Il 25 novembre le strade della Capitale sono state attraversate da una marea di 500 mila persone: erano donne e uomini, giovani, pensionate, lavoratrici, famiglie con bambini, provenienti da tutte le parti d’Italia.
La manifestazione nazionale di Non Una di Meno è stata un’importante giornata di lotta contro il Governo Meloni. Non Una di Meno è stata in grado di far convergere a Roma tutta l’indignazione, la rabbia, il dolore di migliaia di proletarie che anche nel nome e nel ricordo di Giulia Cecchettin hanno indicato responsabili ben precisi dei femminicidi e della cultura patriarcale: il Governo, il Vaticano, le Forze dell’Ordine. La portata che la mobilitazione del 25 novembre ha avuto è tanto più grande se consideriamo che, in contemporanea a quella di Roma, c’erano una manifestazione nazionale anche a Messina e grandi cortei in altre città italiane come Torino e Milano.
Quello di Roma è stato un corteo combattivo e determinato, nel quale è risuonato altissimo l’appello lanciato da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, che ha ripreso alcuni versi di una poesia dell’attivista peruviana C. Caceres: “Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto”. A quel “bruciate tutto”, diventato virale sui social, promotrici e partecipanti al corteo – con cori, cartelloni, striscioni e azioni militanti – sono riuscite a dare contenuto. Lo hanno fatto in più modi: fronteggiando a testa alta la Celere schierata a difesa della sede dell’associazione antiabortista ProVita & Famiglia, chiedendo agli sbirri dove fossero tutte le volte in cui una donna ha denunciato violenze ed è stata inascoltata o sminuita e ottenendo, in risposta, le manganellate.
Un esempio eclatante di come la classe dominante ha provato a gettare acqua sul fuoco della mobilitazione: nei giorni successivi alla notizia dell’uccisione di Giulia Cecchettin, la Polizia di Stato ha pubblicato sui propri account social i versi “Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me voglio essere l’ultima” della poesia di C. Caceres. Il goffo tentativo della Polizia di presentarsi come amica delle donne proletarie è stato sventato da centinaia di commenti sotto il post in cui donne e ragazze riportavano esperienze, vissute sulla propria pelle, di totale inutilità, inefficacia (nel momento in cui si erano trovate a denunciare abusi e violenze, sono state inascoltate o sminuite), ma anche violenze fisiche e morali da parte delle Forze dell’Ordine.
Lo hanno fatto con i comizi lanciati dai carri, nei quali è stato pesantemente attaccato il governo Meloni, il quale, mentre si straccia le vesti per l’ennesimo femminicidio, sferra attacchi alle donne lavoratrici e disoccupate povere eliminando il reddito di cittadinanza, permette la chiusura di spazi sociali come la Casa delle donne Lucha y Siesta e, con la scusa del contrasto alla violenza di genere, reprime e vessa le categorie più marginalizzate, inasprendo le pene per i reati di minori, come fatto col Decreto Caivano. E ancora, l’hanno fatto con le azioni preparatorie al corteo, con la sanzione alla sede Rai svoltasi la mattina del 25: i media di regime si rendono complici della violenza di stato perpetrata sulle donne delle masse popolari nel momento in cui portano avanti una narrazione che spettacolarizza i femminicidi e il dolore delle famiglie e si prestano al gioco di mettere proletari uomini contro proletarie donne.
Contenuto all’appello di Elena è stato dato anche dal movimento studentesco, che ha fatto carta straccia dell’ipocrisia sul “minuto di silenzio” indicato dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Il “minuto” si è trasformato in ore e poi in giorni di rumore assordante, di occupazioni nelle scuole, di assemblee, di organizzazione. La lotta contro le discriminazioni di genere si è legata a quella per la cacciata di Valditara e per respingere le sue reazionarie linee guida “per il contrasto alla violenza di genere”: un’educazione sessuale e affettiva efficace può e deve essere imposta nelle scuole soltanto dal basso, da studenti e studentesse che si coordinano con gli insegnanti.
