Su 99 Posse, Donbass, Palestina e canea mediatica

Se un concerto scoperchia il verminaio

Quanto successo sul piano mediatico dopo il concerto dei 99 Posse alla Festa Nazionale della Riscossa Popolare del 29 settembre a Napoli è dimostrazione dell’intossicazione promossa dal sistema di informazione del nostro paese, ma è anche manifestazione della debolezza di chi lo comanda.

Nel nostro paese i servi sciocchi della Nato e dei sionisti sono sempre all’erta per stanare chi infrange la narrazione dominante sulla guerra in Ucraina (anche se il discorso è più ampio): è bastato un concerto per svegliarli dal momentaneo torpore in cui erano caduti man mano che la loro narrazione ha iniziato a imbarcare acqua fino a naufragare.
Non possono più celebrare in grande stile le gesta dei nazisti del battaglione Azov spacciati per esercito di liberazione o come “liberatori alla stregua dei partigiani italiani” perché il battaglione Azov è stato annientato; non possono celebrare le gesta della vittoriosa controffensiva ucraina, perché essa è solo una sceneggiata scritta ai piani alti della Nato, una commedia a cui non può che credere soltanto Zelensky (e forse neppure lui ci crede più); hanno dovuto limitare di molto le denunce rispetto ai crimini di guerra dell’esercito russo, poiché la Nato e alleati stanno fornendo all’esercito ucraino armi di ogni genere e tipo – fra cui quelle rinforzate con l’uranio impoverito – e molti dei crimini di guerra che hanno denunciato fino a oggi si sono dimostrati essere iniziativa dell’esercito ucraino…
Anche la retorica sul paese aggredito e il paese aggressore – sempre in auge – è comunque indebolita dal fatto che è diventato evidente, nonostante la propaganda, che la guerra è della Nato contro la Federazione russa e le masse popolari ucraine sono solo carne da macello.

La narrazione dei nostrani servi della Nato è naufragata. Ma non loro. Loro stanno a galla, la loro rete è attiva e funziona, basta un fischio e parte lo squadrismo mediatico.
Il fischio, in questo caso, lo ha fatto Ilario Piagnerelli e hanno risposto in contemporanea molte redazioni e agenzie stampa che, a loro volta, hanno dato la stura allo stuolo di leccaculo che popola X (ex twitter) mettendo in moto un meccanismo che si autoalimenta. Tutto gira attorno al fulcro: sbatti i filorussi in prima pagina (tanto meglio se si possono chiamare rossobruni).
Ecco, questa è la manifestazione del livello di corruzione e di intossicazione raggiunto dal “sistema di informazione” del nostro paese.

Tuttavia, come è ovvio, la questione principale non è affatto quella che appare in superficie.
Gli attacchi sguaiati al concerto dei 99 Posse, alla Festa nazionale della Riscossa Popolare e al P.CARC hanno avuto da subito l’obiettivo di attaccare e isolare l’Anpi, che era compartecipe dell’iniziativa inquadrata nelle celebrazioni delle Quattro giornate di Napoli.
L’attacco non è scaturito dal fatto che l’Anpi sia il baluardo di difesa degli interessi dei lavoratori e delle masse popolari (basta vedere le posizioni di alcuni dei suoi esponenti di punta), ma è una potenziale crepa nel fronte guerrafondaio del nostro paese, un fronte che va da Fratelli d’Italia al Pd, passando per i sindacati di regime e per il silenzio/assenso delle grandi associazioni nazionali.
L’attacco ha quindi l’obiettivo di spingere completamente e interamente l’Anpi “nei ranghi” per sottrarsi al campo dei putiniani, rossobruni, stalinisti… Ecco perché tanta attenzione, i riflettori puntati, sul concerto dei 99 Posse e sulla Festa nazionale della Riscossa Popolare.

Che dire? Noi ci gioviamo di questa attenzione e di questi riflettori puntati per alimentare la propaganda e l’iniziativa fra i lavoratori e le masse popolari. Con una differenza sostanziale, rispetto ai servi della Nato e dei sionisti: non cerchiamo claque, la nostra “maggioranza” non sta su internet, ma nelle scuole, nelle aziende e nei quartieri. È composta da quelli grazie al cui lavoro il paese continua a stare in piedi nonostante una classe dirigente che fa di tutto per affossarlo. È composta dai tanti che sono stanchi di pagare in prima persona il fatto che il governo Meloni spenda centinaia di milioni di euro per le armi da inviare a Kiev mentre chiude ospedali e scuole, mentre promette soldi alle popolazioni alluvionate, mentre taglia il Reddito di Cittadinanza, mentre specula sul prezzo del carburante.

È nell’organizzazione e nella mobilitazione di questa maggioranza che sta il bandolo della matassa.
Lasciamo il circo ai pagliacci e occupiamoci di cose serie.

Dal 7 ottobre – data del tutto ideale perché il processo è già iniziato, basta vedere le mobilitazioni per il lavoro a Napoli o quelle degli studenti a Torino – con la manifestazione della Cgil a Roma cominciano le “mobilitazioni dell’autunno caldo”. Pur controvoglia, la Cgil sta imboccando la via della mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari contro il governo Meloni. Questa è una novità rilevante nel panorama politico.

Sarebbe sciocco limitarsi a storcere il naso per il servizio che la Cgil ha fatto e fa alle Larghe Intese, così come sarebbe sciocco sperare che sia sufficiente quello che la Cgil sta facendo imboccando, contro voglia, la via della mobilitazione. La questione per cui la mobilitazione della Cgil è positiva sta nel fatto che è possibile approfittarne e bisogna farlo.

Il 6 ottobre Fridays For Future ha indetto lo sciopero per il clima nelle principali piazze italiane, contro le devastazioni dei territori causate dalla crisi climatica e da speculazioni di ogni sorta.

Il 14 ottobre i compagni dello studentato autogestito Pdm e i collettivi studenteschi di Firenze hanno indetto un corteo nazionale a Firenze per il diritto allo studio, contro il carovita e per opporsi alla costruzione di studentati di lusso mentre i posti alloggio nelle residenze studentesche pubbliche vengono tagliati ogni anno.

Il 21 ottobre sono state organizzate tre manifestazioni (a Pisa, a Ghedi e a Palermo) contro le basi Nato e la guerra.

Il 4 novembre l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e università sta organizzando mobilitazioni in molte città per dire No alla guerra che entra nell’istruzione pubblica dalla porta principale.

Non c’è luogo del paese dove la classe operaia e il resto delle masse popolari non siano in subbuglio. Il passo da fare è quindi quello di mettere in sinergia le varie mobilitazioni, facendo in modo che l’una rafforzi l’altra e non il contrario!

Dobbiamo passare dalla difesa all’attacco, dalla protesta alla costruzione dell’alternativa al governo di nostalgici del ventennio, razzisti, parassiti, guerrafondai. Dobbiamo costruirla noi, l’alternativa, perché non c’è nessuno che la costruisce al posto nostro.

Serve una nuova liberazione nazionale, serve un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

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