Scriviamo questo articolo alla vigilia dell’approvazione della Legge di bilancio.
Benché gli ultimi mesi siano stati costellati da litigi e ricatti fra i partiti di governo e non si possano escludere colpi di mano dell’ultimo minuto, è realistico supporre che la Legge di bilancio sarà approvata senza ulteriori scossoni: il governo Meloni porterà a casa il risultato. Tuttavia, è una vittoria solo apparente: la crisi politica si aggrava.
Questo governo, che fin dal suo insediamento “stava insieme con lo sputo”, che ha tradito tutte le promesse elettorali “antisistema”, che ha alimentato scontri istituzionali su tutti i fronti, chiude il 2023 lacerato da una crisi profonda in cui la resa dei conti è solo rimandata.
Nel contesto più generale di aggravamento della crisi del capitalismo (con relativa crisi dei sistemi politici della classe dominante in tutti i paesi imperialisti), gli aspetti particolari che riguardano la crisi del governo Meloni sono due: il “sovranismo senza sovranità” e la concorrenza sul piano elettorale in vista delle europee e delle amministrative del 2024. Le due cose, ovviamente, sono legate.
Altro che sovranisti…
Il governo Meloni si è distinto per aver aumentato la sottomissione dell’Italia agli imperialisti Usa e alla Nato.
Già con il governo Draghi la via imboccata dalla Repubblica Pontificia italiana era chiara: senza se e senza ma al fianco degli imperialisti Usa, in barba alla Costituzione e agli effetti devastanti sull’economia.
Il governo Meloni ha perseguito la stessa strada, rinverdendo di tanto in tanto la propaganda sovranista contro la Ue (“pugno duro sulle regole del nuovo Patto di Stabilità” e No alla riforma del Mes). Ma i bluff, come le bugie, hanno le gambe corte.
Dopo mesi di trattative, il 19 dicembre i ministri dell’economia francese e tedesco, in una riunione riservata, hanno deciso per tutti le condizioni per l’accordo sul Patto di Stabilità.
Questa manovra ha chiarito ulteriormente, semmai ce ne fosse stato bisogno, chi è che prende le decisioni che contano nella Ue (altro che Parlamento europeo), mostrando, al contempo, come “il pugno duro” del governo Meloni fosse farlocco.
Dopo un anno e mezzo di genuflessioni alla Nato e alla vigilia delle elezioni europee, “lo smacco” è stato mal digerito tanto da Fratelli d’Italia che dalla Lega poiché ha messo a nudo che il loro sovranismo è solo propaganda.
Nel tentativo di non perdere la faccia, il governo Meloni ha risposto con la bocciatura della riforma del Mes.
Considerando che il Mes è già in vigore nel suo funzionamento originario e che né Fratelli d’Italia né la Lega hanno mai pensato veramente di boicottarlo, più che una sfida alla Ue la bocciatura della riforma del Mes è una trovata da campagna elettorale che è già iniziata – benché le elezioni europee si terranno a giugno 2024 – e in cui la rivalità più accesa è proprio fra Fratelli d’Italia e la Lega.
Concorrenza elettorale
Abbiamo trattato sul numero 10/2023 di Resistenza il fatto che l’esito delle elezioni europee non influirà sul futuro indirizzo politico della Ue: l’esito delle elezioni europee influirà molto, invece, sugli equilibri nelle diverse fazioni delle Larghe Intese. Per quanto riguarda il Pd, le europee saranno una specie di referendum rispetto alla segreteria di Elly Schlein, mentre per quanto riguarda i partiti di governo sarà uno scontro fra Fratelli d’Italia e Lega.
Salvini e la Lega hanno già iniziato la campagna elettorale con l’obiettivo di conquistare posizioni a scapito di Fratelli d’Italia. Hanno cioè iniziato una “gara” a chi la spara più grossa a destra, alzando continuamente l’asticella della mobilitazione reazionaria: dalle manovre per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, che per il momento si profila solo come l’ennesimo pozzo senza fondo per la spesa pubblica a beneficio degli amici degli amici e delle organizzazioni criminali, all’attacco a testa bassa al diritto di sciopero (articolo a pag. 8); dai tentativi di linciaggio mediatico contro la sorella di Giulia Cecchettin (articolo a pag. 5) alle speculazioni sulla “legittima difesa” dopo la condanna del gioielliere assassino di Grinzane Cavour (CN).
La bocciatura della riforma del Mes è rientrata in questa penosa contesa, con la Lega che ha cercato di attestarsi come unico argine alle istituzioni della Ue aprendo ufficialmente le ostilità elettorali, seguiti a ruota da Fratelli d’Italia.
