Il 25 settembre 2023 la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza di condanna nei confronti di un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (Rls), attribuendogli una corresponsabilità, congiuntamente al padrone, per l’incidente sul lavoro nel quale ha perso la vita un suo collega. La motivazione è che avrebbe omesso di informare adeguatamente il padrone sui rischi connessi alla mansione attribuita al lavoratore ucciso.
Con l’obiettivo di alimentare il dibattito, pubblichiamo uno stralcio liberamente tratto da una corrispondenza di Marco Spezia, compagno, ingegnere e consulente tecnico per la sicurezza sui luoghi di lavoro.
L’intervento integrale è pubblicato nel podcast “Corrispondenze Operaie” su Radio Grad.
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Secondo il decreto n°81/2008, la legge che disciplina la sicurezza sui luoghi di lavoro, il Rls non è sanzionabile. Non esiste un articolo che parli di obblighi del Rls. Si parla solo di attribuzioni, cioè di quello che lui può fare. Questo però non impedisce che, in caso di omissioni e non riferendosi tanto al decreto n°81/2008, ma al Codice Penale, ci possa essere una condanna anche del Rls.
Nella sentenza si dice che è stato condannato perché non aveva informato in maniera chiara e dettagliata il datore di lavoro dei rischi connessi all’attività produttiva. Questo è ciò che dice il tribunale.
Effettivamente, se così fosse, il Rls avrebbe una mancanza nelle sue attribuzioni in quanto votato dai lavoratori e quindi rappresentante nei loro confronti, ma questo è più un aspetto etico-morale. D’altra parte se lui non ha segnalato in maniera dettagliata determinati pericoli può diventare complice del datore di lavoro: così dice la sentenza, che il datore di lavoro non era a conoscenza di determinate cose perché il Rls non gliele aveva dette. In ogni caso il datore di lavoro è stato condannato anche lui.
Comunque sul fatto che lui abbia detto o meno ciò che andava segnalato, vale una considerazione generale: il Rls è fra l’incudine e il martello, nel senso che è stata creata come una figura che garantisce i diritti dei lavoratori con un colloquio, la concertazione o anche uno scontro nei confronti del datore di lavoro. (…) Se non svolge la sua funzione viene giustamente criticato, ma dall’altra parte molti Rls sono esposti a ritorsioni. Cito ad esempio uno col quale ho collaborato. A un certo punto mi ha chiamato dicendomi che non se la sentiva più di farlo, perché a porte chiuse l’avevano minacciato che se continuava a rompere le palle, in un modo o nell’altro, lo cacciavano fuori. (…)
Il problema è la mancanza di una cultura della sicurezza, che non è quella di cui si parla nei corsi aziendali, che non entrano nel merito politico della questione. Qual è il problema politico, qual è il problema della coscienza della sicurezza che manca ai lavoratori? Manca una coscienza di classe, la consapevolezza del fatto che il problema non è che un datore di lavoro è più o meno cattivo. Lui è quello che è, secondo le categorie di un’economia capitalista. In sostanza lui si chiede: “chi me lo fa fare di spendere soldi per l’addestramento, la formazione, gli adeguamenti ecc.?”. Ci sono così pochi controlli che eludere le leggi sulla sicurezza comporta solo il rischio di dover pagare una sanzione nella remota ipotesi si venga scoperti (…)
Glielo devono far fare i lavoratori, per tramite del Rls. A questo punto sorge un problema: quanti lavoratori sono disposti a supportare il Rls? (…) Serve un salto di qualità. I lavoratori, con una pratica non soltanto di informazione, ma di creazione di quella cultura di cui parlavo prima, devono cominciare a capire che la pelle la rischiano loro.
Cito sempre un caso che secondo me è emblematico. In un’azienda di trasporti, secondo il regolamento aziendale, alla guida del mezzo dovevano essere presenti due operatori: uno alla guida e l’altro per il cambio per percorsi lunghi. A un certo punto, per motivi economici, l’azienda ha stabilito che ne sarebbe bastato uno per ogni mezzo. In questo caso il sindacato di base presente in azienda è riuscito a rendere consapevoli i lavoratori dei rischi a cui andavano incontro. Così un giorno i responsabili dell’azienda si sono ritrovati quasi tutti i mezzi fermi nel piazzale. Ne erano usciti pochissimi.
Cosa hanno fatto i lavoratori? Hanno semplicemente detto all’azienda: “Guarda, c’è il tuo regolamento aziendale che dice che dobbiamo essere in due per ogni mezzo. Noi non chiediamo niente di particolare, vogliamo che vengano applicate le normative interne dell’azienda”. Non era neppure uno sciopero, semplicemente il lavoratore andava là e rispettava le regole aziendali, aspettando l’assegnazione di un compagno che lo affiancasse. Questo è un esempio di come sia fondamentale una presa di coscienza di classe fra i lavoratori oltre alla conoscenza delle leggi e dei cavilli.