Editoriale

Il 2024 ha bisogno di una spinta

Dai mesi conclusivi del 2023 si possono trarre alcuni insegnamenti preziosi per lo sviluppo della lotta politica rivoluzionaria. Sono evidenti, ma non è scontato che siano riconosciuti. Riconoscerli o meno fa la differenza rispetto a come inizia e proseguirà il 2024 sul piano delle forme e dei risultati della lotta di classe. Vediamo i principali.

a. Con le mobilitazioni di ottobre, novembre e dicembre è diventata evidente l’insofferenza delle masse popolari per il corso disastroso delle cose che la classe dominante impone al paese, per la maggiore sottomissione dell’Italia agli imperialisti Usa, alla Nato, ai sionisti e alle loro guerre criminali, per l’economia di guerra e il carovita, per la crescente precarietà, per l’attacco al diritto di sciopero e la criminalizzazione delle lotte

La manifestazione del 7 ottobre a Roma della Cgil (“la via maestra” per l’attuazione della Costituzione) ha spostato sul piano politico tutte le proteste e le rivendicazioni. Ciò è avvenuto indipendentemente dalle intenzioni dei vertici ed è successo anche per le mobilitazioni che non sono state direttamente promosse dalla Cgil: questo perché tutte le proteste e le rivendicazioni hanno una comune sintesi – e una comune linea di sviluppo – nella questione del governo del paese.

L’attacco che la resistenza palestinese ha portato il 7 ottobre contro i sionisti d’Israele e la rappresaglia di tipo nazista in corso a Gaza hanno allargato, alimentato e dato una connotazione più politica alle diverse mobilitazioni dei lavoratori, degli studenti e delle donne.

L’autunno “caldo” non è stato un’esplosione di ribellione diffusa con le barricate nelle strade (come è avvenuto nel recente passato: basta pensare al 14 dicembre 2010 o al 15 ottobre 2011 a Roma), ma un crescendo di partecipazione alle manifestazioni. Dalle mobilitazioni in solidarietà con il popolo palestinese agli scioperi di Cgil e Uil, dei sindacati di base, dei medici e degli infermieri; dalle manifestazioni contro la violenza di genere alle manifestazioni degli studenti… sono stati mesi di mobilitazione generale.

Tuttavia la Legge di bilancio è stata approvata, il governo Meloni è rimasto in sella e anzi proseguono le manovre antioperaie e antipopolari, guerrafondaie e speculative (i colpi di mano per il ponte sullo Stretto di Messina sono un esempio che le racchiude tutte). E qui veniamo al secondo aspetto.

b. Quando un centro autorevole (autorevole per il ruolo svolto e le relazioni stabilite nel corso del tempo, per il prestigio di cui gode e i legami che ha con le masse) chiama alla lotta contro i vertici della Repubblica Pontificia e i loro governi, su obiettivi coerenti con gli interessi delle masse e dà una qualche garanzia di continuità, allora una parte importante delle masse popolari del nostro paese risponde e si mobilita.

La portata della risposta, in questo caso, è indice tanto della disponibilità delle masse popolari a mobilitarsi quanto della inadeguatezza degli attuali centri autorevoli a dare uno sbocco alla mobilitazione.

Inadeguatezza che non riguarda le capacità organizzative, i mezzi a disposizione o la visibilità mediatica, l’inadeguatezza di cui parliamo riguarda le mille resistenze rispetto all’incanalare questa mobilitazione sul piano politico e farla diventare la forza materiale necessaria a cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

c. L’inadeguatezza dei centri promotori della mobilitazione è tanto più evidente di fronte alle contromisure che autorità e istituzioni della classe dominante prendono per cercare di contenere, scoraggiare e reprimere i lavoratori e le masse popolari. Matteo Salvini, ministro agli incidenti ferroviari, ha pensato bene di iniziare la sua personale campagna elettorale precettando i lavoratori dei trasporti sia quando a indire sciopero sono stati i sindacati di base (e questa NON è una novità) sia quando lo sciopero è stato indetto dalla Cgil e dalla Uil (è successo il 17 novembre).

