Se ci fermiamo noi si ferma il mondo!

“Non ci è bastato il 25 novembre, non ci basterà l’8 marzo: la nostra rabbia è un fiume in piena, combattiamo questo sistema ogni giorno, perché la sua violenza è quotidiana e strutturale e si manifesta in ogni ambito della nostra vita.”
Nudm Milano

Dopo il 25 novembre la rabbia, la forza e l’organizzazione di centinaia di migliaia di donne torna in piazza: il 16 dicembre NUDM scenderà nuovamente nelle strade e nelle piazze di molte città d’Italia per portare il proprio grido e soprattutto per far scorrere quel “fiume in piena”, per alimentarlo e dargli la forza di travolgere tutto. 
Dall’assemblea nazionale svolta il 26 novembre, all’indomani della piazza del 25 novembre (che ha visto una marea umana di oltre 500.000 persone partecipare), è emersa forte la volontà e la necessità di proseguire con la mobilitazione qui e ora, di proseguire costruendo delle tappe che non solo portino all’8 marzo, ma che servano a far valere tutta la forza che le donne hanno e che possono avere nella trasformazione della società. 

“Non basta scendere in piazza un giorno, noi vogliamo gridare la nostra rabbia ancora e ancora, fino a che questo sistema patriarcale e violento non sarà caduto.”

È effettivamente urgente per le donne delle masse popolari mobilitarsi e far valere tutta la loro forza. È urgente per lottare contro uno stato di cose che le opprime, le espelle dal lavoro, le rende precarie, le isola, le carica della cura di figli e malati, rende loro impossibile abortire e curarsi. 

C’è un filo rosso da seguire per far valere la nostra forza in ogni ambito, per essere ingovernabili, ed è incrociare le braccia, scioperare e fermare la produzione di beni e di servizi nel paese. Come per l’8 marzo dobbiamo far valere il peso che abbiamo nelle aziende, nella sanità e nella scuola; il peso che ha il nostro rifiuto di produrre e lavorare per chi ci affama e opprime. 

Puoi scioperare essendo iscritta a qualunque sindacato, anche se non ha proclamato lo sciopero, e anche se non sei iscritta a nessun sindacato!

Organizzarci in ogni posto di lavoro, aderire agli scioperi e promuoverne è una spinta dal basso che diamo anche ai sindacati per continuare a indirne e dare copertura sindacale alle manifestazioni. 

Più nel complesso c’è un filo rosso che lega tutte le battaglie: la lotta contro gli abusi e le manovre del Vaticano nella sanità e nelle scuole; la lotta per il lavoro, per lo stipendio per non morire di lavoro; la lotta contro l’intossicazione, le mistificazioni e falsità dell’informazione; la lotta in solidarietà con la resistenza palestinese all’imperialismo sionista; la lotta alla repressione e alle misure antipopolari, la lotta per fermare una finanziaria lacrime e sangue; tutte queste lotte convergono nei fatti contro chi ha in mano il governo del paese. 
Qui e ora abbiamo di fronte la lotta contro il governo Meloni per unire e rafforzare tutte le singole lotte e fare decisi passi avanti. Lottare e metter mano in tutti questi ambiti vuol dire parlare del governo del paese e in questo non siamo sole! Possiamo e dobbiamo anzi legarci a chi, in mille forme diverse, si è messo su questa strada nei fatti. 

Nell’ultimo periodo diverse mobilitazioni e scioperi si sono intrecciati e si sono rafforzati l’un l’altro, al di là della coscienza o della volontà degli organizzatori. E’ accaduto nei fatti. La Meloni e il suo governo sanno bene che sarà la mobilitazione di lavoratrici e lavoratori a cacciarli ed è per questo che alimentano la spaccatura del fronte, che tentano continuamente di metterci uno contro l’altro, che proseguono con la politica repressiva delle precettazioni! Loro sanno il peso che gli scioperi e la convergenza delle mobilitazioni hanno. A noi farlo valere.

Allora che anche e soprattutto le donne scioperino e facciano scioperare! Che pervadano i prossimi scioperi e ne costruiscano altri per rendere sempre più ingovernabile il paese alla Meloni e al suo governo!

