Toni Negri è morto. Sui media di regime si parla della scomparsa di un docente universitario, un cattivo maestro, un parlamentare della Repubblica dei Radicali e intellettuale dissidente che assunse il ruolo di ideologo dell’Autonomia Operaia. Altri media di movimento, organizzazioni sociali e politiche del paese, invece, stanno ricordando Negri come colui che contribuì a partire dagli anni sessanta a costruire un immaginario di cambiamento e trasformazione della società italiana.
Rispetto a figure come Negri, però, come nel caso della recente scomparsa di Mario Tronti, sarebbe sbagliato limitarsi a questa affermazione. È tutt’oggi necessario entrare nel merito di come, con le sue idee e l’influenza che hanno avuto nel movimento di resistenza delle masse popolari, ha assolto a quel ruolo e con quali conseguenze.
L’operaismo e la deformazione del marxismo
Come dicevamo, Negri, proveniente dall’Azione Cattolica e dal PSI, è stato il principale intellettuale, ideologo e dirigente dell’operaismo in Italia. L’operaismo è una tendenza teorica e politica che in Italia nasce all’inizio degli anni ‘60 esprimendosi successivamente in riviste come Quaderni Rossi, Classe Operaia, Potere Operaio. I suoi esponenti più significativi oltre a Negri furono Panzieri, Tronti e Cacciari. Questa tendenza ha ampiamente influenzato varie organizzazioni politiche (Potere Operaio, Lotta Continua, Autonomia Operaia e vari gruppi minori) ed ha avuto grande seguito nel mondo accademico e culturale.
Deriva il suo nome dalla tesi che i partiti politici della classe operaia mistificavano gli interessi degli operai e quindi occorreva contrapporre gli operai in prima persona nei loro interessi e nel loro comportamento immediato, ai partiti che pretendevano di rappresentarli. Il movimento operaista si è fatto forte delle tendenze a combattere la trasformazione del PCI in ‘partito borghese per gli operai’ e la trasformazione delle società socialiste in società socialimperialiste; ma riducendo la classe operaia ‘per sé’ alla classe operaia ‘in sé’, contrapponendosi cioè alla necessità oggettiva della formazione dell’avanguardia organizzata del proletariato, ha deviato e sterilizzato quelle tendenze.
Insomma Negri e gli operaisti negavano la tesi marxista che il capitale tende ad aumentare la miseria, l’oppressione, l’asservimento, l’abbrutimento e lo sfruttamento delle masse popolari, tendenza che si traduce in realtà tanto più quanto meno forte è la lotta di classe del proletariato contro di essa.
Dal punto di vista teorico, inoltre, l’operaismo ha fatto propria, propagandato e cercato di attuare in campo politico la concezione della Scuola di Francoforte. I suoi esponenti ponevano al centro della loro inchiesta il contenuto del lavoro, la tecnica produttiva e le forme organizzative del lavoro, anziché i rapporti di produzione nel loro insieme.
Un tratto tipico degli operaisti fu la tesi che le conquiste che le masse popolari hanno strappato alla borghesia imperialista grazie al movimento comunista, sarebbero in realtà astute riforme concepite e messe in opera dalla borghesia imperialista per “integrare” la classe operaia nel sistema capitalista e creare un nuovo spazio all’espansione del modo di produzione capitalista (piano del capitale).
In realtà questa scuola ha revisionato il marxismo con l’occhio dei sociologi americani e ha dato voce teorica e politica all’aristocrazia proletaria dei paesi imperialisti, negando il ruolo rivoluzionario specifico della classe operaia in nome della tesi che nelle società imperialiste tutti siamo proletari.
Non è un caso che anche per tutti gli anni 90’ e 2000 il Negri pensiero si sia tramutato in un miscuglio di tesi disfattiste, riformiste e fondate sulla diffusione dell’idea che il movimento comunista era stato sconfitto e che la classe operaia era addirittura scomparsa.
Innocentismo, forma nobile di dissociazione e pentitismo
Ad ogni modo l’operaismo è stato un movimento che ha avuto un grosso influsso nel movimento rivoluzionario del nostro paese a partire dagli anni Sessanta e che negli anni Ottanta, anni della repressione violenta della Borghesia contro il movimento rivoluzionario del nostro paese, si contraddistinse come promotore di posizioni che andavano verso la dissociazione e il pentitismo dei militanti rispetto al movimento rivoluzionario, alla lotta armata e alla propria partecipazione al movimento comunista e operaio di quegli anni. Affermavano, con il loro pentimento, che la borghesia onnipotente avesse vinto.
Fino alla fine dei suoi giorni, infatti, Toni Negri ha negato il ruolo che ha ricoperto in quel movimento dissociandosi da quanto fece, pensò e disse in quegli anni cercando al contempo di non perdere la faccia, il proprio ruolo sociale di intellettuale scomodo e le sue cattedre presso l’Università di Parigi 8, la Sorbona, l’École Normale Supérieure e il Collegio Internazionale di Filosofia.
La forma di dissociazione assunta da Negri in quegli anni era quella dell’innocentismo, quella con figure come la sua hanno sfruttato la particolarità della loro collocazione di classe per chiamarsi fuori, scaricandosi, di fronte al movimento, di ogni responsabilità politica, sconfessando come impropria la traduzione politica delle loro parole e dei loro scritti. Una linea che certamente gli ha permesso di farla franca davanti alla giustizia borghese ma non rispetto al bilancio che le masse popolari devono tirare di quelle esperienze e delle concezioni promosse da chi vi si pose alla testa. Il proletariato valuta ogni uomo dai risultati della sua attività.
Per approfondire accuratamente tutti questi aspetti legati alla figura di Toni Negri e delle teorie di cui è stato promotore nel corso della sua vita invitiamo alla lettura dell’intervento del Comitato Giuliano Naria dal titolo Toni Negri, ovvero del soggettivismo e del gradualismo, inserito negli atti preparatori del Convegno contro la repressione del 30 e 31 maggio 1981, reperibili anche sul sito del (nuovo) Partito Comunista Italiano. Buona lettura!