Le precettazioni sono state giustamente vissute come una grave violazione dei diritti costituzionali da molti lavoratori, ma nessuna organizzazione sindacale – nessun centro autorevole che promuove la mobilitazione – si è assunto la responsabilità, l’onore e l’onere di chiamarli alla disobbedienza di massa.

Per quanto riguarda la Cgil, i vertici non hanno avuto il coraggio di gestire le conseguenze politiche di un simile appello, che avrebbe avuto enorme adesione: come riportare poi nel solco della concertazione i lavoratori a cui si è chiesto di non concertare, di non sottomettersi? Come ricostruire poi “relazioni civili” con il governo Meloni a cui si è disobbedito tanto platealmente da mettere in evidenza le sue debolezze?

Per quanto riguarda i sindacati di base, i vertici non hanno saputo dare seguito concreto a tutta la propaganda che fanno di se stessi come “vera alternativa ai sindacati concertativi”.

Il risultato? Violare le precettazioni avrebbe alimentato la mobilitazione generale, infuso coraggio, attivato la solidarietà, spinto all’emulazione. Avrebbe colpito duramente il governo Meloni e creato premesse migliori per affondarlo. Se ciò non è avvenuto dipende appunto dall’inadeguatezza di cui abbiamo parlato.


Salvini, ministro agli incidenti ferroviari. Se, in qualità di ministro, lo zelo che Matteo Salvini dedica alle provocazioni e alle precettazioni dei lavoratori lo dedicasse alla cura della rete dei trasporti, probabilmente questa sarebbe più efficace e sicura. E si sarebbero evitati almeno alcuni dei continui incidenti ferroviari. Invece, dalla strage di Brandizzo dello scorso agosto all’incidente di Faenza di inizio dicembre, passando da quello di Corigliano Rossano di fine novembre, gli incidenti sono sempre più frequenti. Salvini non passerà certamente alla storia per essere il ministro che è riuscito a proibire gli scioperi in Italia ed è altrettanto improbabile che, nonostante gli sforzi, passi alla storia come il ministro del Ponte sullo Stretto di Messina: è invece realistico pensare che sarà ricordato per lo stillicidio di incidenti ferroviari per prevenire i quali, da ministro, non ha fatto assolutamente nulla.

Per tirare una sintesi della combinazione di questi tre fattori, possiamo dire che il 2023 si è concluso in modo tale da indicare una strada. Le condizioni generali impongono di percorrerla urgentemente, ma percorrerla non sarà una decisione spontanea né per gli attuali centri autorevoli che promuovono la mobilitazione delle masse popolari (non saranno loro a indicarla e a imboccarla) né per le masse popolari (che per la natura del percorso da compiere necessitano di un orientamento e di una direzione). Percorrerla o meno dipende dall’opera e dall’azione dei comunisti. Dipende dalla spinta che saranno capaci di dare i comunisti.

Il contenuto della spinta lo chiarisce bene l’articolo “Avere il coraggio di portare la rivoluzione socialista alla vittoria” pubblicato sul n. 75 de La Voce del (n)PCI:

“Le situazioni d’emergenza si sviluppano in forme e per vie diverse da quelle dei “tempi normali” che hanno portato all’emergenza. Proprio per questo non si tratta principalmente di opporre al governo Meloni uno sciopero generale o di presentare alle elezioni una lista con un programma più di sinistra. Si tratta di impostare una campagna

– di proteste e di disobbedienza,

– di azioni che soddisfano direttamente i bisogni della parte più povera delle masse popolari,

– di mantenere in attività le aziende che i padroni vogliono smantellare o delocalizzare organizzando i rifornimenti e l’utilizzo dei prodotti,

– di valorizzare tutte le potenzialità del terzo settore,

– di mobilitare alla lotta politica disoccupati, cassaintegrati e lavoratori in mobilità,

– di trasformare le aziende, le scuole, le Camere del Lavoro, le sedi associative e le Amministrazioni Locali in centri di mobilitazione e di organizzazione: il tutto nella forma più organizzata di cui siamo capaci e, soprattutto, mirata a rendere il paese ingovernabile da qualsiasi governo emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia e a costituire un governo d’emergenza”.

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