Non riuscendo a intruppare fette significative delle masse popolari nella solidarietà con lo Stato terrorista di Israele, i media di regime stanno promuovendo la linea della “dissociazione e condanna dei terroristi di Hamas” e dei distinguo della resistenza palestinese tra le forze “buone” (quelle non definiscono terroristiche) e quelle “cattive” (Hamas e forze definite terroristiche). Un escamotage per giustificare la mattanza di palestinesi inermi che l’esercito Israeliano in barba al diritto internazionale (quello che vale quando si parla di paesi nemici degli Usa, ma non vale quando si parla di Israele o dei paesi Nato) sta conducendo da settimane.
Il tentativo di mostrare Hamas come un corpo separato del movimento di resistenza palestinese – o addirittura come un organismo che i palestinesi e tutti i solidali con questo popolo devono condannare e isolare – non ha alcuna attinenza con la realtà. L’offensiva del 7 ottobre infatti non ha solo confermato l’unità del fronte di partiti e movimenti di liberazione, di organizzazioni popolari socialiste e comuniste del paese ma lo ha rafforzato e ne ha esteso il ruolo internazionale.
Si sono sin da subito schierati senza se e senza ma contro il governo terrorista di Israele e senza dissociarsi da Hamas forze come le Brigate Martire Abu Ali Mustafa che in un comunicato hanno affermato: “la battaglia del “Diluvio di Al-Aqsa” è la battaglia del popolo palestinese e di tutte le forze della resistenza […] chiediamo a tutte le forze di resistenza dentro e fuori la Palestina di prendere posizione nella trincea dello scontro che ora si deve estendere in tutta la regione”. Linea confermata dal Fronte Popolare per la liberazione della Palestina: “Il Fronte Popolare invita il nostro eroico popolo in tutta la Palestina a partecipare attivamente alla battaglia del ‘Diluvio di Al-Aqsa’”. Ma anche dal Fronte Democratico per la liberazione della Palestina “l’operazione ‘Diluvio di Al Aqsa’ è stata un fatto imprevedibile e ha rappresentato un colpo fatale al sistema militare e di sicurezza dell’occupante e per l’occupazione” e delle Brigate di Resistenza Nazionale “confermiamo che i nostri combattenti sono tuttora impegnati in scontri insieme ai loro compagni di tutte le fazioni palestinesi. Duri scontri e attacchi in siti sionisti all’interno dei nostri territori occupati nel 1948, come parte dell’eroica operazione Al-Aqsa Flood”.
A queste dichiarazioni e comunicati si sono aggiunti quelli dell’Unione dei comitati d’azione delle donne palestinesi “chiediamo inoltre a tutto il nostro popolo di mobilitare tutte le energie popolari in tutti i campi, villaggi e città a sostegno del nostro popolo e della nostra causa. Lunga vita alla nostra valorosa resistenza. Gloria ed eternità ai nostri martiri. Guarigione per i nostri feriti”. Messaggi simili sono stati diffusi dalle Brigate Al-Quds, le Brigate Al-Nasser Salah al-Din (ala militare del Movimento di Resistenza Popolare) e la Brigata “Fossa dei leoni”.
Il comunicato del Partito Comunista di Palestina invece recita: “dai malvagi paesi occidentali guidati dall’imperialismo americano e dalla loro ansia di restaurare ciò che è stato causato dall’operazione di Al-Aqsa, per cercare di contenerne le conseguenze a livello regionale alla luce dell’attuale equilibrio di potere, che ha obiettivi diversi perseguiti da questa entità usurpatrice. Noi del Partito Comunista Palestinese chiediamo a tutte le masse del nostro popolo arabo palestinese, in tutte le località in Cisgiordania, nell’interno e nella diaspora, di unirsi con la Striscia di Gaza e accendere un fuoco sotto i piedi degli occupanti sionisti e lanciare la resistenza in tutte le sue forme, per fermare i massacri a cui è esposto il nostro popolo nella Striscia di Gaza. Chiediamo inoltre alle masse della nostra nazione, alla Lega Araba e ai popoli liberi del mondo, di organizzare manifestazioni di milioni di uomini in solidarietà con il nostro popolo sanguinante”. A questo ha fatto eco il Partito Popolare Palestinese che ha lanciato un appello ai partiti, movimenti, forze di sinistra, progressiste e di solidarietà, a tutte le persone libere nel mondo, agli amici del popolo palestinese perché si impegnino per far cessare la brutale aggressione e occupazione di Gaza con tutti mezzi possibili.