Questa mobilitazione ampia e capillare, di cui le donne delle masse popolari sono state le protagoniste, ha ribaltato la macabra operazione di “unità nazionale” promossa dalle Larghe Intese che hanno tentato in tutti i modi di strumentalizzare l’uccisione di Giulia Cecchettin per deviare l’attenzione dalle responsabilità della classe dominante di cui è un esempio il Ddl contro la violenza sulle donne frutto dell’accordo fra Schlein e Meloni. Fratelli d’Italia ha cercato di ergere Giorgia Meloni a paladina delle donne, con le promesse di pene più severe e braccialetti elettronici. La segretaria del PD Elly Schlein – che è nemica delle proletarie tanto quanto Giorgia Meloni – ha addirittura partecipato alla manifestazione del 25 novembre a Roma.
Lavoratrici e studentesse non solo hanno impedito il tentativo delle Larghe Intese, ma glielo hanno anche ritorto contro, facendo della giornata del 25 novembre un importante momento di lotta e organizzazione, dicendo chiaramente che sono proprio quelle istituzioni borghesi e clericali che oggi si stracciano le vesti le vere responsabili della strage delle donne.
Nel mese di novembre ci sono state molte mobilitazioni: solo per citare le principali, oltre ai cortei nazionali di Non Una di Meno, lo sciopero generale di CGIL e UIL, le manifestazioni studentesche e le occupazioni di scuole e università e mobilitazioni nelle strade e nelle scuole in solidarietà alla Palestina. Manifestazioni che si guardano e si legano l’un l’altra, nelle quali si sono intrecciate le lotte e le rivendicazioni di varie categorie delle masse popolari, dandosi forza reciprocamente.
Sono diversi gli aspetti che accomunano tutti questi momenti di lotta: il primo e principale è il fatto che tutti pongono – in modo più o meno palese – la questione del governo del paese, pongono la necessità di dare al paese un governo diverso, di emergenza, che prenda misure straordinarie per fare fronte alle emergenze che colpiscono le masse popolari. Il secondo è che, quando un centro autorevole (in questo caso Non Una di Meno, ma lo stesso discorso vale, ad esempio, per la CGIL) si pone alla testa della lotta contro il governo Meloni, le masse popolari rispondono e si mobilitano.
In definitiva, indirizzare tutte le mobilitazioni verso l’obiettivo di cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza che è espressione delle masse popolari organizzate è anche il modo – l’unico – per far sì che le piazze, per quanto grandi e combattive, non rimangano fini a se stesse: “Non si tratta principalmente di opporre al governo Meloni uno sciopero generale o di presentare alle elezioni una lista con un programma più di sinistra. Si tratta di impostare una campagna:
– di proteste e di disobbedienza,
– di azioni che soddisfano direttamente i bisogni della parte più povera delle masse popolari,
– di mantenere in attività le aziende che i padroni vogliono smantellare o delocalizzare organizzando i rifornimenti e l’utilizzo dei prodotti,
– di valorizzare tutte le potenzialità del terzo settore,
– di mobilitare alla lotta politica disoccupati, cassaintegrati e lavoratori in mobilità,
– di trasformare le aziende, le scuole, le Camere del Lavoro, le sedi associative e le Amministrazioni Locali in centri di mobilitazione e di organizzazione: il tutto nella forma più organizzata di cui siamo capaci e, soprattutto, mirato a rendere il paese ingovernabile da qualsiasi governo emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia e a costituire un governo d’emergenza” – da “Avere il coraggio di portare la rivoluzione socialista alla vittoria”, La Voce del (nuovo)PCI n.75.
Ai fini della comprensione di come si sviluppa una mobilitazione di massa, l’esempio del 25 novembre offre un insegnamento importante.
In un contesto di agitazione sociale diffusa, se qualcuno – un singolo individuo o un organismo – lancia parole d’ordine adeguate a dare sbocco alla mobilitazione, quelle parole d’ordine spingono avanti tutta la mobilitazione e valorizzano il ruolo di tutti coloro che partecipano alla mobilitazione.
Nel caso delle mobilitazioni contro la violenza di genere, quel ruolo è stato assunto da Elena Cecchettin. Lo ha assunto a seguito dell’omicidio della sorella e lo ha assunto oggettivamente – motivo per cui è stata massacrata mediaticamente – ma respingendo tutti tentativi di strumentalizzazione delle autorità e delle istituzioni borghesi ha avallato e valorizzato quelle tendenze ribelli che già serpeggiavano nelle mobilitazioni studentesche e fra le donne delle masse popolari. E le ha alimentate e incanalate.