C’è ancora domani. E come sarà lo decidiamo oggi. Ci sono giorni che condensano anni. Ieri per il transfemminismo di questo paese è stato un giorno di questi. Non solo per la forza dei numeri, ma per la forza della radicalità e la rabbia. Insieme ai cortei per fermare il massacro in Palestina, alla riuscita degli scioperi generali, alla fusione irreversibile tra movimento climatico e lotta operaia, la conferma che qualcosa sta accadendo. Che qualcosa può e deve accadere. Che la cappa calata sul paese può diradarsi e rompersi. La radicalità sta nella capacità di andare alla radice. E alla radice trovi sempre la convergenza, senza la quale ogni lotta può essere isolata, repressa, “edulcorata”, sterilizzata, svuotata di contenuto e resa rito o slogan. Non lasciamo chiudere questo spiraglio. Spicchiamo il volo o cadiamo. Osiamo volare molto alto in un mondo senza aria.” 
CdF della Gkn all’indomani della manifestazione del 25 novembre

Per tutte le masse popolari, donne in testa, è urgente e non rimandabile stringersi in un fronte il più compatto possibile per cambiare il proprio presente e il proprio destino: per fermare lo smantellamento delle aziende private e pubbliche, per avere stipendi dignitosi, per non essere perseguitati e repressi! Per liberarsi da chi oggi li opprime e per imporre loro un governo che sia davvero loro espressione, di cui decidano chi governa su loro stretto mandato e cosa fa. A maggior ragione è urgente per le donne delle masse popolari che hanno bisogno di liberarsi da una doppia oppressione! Se sono loro a mettersi in marcia per “bruciare tutto” riescono anche a trascinare, ad aggregare e educare donne e uomini delle masse popolari, che dividono con loro la necessità di mobilitarsi e scioperare. 

Di iniziative in cui convergere e scioperare ce ne sono altrettante: a partire dallo sciopero del 15 dicembre indetto dai sindacati di base, passando per quello del 18 dicembre dei medici, per quello del 22 dicembre della Grande distribuzione organizzata indetto dai sindacati confederali e per quello del commercio e del terzo settore del 24 e 31 dicembre indetto da Usb, fino alla data del 31 gennaio – l’ora x – lanciata dal Collettivo di Fabbrica Gkn e le tappe del loro tour. 

Portiamo in queste piazze, in queste iniziative tutte le lavoratrici e le giovani che siamo capaci di mobilitare! Facciamo di quelle piazze strumenti per parlare con le colleghe e con i colleghi nei posti di lavoro, per portarli a scioperare e a mobilitarsi. Usiamoli per costruire quel fronte compatto.
Partecipiamo allo sciopero del 15 dicembre e rispondiamo in massa al tentativo di vietare gli scioperi, usciamo dal 16 dicembre con delle date di sciopero da rilanciare che convergano con quelle già esistenti.

Facciamo valere la forza che hanno le donne delle masse popolari: incrociamo le braccia in massa!

***

Sotto il comunicato nazionale di Nudm uscito all’indomani del 25 novembre 

Transfemministə ingovernabili, se ci fermiamo noi si ferma il mondo!

Sabato 25 novembre è stata una giornata storica e potentissima. 

Un’infinita marea fucsia si è riversata nelle strade di Roma contro la violenza patriarcale.

Le fermate metro strapiene hanno dato vita a mille cortei spontanei, fiumi umani hanno raggiunto la piazza da ogni via, un corteo ha di fatto preceduto la testa a piazza San Giovanni.

Tutto questo mentre a Messina – in condizioni meteorologiche più che avverse – a Torino, Padova, e in Milano e in decine di altre città, ci si è di nuovo riversatə in strada con degli enormi cortei selvaggi che, tra le altre, hanno saputo rispondere al desiderio di tantə di esserci in ogni caso, nonostante l’ottuso diniego da parte delle autorità preposte di predisporre mezzi gratuiti o calmierati per poter raggiungere la piazza romana. 

Centinaia di migliaia di voci – ben oltre il mezzo milione – hanno gridato Non Una Di Meno in tutta Italia. Si sente ancora l’eco.

Questa enorme esplosione di forza contro la violenza patriarcale è frutto delle parole di Elena Cecchettin, che ha reso il suo lutto uno strumento di denuncia e di lotta per tuttə.

“La violenza è sistemica”, e anni di accumulo di pratiche e di elaborazioni condivise nelle piazze transfemministe ci hanno trovatə prontə a rispondere come un’unica voce. 

Potente, determinata, chiara.

E così – nella settimana dell’ipocrita unità nazionale contro la violenza di genere – emerge che la lotta contro la violenza patriarcale non è un terreno neutro e apolitico: attraversa la sfera pubblica e quella privata e le politiche istituzionali e del governo la alimentano invece che combatterla.