Ma il rafforzamento dell’unità tra le forze di liberazione del paese non si esaurisce a quelle sociali, politiche e militari coinvolgendo anche quelle sindacali e le associazioni dei lavoratori di tutta la Palestina. Sono decine, infatti, i sindacati che hanno sottoscritto un appello rivolto ai lavoratori palestinesi perché si lancino nella lotta e alle organizzazioni sindacali di tutto il mondo perché si mobilitino in solidarietà del popolo palestinese contro l’occupazione del loro territorio. Appello che abbiamo già rilanciato in questo articolo.
Il ruolo pratico che Hamas e altre organizzazioni simili svolgono oggi nello scontro in atto
In Palestina Hamas è diventata la maggiore espressione organizzata della resistenza alla colonizzazione sionista e all’occupazione imperialista. In Iraq, in Afghanistan, in Somalia, in altri paesi arabi e musulmani, nei paesi imperialisti tra gli immigrati, organizzazioni ispirate alla religione musulmana hanno assunto un ruolo importante nella resistenza popolare, un ruolo che cresce col crescere della resistenza. È ovvio che la borghesia imperialista, i suoi portavoce e le persone influenzate dai suoi interessi o succubi delle sue concezioni denigrano in ogni modo queste organizzazioni. Per combattere il ruolo positivo e progressista di esse, quando non inventano di sana pianta e non travisano, comunque mettono costantemente in primo piano, più che riescono, ciò che c’è di arretrato, di differente e di sbagliato a scapito del ruolo che quelle organizzazioni stanno svolgendo nello sviluppo dei loro popoli e dell’aiuto che danno alle forze progressiste di tutto il mondo. Per arruolare le masse popolari del nostro paese in difesa dei propri interessi lesi dalla rivoluzione democratica (l’eliminazione dei residui feudali e delle altre forme di economia basata sui rapporti personali di dipendenza e di oppressione) antimperialista (la liberazione dalla dominazione imperialista, quindi la lotta contro l’imperialismo e i suoi agenti locali) dei popoli arabi e musulmani, cercano di farla diventare una guerra tra religioni, culture e civiltà. Quello che è in gioco qui da noi è in realtà l’orientamento delle masse popolari del nostro paese: con la “nostra” borghesia imperialista contro i popoli oppressi oppure contro la “nostra” borghesia quindi alleate, almeno oggettivamente, dei popoli oppressi in rivolta.
[…] Noi comunisti e gli esponenti avanzati delle masse popolari dobbiamo contrastare la denigrazione delle organizzazioni dirigenti di quella lotta e far conoscere le loro reali posizioni. Dobbiamo far conoscere alle masse popolari del nostro paese il vero contenuto della lotta dei popoli oppressi, il legame tra la lotta antimperialista dei popoli oppressi e la nostra lotta per promuovere la rinascita del movimento comunista e far avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese.
[Tratto da Avviso ai naviganti 131 del (n)PCI]
Gli appelli, i comunicati e le prese di posizione prese dalle diverse anime della resistenza palestinese non stanno avendo solo l’effetto di rafforzare il fronte di liberazione del loro paese ma anche quello di alimentare l’indignazione, la solidarietà e la mobilitazione delle masse popolari di tutto il mondo, anche creando problemi di gestione dell’ordine pubblico e della tenuta sociale.
Negli Stati Uniti sono state organizzate decine di manifestazioni in solidarietà alla Palestina a New York (con tanto di fermi e arresti), Los Angeles, Las Vegas, nel Minnesota e nelle principali università del paese fino a quella davanti a Capitol Hill definita “la più grande protesta ebraica in solidarietà con i palestinesi nella storia degli Stati Uniti” e repressa dalla polizia che ha strappato tutti gli striscioni e arrestato ben cinquecento attivisti. Mobilitazioni e proteste che si stanno combinando con altri sommovimenti di lotta nel paese dove è in corso, ad esempio, lo sciopero del settore auto.
In Francia nel giro di poche ore la risposta militare del governo israeliano ha radunato in piazza migliaia di persone poi disperse con la forza dalla polizia con tanto di arresti e denunce. Nei giorni a seguire il governo francese ha represso con forza il movimento di solidarietà con la Palestina sia arrestandone i principali leader (come successo prima a Maryam Abu Daqqa e poi al sindacalista Jean Paul Delescaut), sia vietando l’organizzazione di ogni forma di manifestazioni e sit-in. Misure repressive che si sono infrante davanti alla mobilitazione e alle proteste con piazze di decine di migliaia di partecipanti a Parigi e nel resto del paese.
Anche in Germania il governo ha cercato di vietare le manifestazioni ma anche in questo caso le mobilitazioni spontanee sono state diverse. A Berlino, dove ha sede la più grande comunità palestinese d’Europa, ci sono state diverse proteste, arresti, scontri di piazza e repressione dispiegata.
