Siamo nel pieno della campagna del P.CARC per l’assimilazione e uso del materialismo dialettico. Il suo obiettivo generale è imparare a fare meglio quelle attività che qualificano il lavoro dei comunisti e il contenuto della campagna è più chiaro se lo inquadriamo accanto a due fattori di cui si legge spesso su Resistenza:
– la crisi generale del capitalismo sprofonda il mondo nel marasma e rovesciare la borghesia imperialista è una necessità impellente;
– l’esito della lotta per rovesciare il dominio della borghesia imperialista e instaurare il socialismo – fare la rivoluzione socialista – “dipende da noi”, cioè dipende dai comunisti.
La lettera pubblicata sul numero scorso di Resistenza, “Curare l’inquietudine”, mi ha aiutato a mettere a fuoco un’altra problematica legata al contenuto della campagna: oltre alla “inquietudine che spacca il cuore”, molti compagni si arrovellano sul fatto che “manca il tempo” per fare tutto quello che sarebbe necessario. Anche se poi a essere sacrificate spesso sono proprio le attività che qualificano il lavoro dei comunisti.
Le cose corrono veloci, non c’è abbastanza tempo per la formazione, per la pianificazione, per fare il bilancio delle attività, per condurre un’inchiesta approfondita, ecc. Le cose vanno così veloci che la cosa fondamentale sembra essere “fare qualcosa”.
Questa convinzione trova spazio, più o meno apertamente, anche fra i quadri del Partito. Cioè tra compagne e compagni che hanno il compito e la responsabilità di contribuire alla definizione dell’analisi politica e della linea, la responsabilità di attuare la linea, la responsabilità della cura e formazione di altri. È chiaro che se questa concezione è presente anche nella “testa” del Partito (in una parte di essa) ogni proposito di imparare a fare meglio il lavoro dei comunisti incontra resistenze e ostacoli insormontabili. Sono insormontabili perché nessuno può plasmare il tempo secondo le proprie esigenze: un giorno è di 24 ore, una settimana è di 7 giorni, ecc.
Messa in questi termini, quel “dipende da noi” appare come un’ingiustificata forma di esaltazione o persino una grave forma di scollamento dalla realtà.
Ma bisogna imparare a concepire la questione del tempo come una questione ideologica.
In primo luogo, il discorso attiene al fatto che la rivoluzione socialista non scoppia, ma è una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Mi soffermo qui solo sul “lunga durata” e riprendo un passo di Mao già citato su Resistenza (numero 9/2023, “La battaglia, la guerra e la vittoria”, ndr): “Dobbiamo essere pronti a subire molte sconfitte e molti rovesci dovuti alla nostra cecità, accumulando così quell’esperienza che ci consentirà di raggiungere la vittoria finale. Se consideriamo le cose da questo punto di vista, ci sono molti vantaggi nel presupporre che ci vorrà un lungo periodo; sarebbe invece dannoso presupporre che ci voglia un periodo breve”.
La questione del tempo, alla luce del materialismo dialettico, va dunque ribaltata: il tempo è nemico della borghesia imperialista ed è alleato dei comunisti e del proletariato.
In secondo luogo, la rinascita del movimento comunista ha di fronte due questioni generali: a. conoscere e superare i limiti e gli errori che hanno causato il declino del vecchio movimento comunista; b. individuare i passi per compiere ciò che al vecchio movimento comunista non è riuscito, fare la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti.
Quindi, occorre trarre insegnamenti dal bilancio della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria, ma anche sperimentare e imparare a fare le cose necessarie per raggiungere obiettivi finora mai ottenuti.
Stante l’attuale debolezza del movimento comunista, dobbiamo imparare a fare molte cose. E fra di esse dobbiamo imparare la “gestione del tempo” alla luce del materialismo dialettico.
Non si tratta di elencare le tante cose da fare e “metterle in ordine” (questo è un lavoro di amministrazione), ma di definire per ognuna un grado di priorità rispetto alle altre alla luce di:
– quello che è essenziale ai fini dei compiti specifici nell’attuazione della linea in quella fase (settimana, mese, semestre), tenendo conto del lavoro interno ed esterno;
– qual è l’attività il cui svolgimento facilita e favorisce lo svolgimento delle altre (tutte le altre o anche solo una parte delle altre), facendo valere il principio che “muovendo l’anello principale della catena, muoviamo tutta quanta la catena”.
In questo modo, e solo in questo modo, l’intricata matassa delle tante cose da fare appare come “una mappa” che è guida per l’azione e non un labirinto in cui ci si perde.
In questo modo il “dipende da noi” trova una concretezza che altrimenti non avrebbe: dipendono da noi (dai comunisti) le grandi cose, ma anche le piccole cose e anzi le piccole cose, come imparare a dare le priorità alle tante cose da fare, sono la palestra per affrontare le questioni più grandi.
Per finire, nessuno può plasmare il tempo secondo le sue esigenze, ma si può decidere come impiegarlo, di cosa riempirlo. Decidere come usarlo efficacemente ai fini dell’avanzamento della rinascita del movimento comunista è un passo che qualifica la trasformazione in dirigente di ogni compagno e compagna.
BP