Ormai nemmeno più le Tv e i giornali riescono a nascondere i problemi della sanità pubblica e chiunque abbia a che fare con il Ssn vede con i propri occhi che la situazione è fuori controllo. Decenni di speculazioni di privati e industrie farmaceutiche, uniti all’abbandono e ai tagli del governo, hanno prodotto una situazione dove non esistono più falle da tappare, ma un fiume in piena che ha rotto gli argini.
Gli ospedali – non a caso rinominati “aziende ospedaliere” – sono oggi in condizioni ancora peggiori rispetto a prima della pandemia da Covid (alla faccia dello slogan “sulla sanità abbiamo imparato la lezione”): meno posti letto, liste d’attesa infinite, finanziamenti diretti o indiretti alle strutture private, personale sanitario sottopagato e ridotto al lumicino.
Il risultato è che le masse popolari hanno spesso una sola scelta: o rinunciare a curarsi o affidarsi (chi può) alla miriade di strutture e studi medici privati che, al contrario, fioriscono in tutte le regioni. Il messaggio è chiaro: paga e sarai curato, altrimenti sono cavoli tuoi.
Ma c’è un’altra cosa che le masse popolari possono fare, cioè organizzarsi dal basso per provvedere ai propri bisogni e per difendere il Ssn dallo smantellamento. A seguire, riportiamo tre iniziative che hanno al centro il tema della sanità e che mobilitano una parte delle masse popolari del paese. Esperienze molto diverse fra loro, ma che dobbiamo imparare a coordinare per mettere mano alla situazione della sanità pubblica. Il modo per farlo è prendere in mano il governo del paese.
Milano
Il 21 ottobre si è tenuto sotto il palazzo della Regione Lombardia un presidio – di circa 500 persone – a conclusione di un ciclo di iniziative sui territori in difesa del Servizio sanitario regionale pubblico. Il presidio è stato organizzato da Medicina Democratica, Cgil, Arci, Acli, Osservatorio Salute e vi hanno preso parte, oltre ad alcuni nostri compagni, varie associazioni e rappresentanti dei gruppi consiliari di opposizione.
La manifestazione è stata una tappa della mobilitazione delle ultime settimane – dopo la bocciatura del Consiglio regionale di settembre – sul referendum per abrogare la legge regionale sanitaria, che toglie risorse e mezzi alle strutture pubbliche mentre li concede a quelle private (basti pensare che in pochi mesi in Lombardia sono stati aperti ben tre Pronto Soccorso a pagamento!). Da più parti è partito l’appello al coinvolgimento del personale sanitario del pubblico e del privato, rigettando le contrapposizioni sulle quali fa invece leva la classe dominante.
Dopo il presidio la mobilitazione continua, a partire dalla collaborazione con il Coordinamento Veneto Sanità Pubblica (CoVeSap), che raccoglie oltre ottanta associazioni, comitati e forze sindacali del Veneto e che era presente in solidarietà al presidio di Milano.
Massa
Il 14 ottobre, dopo settimane di assemblee, mobilitazioni e iniziative in difesa degli ospedali pubblici, Massa insorge, Consulta Popolare per la Sanità di Massa, Comitato Salute Pubblica Massa Carrara, Movimento Lunezia, Salute Pubblica Alta Lunigiana, con il sostegno dell’associazione Invisibili, di Rivoluzione Allegra, Usb e P.CARC, hanno organizzato un corteo per impedire la chiusura del distretto sanitario delle Villette e di via Bassa Tambura a Massa. Perché – come abbiamo scritto anche sui numeri scorsi di Resistenza – l’Ausl, la Regione e l’Amministrazione comunale vorrebbero chiudere l’attuale distretto (senza un reale motivo) per costruirne uno nuovo a ridosso dei binari del treno, con la stazione che, peraltro, continua ad allagarsi a ogni temporale. Proprio il posto adatto per costruire un ospedale!
Sta di fatto che il corteo partito con cento persone, ne contava alla fine cinquecento. Durante la manifestazione Marco Lenzoni, di Massa insorge, ha detto: “Non avremo pace finché non sarà riattivato l’ex ospedale di Massa, finché in città non ci saranno almeno 1.150 posti di cure intermedie con medici e infermieri e soprattutto non ci fermeremo fino a quando il distretto di via Bassa Tambura non lavorerà a pieno regime, non verrà riaperta la radiologia e istituita una guardia medica pediatrica h24 per i paesi a monte”.
Un primo risultato è stato quello di aver rimandato la chiusura effettiva del distretto, che sarebbe dovuta avvenire proprio il 14 ottobre, con i lavoratori che erano già stati assegnati ad altre strutture. La mobilitazione popolare paga!
Napoli
Lo scorso 29 settembre la Consulta Popolare Salute e Sanità di Napoli ha organizzato un tavolo di discussione nazionale dal titolo Organizzarsi ovunque per il diritto alla salute, nell’ambito delle celebrazioni delle Quattro giornate di Napoli alla Festa della Riscossa Popolare. Presenti al tavolo molti comitati e associazioni tra cui Isde Napoli, il Comitato Popolare Zona Est, Stop Biocidio, il Comitato No 4a linea inceneritore per la difesa ambientale di Acerra. Presenti anche alcuni consiglieri di Municipalità e il presidente della VIII Municipalità Nicola Nardella. A questi si sono aggiunti, in collegamento on line, la Rete Nazionale Lavoro Sicuro, il Comitato No Rigassificatore di Brindisi e quello di Ravenna.
L’obiettivo del tavolo era quello di alimentare un processo di mobilitazione e coordinamento a livello nazionale e di promozione di percorsi di lotta e partecipazione condivisi sui temi della salute e dell’ambiente.
Tanti gli spunti emersi che hanno messo al centro la necessità del controllo e della mobilitazione popolare per porre rimedio allo sfacelo della sanità pubblica, sempre più connesso all’inquinamento e alla speculazione sull’ambiente. Dal coinvolgimento dei lavoratori alla raccolta dei dati, fino alla proposta di non pagamento del ticket: queste le iniziative che nelle prossime settimane starà ai comitati attuare e sperimentare sui territori.
Intanto a Napoli la Consulta ha in previsione di costruire un altro tavolo nazionale sul tema salute-ambiente e ha fatto convocare dal presidente della II Municipalità, per il 28 novembre, una seduta monotematica del Consiglio sugli ospedali del centro storico Loreto Mare e San Giovanni Bosco. Infatti queste strutture, come molte altre in città, sono sottoposte a smantellamento e costantemente minacciate di chiusura in favore della costruzione di altri ospedali (come l’Ospedale del Mare) che però, di fatto, eliminano i presidi sanitari più piccoli, essenziali per la popolazione.