Non è possibile comprendere la situazione politica del nostro paese in questa fase se non si considerano le sue caratteristiche. L’Italia è una Repubblica Pontificia e ciò significa soprattutto due cose:
– come in tutti i paesi imperialisti, la politica del paese è definita dal risultato dello scontro fra fazioni della classe dominante. Ma a differenza di tutti gli altri paesi imperialisti, la classe dominante italiana è suddivisa in molte fazioni che fanno capo a: gli imperialisti Usa (a cui si sono aggiunti nel tempo i sionisti), gli imperialisti europei (la Ue), le organizzazioni criminali e i gruppi capitalisti italiani, tutti sottoposti all’arbitrio del Vaticano, che a Roma ha il centro e la capitale dei suoi affari e traffici a livello mondiale;
– la politica italiana è permeata dagli usi, dai costumi e dai modi tipici del clericalismo vaticano che impera. Ne sono espressione l’ipocrisia diffusa e il tramare costantemente: una fazione della classe dominante contro l’altra e tutte le fazioni della classe dominante contro le masse popolari.
Fatta questa premessa, passiamo a individuare i principali nodi della politica italiana di questa fase, che sono quattro.
1. La sottomissione agli imperialisti Usa
Il governo Meloni è lacerato sul proseguire nell’attuazione dei dettami degli imperialisti Usa. Non vuole e non può svincolarsi dalla sottomissione, ma le conseguenze del sostegno diretto alla guerra che la Nato sta conducendo contro la Federazione Russa in Ucraina, a cui si aggiungono le conseguenze della complicità nei massacri che i sionisti stanno compiendo in Palestina, gli rendono la vita difficile.
Non solo per una questione di “calo dei consensi” (sia Fratelli d’Italia che la Lega hanno fatto campagna elettorale sul sovranismo), ma soprattutto perché lo scotto economico e sociale del vortice di guerra in cui il governo Meloni sta trascinando il paese alimentano la ribellione delle masse popolari.
2. La sottomissione alla Ue
Il governo Meloni è lacerato anche sull’obbedienza alla Ue. Obbedire ciecamente agli imperialisti Usa significa remare contro gli interessi degli imperialisti europei (e quindi anche contro i propri interessi: su chi pesano le sanzioni contro la Federazione Russa è abbastanza evidente).
D’altra parte, sia Fratelli d’Italia che la Lega hanno fatto una campagna elettorale apertamente anti Ue (e hanno una storia di quel tipo) e devono molto del loro seguito proprio all’essersi posti come “anti sistema”. E infatti dimostrazioni di insofferenza erano già emerse (vedi la questione immigrazione) e continuano a emergere (vedi Giorgia Meloni che ancora non si è decisa a ratificare il Mes). Resta però il fatto che il governo “sovranista” non ha gli strumenti (e non se li dà) per rompere con la Ue e non è neppure deciso a farlo.
Le tensioni con la Ue si riflettono direttamente sul piano economico e finanziario.
Entro fine anno devono essere approvati i nuovi criteri per il ripristino del Patto di Stabilità (sospeso nel 2020 per la pandemia) e il “dibattito” ha già assunto, a tutti gli effetti, l’aspetto di uno strumento di ricatto della Ue per “mettere in riga” il governo Meloni, se non bastassero le minacce di chiudere i rubinetti del Pnrr.
3. La legge di bilancio
Entro fine anno deve essere approvata (e lo sarà), ma sulla definizione del contenuto si riversano le contraddizioni dei due punti precedenti. E se ne aggiungono delle altre: lobbies, corporazioni, comitati d’affari e amici degli amici che battono cassa, ma soprattutto la verifica del rispetto delle promesse fatte in campagna elettorale.
Nel momento in cui scriviamo circolano solo bozze (e volano gli stracci fra i partiti di governo), ma sono sufficienti a intuire che si tratta di un cimitero di promesse elettorali. Non è affatto da escludere che da qui a quando sarà approvata le cose saranno anche peggio di come appaiono ora.
4. Riforma costituzionale del presidenzialismo
Le elezioni politiche sono un esempio da manuale di quello che significa l’espressione “la democrazia borghese è una farsa”: i vertici della Repubblica Pontificia vincono sempre, a patto che la maggioranza sia raccolta dai partiti delle Larghe Intese. Unica eccezione recente è stata la vittoria del M5s nel 2018. Tuttavia i vertici della Repubblica Pontificia devono periodicamente convocarle, nonostante il dispiegato uso di governi tecnici per evitare sorprese non gradite, come appunto nel 2018. Devono convocarle per dare al loro sistema politico una parvenza di democrazia e una coerenza almeno formale con le procedure indicate nella Costituzione.
Per diminuire il rischio di sorprese alle elezioni politiche, nel corso del tempo le Larghe Intese hanno fatto riforme per rendere marginale l’esito del voto (soglie di sbarramento, sistema elettorale maggioritario, premi di maggioranza, liste bloccate, ecc.) e hanno progressivamente svuotato il parlamento del suo ruolo, relegandolo a camera di ratifica di decisioni prese altrove. Tutto ciò, evidentemente, non è abbastanza.
La riforma presidenzialista della Costituzione è la mossa con cui i vertici della Repubblica Pontificia affossano definitivamente il ruolo del parlamento, oltre a fissare in Costituzione un sistema elettorale maggioritario con un premio di maggioranza del 55%. Queste sono le linee guida della riforma in discussione, che a inizio novembre sarà (dovrebbe essere, salvo sorprese) licenziata dal Consiglio dei Ministri per poi procedere con l’iter di approvazione.
Presidenzialismo in 5 passi
Elezione del premier. Dalla prossima legislatura il capo del governo verrebbe eletto dai cittadini in un unico turno, per 5 anni.
Premio di maggioranza. Il sistema elettorale diventerebbe maggioritario con un premio di maggioranza assegnato su base nazionale che assicurerebbe il 55% dei seggi nelle due Camere alla coalizione che prende più voti.
Poteri del Presidente della Repubblica. Non avrebbe più il potere di nomina del premier (articolo 92 della Costituzione), ma solo quello del conferimento dell’incarico. Manterrebbe il potere di nomina dei ministri su indicazione del premier.
Norma antiribaltone. Nel caso in cui il premier si dimetta o decada dal suo ruolo, il capo dello Stato potrebbe assegnare a lui l’incarico di formare un nuovo governo oppure potrebbe assegnare l’incarico a un altro parlamentare eletto nella stessa coalizione.
Senatori a vita. Al Presidente della Repubblica viene revocato il potere di nominare nuovi senatori a vita, a eccezione degli ex Presidenti della Repubblica.
Tutti e quattro questi punti caratterizzano la fase politica e dipendono dalla natura di Repubblica Pontificia del nostro paese. Vuol dire che mentre infuria la battaglia fra le sue fazioni, ognuna delle quali è decisa ad affermare i propri interessi specifici, tutta la classe dominante è unita nell’affermare i suoi interessi a danno delle masse popolari.
Ne deriva che mentre gli scontri interni indeboliscono i vertici della Repubblica Pontificia, ciò che li manda al tappeto è l’iniziativa delle masse popolari: sul piano elettorale (le elezioni sono una farsa, ma vanno usate!), sul piano delle mobilitazioni di piazza, ma soprattutto sul piano della lotta per il governo del paese. Questo è il fulcro dell’autunno caldo.