D’altro canto, il ruolo di Elena Cecchettin è stato politicamente importante grazie al sommovimento creato nel tempo da Non una di meno, al lavoro continuativo e ordinario di organizzazione e mobilitazione.
La combinazione delle due cose ha permesso una mobilitazione enorme il 25 novembre a Roma. Ma soprattutto ha alimentato TUTTA la mobilitazione popolare di questo periodo.
La combinazione delle due cose è quello che bisogna considerare, caso per caso, quando c’è bisogno “di una spinta” per disobbedire alle precettazioni degli scioperi, ad esempio, o superare le resistenze dei sindacati di regime a scendere sul terreno della lotta, un altro esempio…
È giusta la spinta che ha avuto Non Una di Meno dopo il 25 novembre a rilanciare il successo della manifestazione chiamando assemblee e mobilitazioni sui territori, è giustissimo l’invito che il movimento ha lanciato al Segretario CGIL Landini a dare la copertura sindacale per scioperare l’8 marzo. Il primo passo per farlo è quello di iniziare fin da subito a costruire lo sciopero dell’8 marzo, organizzandosi sul proprio posto di lavoro. Ogni compagna può iniziare a formare dei gruppi di lavoratrici, anche piccoli, in ogni azienda pubblica o capitalista, può aderire alle date dei prossimi scioperi in programma, a partire, ad esempio, da quello del Commercio e della Grande Distribuzione del 22 dicembre. Tutte le donne possono scioperare anche se lo sciopero non è indetto dal proprio sindacato, anche se non è indetto per la propria categoria.
Si pone oggi la questione di dare le gambe, da subito, alla preparazione dello sciopero dell’8 marzo affinché sia una grande giornata di lotta con protagoniste le donne delle masse popolari, ma affinché sia, soprattutto, un ingrediente della più generale campagna di mobilitazione per rovesciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza delle masse popolari.
E lo stesso vale per le mobilitazioni studentesche, in particolare contro il piano “Educazione alle relazioni” del Ministro Valditara, un piano calato dall’alto, un contentino col quale il Governo Meloni cerca di pulirsi la coscienza e che vede il protagonismo di Alessandro Amadori, insegnante e psicologo che in più occasioni ha affermato la corresponsabilità delle donne nel momento in cui subiscono violenze. Devono essere gli studenti e gli insegnanti a decidere il tipo di educazione di cui hanno bisogno e le figure e gli esperti ai quali affidarsi, prendendo loro in mano le ore extracurriculari per le quali Valditara ha stanziato fondi.
Di iniziative in cui convergere e scioperare ce ne sono altrettante: a partire dallo sciopero del 15 dicembre indetto dai sindacati di base, passando per quello del 18 dicembre dei medici, per quello del 22 dicembre della Grande distribuzione organizzata indetto dai sindacati confederali e per quello del commercio e del terzo settore del 24 e 31 dicembre indetto da Usb, fino alla data del 31 gennaio – l’ora x – lanciata dal Collettivo di Fabbrica Gkn e le tappe del loro tour.
Portiamo in queste piazze, in queste iniziative tutte le lavoratrici e le giovani che siamo capaci di mobilitare! Facciamo di quelle piazze strumenti per parlare con le colleghe e con i colleghi nei posti di lavoro, per portarli a scioperare e a mobilitarsi. Usiamoli per costruire quel fronte compatto.
Partecipiamo allo sciopero del 15 dicembre e rispondiamo in massa al tentativo di vietare gli scioperi, usciamo dal 16 dicembre con delle date di sciopero da rilanciare che convergano con quelle già esistenti.
Facciamo valere la forza che hanno le donne delle masse popolari: incrociamo le braccia in massa!
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Il Partito dei CARC si impegna a sostenere tutte le donne che sono determinate ad andare in questa direzione, facendo propaganda dello sciopero dell’8 marzo, sostenendo e aiutando le compagne ad organizzarsi in collettivi nel proprio posto di lavoro e a costruire lo sciopero.
Fare dell’8 marzo una tappa per rendere il paese ingovernabile alle Larghe Intese, per cacciare il Governo Meloni e imporre un governo delle masse popolari organizzate!