Ci sono molti altri “dossier” che fanno tremare il governo Meloni: dalla riforma della giustizia del ministro Nordio alle gaffes più o meno spontanee di Crosetto (che un giorno attacca la Magistratura e il giorno dopo deve giustificare i favori di “un amico”, imprenditore nella cyber sicurezza, che gli mette gratuitamente a disposizione una prestigiosa dimora nel centro di Roma), fino alla ministra Santanché che, fra un’inchiesta per bancarotta e l’altra, prova a demolire il Contratto nazionale di lavoro nel commercio e nei servizi.
Insomma si profila una situazione in cui una parte, via via più consistente, di coloro che “ai piani alti” avevano sottoscritto e benedetto il passaggio dal governo Draghi al governo Meloni si trova a far fronte alle ingombranti conseguenze dell’azione del governo.
Quando il ministro dell’economia Giorgetti afferma, riferendosi alla Ue, che “ce la faranno pagare” (per la bocciatura del Mes) evoca senza nominarla la parabola del governo Berlusconi IV (2008-2011).
All’epoca la mobilitazione popolare contro il governo Berlusconi fu ampia e articolata, ma a staccare la spina al governo fu una “congiura di palazzo” ordita dai vertici della Bce (con la “lettera segreta di Trichet e Draghi a Berlusconi”) e avallata da Napolitano, che diede l’incarico di governo a Monti.
Oggi, fattori interni e internazionali fanno sì che si stia ricreando una situazione analoga, ma contro il governo Meloni.
Il 2024 si apre dunque con la seguente questione politica generale: il governo Meloni annaspa e ogni tentativo di rimanere a galla aggrava la situazione. Se a farlo cadere sarà un’altra congiura di palazzo, più o meno combinata con l’esito delle elezioni europee, la prospettiva è che sarà sostituito da un altro governo delle Larghe Intese.
Se a farlo cadere sarà, invece, la mobilitazione popolare, la prospettiva possibile è che sarà sostituito da un governo di emergenza popolare.
In altri articoli di questo numero parliamo del valore e della prospettiva delle tante mobilitazioni che hanno chiuso il 2023 e diciamo un’ovvietà quando registriamo che non sono state sufficienti a respingere la finanziaria di guerra e rapina. Tuttavia, c’è stata una mobilitazione che un primo risultato l’ha raggiunto: quella dei medici e degli infermieri. Hanno scioperato per 24 ore il 5 e poi il 18 dicembre (vedi articolo pag. 8). E anche se fonti governative si sono affrettate a dire che “non ha scioperato nessuno”, il governo è stato costretto a rimangiarsi il taglio delle pensioni dei medici.
Già questo è un risultato, piccolo, ma concreto. Che non ha convinto i sindacati di categoria: annunciano, infatti, nuovi scioperi per gennaio e questa volta non di 24, ma di 48 ore. A dimostrazione che se c’è chi la organizza, la mobilitazione si sviluppa.
La campagna elettorale della Lega
Una lettrice ci invia questa corrispondenza, breve ma significativa.
La signora sindaca di Monfalcone Cisint è in odore di candidatura alle europee. Quand’anche non fosse candidata, rappresenta bene il prototipo del perfetto candidato leghista.
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La tranquilla comunità bangladese di Monfalcone, città dove Fincantieri usufruisce di manodopera straniera a basso costo, in risposta al divieto della sindaca leghista Annamaria Cisint che ha fatto chiudere gli unici due luoghi di culto musulmano, ha indetto una manifestazione per sabato 23 dicembre per “sensibilizzare l’opinione pubblica e gli amministratori del nostro paese sulla gravità della situazione a seguito dei costanti e continui attacchi della sindaca”.
Le accuse quotidiane su diverse reti nazionali sono quelle di non volersi integrare, di imporre l’hijab alle donne e di volersi sostituire alla popolazione indigena. Tutte falsità costruite ad arte da chi non è in grado, anzi non vuole, dopo quasi otto anni di amministrazione, interloquire, confrontarsi con nessuno compresa l’opposizione in consiglio comunale. I lavoratori perciò, non solo sono sfruttati in fabbrica, ma sono anche ingiustamente accusati. Così facendo non fa altro che fomentare odi e contrapposizioni che potrebbero portare a scontri: qualche settimana fa, infatti, un centro culturale islamico si è visto recapitare due pagine del Corano parzialmente bruciate.
GM – Monfalcone