La risposta è stata immediata, e ha preannunciato e preparato l’enorme mobilitazione di sabato con la rottura del minuto di silenzio, passata di scuola in scuola per rovesciare l’ipocrisia di un governo che ha sempre combattuto l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva e alle differenze e che risponde con linee guida inadeguate, facoltative, irrisorie.

Invece del minuto di silenzio ci siamo riversate nelle strade di moltissime città, con passeggiate arrabbiate e rumorose.

La rottura del silenzio è risuonata anche al Circo Massimo con un grido muto che ne ha segnato l’inizio, sincronizzando centinaia di migliaia di corpi nello stesso gesto di rivolta. La marea ha fatto poi risuonare le chiavi di casa per denunciare la violenza domestica, esondando fino alle porte del Colosseo in una corsa decisa, in lotta.

Lungo il percorso ci sono state varie azioni, all’Assessorato alle politiche sociali del comune di Roma, al Colosseo, ad una Banca mentre una contestazione massiccia della sede di Provita e Famiglia è stata attaccata dalla Celere e dai carabinieri dell’antisommossa, provocando il ferimento di alcunx manifestanti e nessun ripensamento da parte di chi era nel corteo, determinato a segnalare l’organizzazione antiabortista e omolesbobitransfobica che in questi giorni si è nuovamente distinta per una campagna contro l’educazione alle differenze nelle scuole.

A tal proposito denunciamo il livello di repressione che sappiamo essere sempre più altro verso chi si organizza dal basso ed i tentativi di strumentalizzazione e criminalizzazione della marea in piazza e di quanto in essa si è svolto, tentativi che assumono con parzialità la potenza del corteo e della settimana appena trascorsa. Meloni mistifica la realtà parlando di una sede devastata, le uniche parole della premier sembrano non voler cogliere la portata di ciò che si sta dando. La Ministra Roccella liquida la piazza definendola ‘ideologica’, operazione già attuata da Salvini e miseramente fallita nel tentativo di screditare Elena Cecchettin. 

Appare chiaro come per il Governo il vero problema siano le donne e le persone LGBTQIAPK+* che si ribellano alla subalternità e alla violenza patriarcale come destino.

Non si torna più indietro, la marea non si ferma. 

Il 25 novembre è solo l’inizio.

Rilanciamo l’appuntamento per il 16 dicembre con una mobilitazione nazionale diffusa in ogni città, per essere nuovamente in strada e in piazza tuttə insieme, verso lo sciopero transfemminista dell’8 marzo 2023.

Esprimiamo la nostra indignazione per le parole della Commissione di Garanzia che – per giustificare la precettazione e attaccare lo sciopero generale del 17 novembre scorso – afferma che proclamare sciopero l’8 marzo è “un paradosso”. Lo abbiamo visto in questi anni in Italia e in tutto il mondo, lo abbiamo visto pochi giorni fa in Islanda. Se ci fermiamo noi si ferma il mondo!

Prendiamo sul serio l’interesse del Segretario CGIL Landini per lo sciopero delle donne islandesi, finalmente si è accorto dell’importanza degli scioperi femministi e transfemministi. Affermare di essere contro la violenza non basta, però, l’invito è ad offrire alle lavoratrici e a chi vorrà aderire, la possibilità di scioperare il prossimo 8 marzo, di sostenere questo diritto individuale fondamentale che si esercita collettivamente.

L’energia e la rabbia crescono sempre di più: continuiamo a tessere insieme le infinite reti che nutrono la marea contro le linee guida di Valditara per un’educazione sessuo-affettiva femminista nelle scuole a partire dalle primarie; contro il taglio dei fondi ai centri antiviolenza e per maggiori risorse e autonomia ai centri femministi e transfemministi; per salari degni e reddito di autodeterminazione per l’autonomia economica; contro la guerra che è la più alta espressione della violenza patriarcale e colpisce prima di tutto le donne, utilizzando lo stupro come arma. 

Ci vogliamo vivə, liberə e autodeterminatə!

Per finire una chiosa: non è semplice costruire una piazza accogliente e accessibile per tuttə, e l’obiettivo è ancora lontano dal darsi ma, nella trasformazione delle forme della politica impressa dal movimento transfemminista, c’è senz’altro l’assunzione della cura come pratica condivisa.

Amore e rabbia

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