ritorsioni di Salvini. Le ritorsioni, in un contesto come quello attuale in cui le masse popolari stanno dimostrando di essere disposte a muoversi se qualcuno le chiama e le organizza a farlo con determinazione, alimenterebbero un movimento positivo di lotta innervato dalla necessità di conquista.
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Mentre andiamo in stampa, i sindacati di base hanno proclamato uno sciopero unitario di 24 ore del Trasporto Pubblico Locale per il 24 gennaio. La scelta di proclamarlo è un ottimo segnale (per lo meno di combattività), adesso bisogna unire tutte le forze e usare tutti i mezzi possibili per prepararlo e farlo diventare una mobilitazione generale contro Salvini, le precettazioni e il governo Meloni.