In Inghilterra si è tenuta il 21 ottobre la manifestazione più imponente con oltre 100mila persone in piazza che hanno criticato il governo per il sostegno a Israele e chiesto lo stop immediato ai bombardamenti.
Oltre ai paesi imperialisti le proteste sono esplose con forza in tutto mondo arabo, dal Libano, Marocco, Iran, Tunisia ed Emirati Arabi ad Arabia Saudita, Qatar, Bahrein e soprattutto in Turchia dove le proteste vanno avanti da giorni con migliaia di persone assiepate davanti al consolato israeliano di Istanbul chiedendone la chiusura e dove Erdogan ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale dopo il bombardamento dell’ospedale palestinese.
Anche nel nostro paese la solidarietà con il popolo palestinese ha animato piazze, mobilitazioni e proteste. Sono già tre i fine settimana consecutivi in cui associazioni, comitati, organizzazioni popolari, politiche e sindacali hanno dato vita a cortei e presidi a Torino, Genova, Milano, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e nelle principali città del paese. Un movimento spontaneo che via via si è rafforzato fino alla grande manifestazione nazionale di Roma del 28 ottobre. Un movimento che si è da subito legato alle vaste mobilitazioni anti militariste e anti Nato di movimenti come A Foras, No Muos e No Base, alle manifestazioni contro il governo Meloni e agli scioperi indetti dai sindacati di base.
Anche nel nostro paese il governo Meloni ha cercato di limitare e intimorire ogni espressione di solidarietà con la Palestina: alcune manifestazioni sono state vietate, mentre in occasione della mobilitazione del 28 ottobre a Roma alcuni pullman sono stati perquisiti e subito il sequestro di bandiere palestinesi e altre azioni simili. A queste azioni repressive ufficiali si sono aggiunte quelle condotte da squadracce che hanno pedinato e pestato attivisti palestinesi e solidali a Roma e Padova.
Si tratta di sommovimenti che incarnano oggettivamente la mobilitazione della parte più sensibile e avanzata rispetto alla lotta contro la guerra e l’economia di guerra, in concatenazione con tutte le mobilitazioni contro il governo Meloni, l’agenda Draghi e l’economia di guerra degli ultimi mesi. Un movimento che ha bisogno di darsi uno sbocco politico e un percorso unitario capace di cambiare il corso delle cose. Per questo il P.CARC porta in ogni contesto, in ogni ambito, in ogni piazza, azienda, scuola e territorio la parola d’ordine unitaria e unificante cacciare il governo Meloni e imporre un governo di emergenza popolare.
In quest’opera le masse popolari italiane non sono sole, in tutto il mondo soffia un vento di riscossa e di ribellione verso gli imperialisti e la loro gestione criminale della società. L’offensiva lanciata il 7 ottobre scorso da Hamas e altri organismi della resistenza palestinese ha rafforzato e rafforza tutta la resistenza dei palestinesi, rafforza l’opposizione degli ebrei allo Stato sionista d’Israele, rafforza la lotta delle masse popolari del nostro paese contro la partecipazione dello Stato italiano alle aggressioni guidate dagli imperialisti USA, contro l’ampliamento delle basi e dell’insediamento USA in Italia, contro la corsa al riarmo, contro il pantano di emarginazione, abbrutimento, inquinamento e miseria in cui la borghesia imperialista ci affonda ogni giorno un po’ più.
L’offensiva del 7 ottobre conferma alle masse popolari italiane che le autorità della Repubblica Pontificia e gli imperialisti sono tigri di carta: possiamo vincerli. Con l’operazione del 7 ottobre Hamas ha fatto saltare il piano genocida con cui i sionisti e i loro complici pensavano di aver messo all’angolo la resistenza palestinese. È una grande lezione per le masse popolari italiane che resistono al programma comune della borghesia imperialista: la resistenza può vincere, la resistenza può far saltare ogni piano degli imperialisti, la resistenza deve organizzarsi, avere un progetto strategico e iniziativa tattica.
In un tale contesto nazionale e internazionale tutti gli organismi operai e popolari, le organizzazioni sindacali e politiche, i partiti anti Larghe Intese, i partiti e gli organismi del movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese hanno l’opportunità – e pertanto il compito – di dare una direzione unitaria alla mobilitazione spontanea delle masse popolari (sviluppare al massimo livello l’unità nella protesta e l’unità nella proposta) e di dare sbocco politico alle giuste rivendicazioni delle masse popolari.
La guerra contro lo stato sionista d’Israele è anche guerra delle masse popolari italiane!
In Palestina, in Italia e ovunque nel mondo cacciare i sionisti, cacciare la Nato!
Per un governo di emergenza popolare!