Ieri 25 novembre una delegazione di compagne del P.CARC ha preso parte all’ottavo corteo nazionale organizzato da Non Una di Meno a Roma in occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della violenza genere.
Una marea di 500.000 manifestanti ha riempito il Circo Massimo per poi riversarsi nelle vie della capitale a conclusione di una giornata di lotta che ha visto marciare migliaia di studentesse, lavoratrici, mamme, pensionate provenienti da ogni parte del paese. Donne diverse per età, nazionalità, storia o militanza, ma tutte unite dalla necessità di riconquistare un ruolo da protagoniste della lotta per rovesciare il sistema capitalista, per liberarsi dal patriarcato e dalla doppia oppressione, di genere e di classe, che quotidianamente subiscono in ogni ambito della loro vita.
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Non solo una ricorrenza nella quale piangere e ricordare le vittime di una società malata, ma una giornata di organizzazione e lotta!
Nella mattinata di ieri, a poche ore dalla manifestazione, una delegazione di cinque attivisti ha organizzato un comizio davanti alla sede della Rai di viale Mazzini, in quanto simbolo dell’intossicazione e strumento in mano al governo Meloni che strumentalizza la violenza di genere. È stato al termine di questa azione che i compagni sono stati fermati dalla polizia per poi essere rilasciati poche ore dopo la denuncia pubblica dell’accaduto da parte di Non Una di Meno.
Nella stessa mattina gli attivisti di Non Una di Meno hanno organizzato un lettering all’Altare della Patria per chiedere l’immediato cessate il fuoco a Gaza e schierandosi con la resistenza del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana e contro il governo Meloni che finanzia l’escalation bellica con la produzione e invio massiccio di armi.
Non ci sono margini di ambiguità in questa storia di colonialismo, razzismo e violenza, tesa a cancellare il territorio palestinese e, soprattutto, il suo popolo.
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Le azioni militanti sono continuate anche durante il corteo.
Non Una di Meno ha infatti invaso il Colosseo per denunciare le misure contro le donne delle masse popolari che il governo Meloni ha messo in campo, a partire dal contrasto solo formale e sensazionalistico alla violenza, all’inasprimento delle pene, alla strumentalizzazione degli stupri di Palermo e Caivano e militarizzando linguaggio e territori considerati “problematici” a causa della povertà e del degrado. La protesta ha riguardato anche il progetto del ministro Valditara sull’educazione all’affettività da introdurre nelle scuole denunciando l’inadeguatezza delle 30 ore extracurricolari previste per far fronte al fenomeno della violenza di genere.
Alla denuncia si è aggiunta però anche la proposta delle misure reali di cui le donne, le proletarie, hanno bisogno per il contrasto alla violenza, tra cui politiche per il lavoro, l’allargamento dei requisiti per l’accesso al Reddito di cittadinanza che la Meloni ha tagliato nonostante la maggior parte delle beneficiarie fossero donne, l’allargamento dei criteri di assegnazione per le case popolari e, più in generale, le garanzie per il diritto all’abitare.
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E’ stata sanzionata anche la sede di ProVita&Famiglia dove le attiviste hanno promosso un’azione di contestazione per rimarcare il diritto delle donne ad abortire, per cacciare gli obiettori dagli ospedali pubblici e rivendicare più strutture antiviolenza e consultori. Qui, la polizia, che in questi giorni ha dato spettacolo con post e dichiarazioni in supporto alle donne e contro la violenza di genere, ha represso la protesta caricando le manifestanti.
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La marea che ha invaso Roma ci ha mostrato che le donne della nostra classe, le proletarie, hanno già la forza per bruciare tutto e possono farlo proprio perché tornano a casa. Perchè solo vive possono vendicare le loro mamme, le loro sorelle o le loro figlie ammazzate dal capitalismo, lottando unite per rovesciarlo.
Cosa significa allora cominciare a bruciare tutto?
Significa trasformare la rabbia in organizzazione: organizzarsi in collettivi in ogni posto di lavoro insieme alle proprie colleghe, per mettere fine alle discriminazioni di genere portate avanti dalle aziende, per imporre un salario adeguato, per fare in modo che nessuna donna venga pagata di meno o perda il posto di lavoro dopo la maternità, partecipare in massa agli scioperi indetti dalla CGIL e dai sindacati di base, scioperare a oltranza e bloccare il paese fino a cacciare il governo Meloni e la cricca di clerico-fascisti che ne fa parte.
Significa organizzarsi per difendere il diritto all’aborto libero e gratuito: organizzare mappature degli ospedali infestati dagli obiettori di coscienza e mobilitarsi per cacciarli, dare ampia diffusione di quali sono i comportamenti illegali che una donna che vuole abortire non deve subire!
Significa organizzarsi in collettivi in ogni scuola e università per imporre dal basso ore di educazione sessuale, darsi i mezzi per ottenere spazi sicuri di discussione libera sui temi di cui gli studenti e le studentesse hanno bisogno di confrontarsi!
Significa creare comitati territoriali per la difesa e il rifinanziamento dei centri antiviolenza, comitati che promuovano controllo popolare dal basso nei quartieri: le strade sicure le fanno le donne che le attraversano e si coordinano!
Il primo passo per andare in questa direzione è cacciare il governo di Giorgia Meloni, “una donna” che governa su mandato delle cricche clerico-fasciste, delle lobbies e dei comitati d’affari, una “madre” che perseguita altre madri, una “cristiana” che ha indossato l’elmetto e obbliga il paese a fare altrettanto.
Avanti nella lotta per l’emancipazione delle donne delle masse popolari!