1. Pur contro voglia, la Cgil sta imboccando la via della mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari contro il governo Meloni. Questa è una novità rilevante nel panorama politico.
Certo, chi per esperienze pregresse, ha riserve sul fatto che faccia sul serio dirà che Landini e la Cgil non fanno affatto sul serio. Ma basta ricordare l’appoggio della Cgil a TUTTI i governi delle Larghe Intese per prendere atto della novità e delle potenzialità.
Certo, chi nonostante tutto non ha mai smesso di avere fiducia (o speranza) nella Cgil dirà che, nonostante il “senso di responsabilità” del più grande sindacato italiano, le misure del governo Meloni sono inaccettabili e meritano una risposta decisa. Ma basta ricordare le grandi e decise manifestazioni indette dalla Cgil contro il Jobs Act o i duri e decisi scioperi contro la riforma Fornero per riconoscere il ruolo della Cgil. Nessuno le ricorda? Appunto!
La Cgil imbocca la via della mobilitazione e il 7 ottobre, con altre decine di associazioni, chiama le masse popolari a scendere in piazza [scriviamo l’articolo a fine settembre, ndr]. Mentre prepara la manifestazione con assemblee sui posti di lavoro, organizza un referendum fra i lavoratori per sapere se è il caso o meno di proclamare uno sciopero generale. Al netto delle molte considerazioni possibili, ci soffermiamo su due aspetti.
a. La piattaforma della manifestazione del 7 ottobre è di natura politica. È una manifestazione contro il governo Meloni perché non attua “il diritto al lavoro stabile, libero e di qualità; il diritto alla salute e a un sistema socio sanitario pubblico, solidale e universale; il diritto all’istruzione, il contrasto a povertà e disuguaglianze e la promozione della giustizia sociale; il diritto a un ambiente sano e sicuro; una politica di pace”. Queste le questioni poste nell’appello che lancia la manifestazione La Via Maestra, insieme per la Costituzione.
b. Su questa piattaforma politica si mobilitano anche “i partiti di opposizione”, in particolare il Pd di Elly Schelin e il M5s. Il Pd aderisce a una manifestazione che rivendica cose che il Pd stesso non ha attuato quando è stato al governo (ma che adesso accusa Meloni di non attuare) e che Meloni non attua (ma che quando era all’opposizione accusava i governi a guida Pd di non attuare).
Cosa vuol dire?
Che qualunque sia la fazione delle Larghe Intese al governo, non attuerà mai le misure che strumentalmente rivendicava dall’opposizione. Ma tutti i partiti delle Larghe Intese, quando sono all’opposizione, rivendicano invece “lavoro, sanità, istruzione, giustizia sociale, tutela dell’ambiente, pace” perché sono obiettivi e aspirazioni delle masse popolari.
Tutti i partiti delle Larghe Intese usano le masse popolari come massa di manovra, cavalcando le loro aspirazioni e i loro obiettivi.
Detto questo, che la Cgil imbocchi la via della mobilitazione, tuttavia, è molto positivo.
Sarebbe sciocco limitarsi a storcere il naso per il servizio che la Cgil ha fatto e fa alle Larghe Intese, così come sarebbe sciocco sperare che sia sufficiente quello che la Cgil sta facendo imboccando, contro voglia, la via della mobilitazione. La questione per cui la mobilitazione della Cgil è positiva sta nel fatto che è possibile approfittarne e bisogna farlo.
2. La classe dirigente del nostro paese è selezionata entro una stretta cerchia di servi del capitale, spesso anche sciocchi. Tuttavia esiste un’ampia schiera di intellettuali, studiosi, esperti, tecnici che hanno conoscenze, competenze e risorse intellettuali e morali ben superiori alla classe dirigente in svariati campi. Quotidianamente spiegano che è urgente, necessario e possibile affrontare “dall’alto” – anziché far ricadere colpe e responsabilità sui comportamenti individuali delle masse popolari – la crisi ambientale e climatica, il dissesto dei territori, gli omicidi sul lavoro, l’abbandono scolastico, il degrado e la criminalità, la disoccupazione, la speculazione e il carovita, la prevenzione dei disturbi alimentari e delle malattie, ecc.
Fanno ragionamenti, propongono soluzioni, indicano passi. Ma parlano nel deserto, perché la classe dirigente del paese capisce solo la lingua del profitto e per tutto il resto fa orecchie da mercante.
L’aspetto positivo della cosa è che questa società civile formula puntuali e argomentati appelli al governo e alla classe dirigente affinché prendano misure praticabili e di buon senso per cambiare il corso disastroso verso cui procede il paese.
L’aspetto negativo della cosa è che il grosso di questa società civile esaurisce in questo la sua azione e sul piano politico si affida alla sinistra borghese, alle sue illusioni e ai suoi inganni.
3. Agenda Draghi, agenda Draghi, agenda Draghi… è il paravento dietro cui si nasconde la classe dirigente italiana. L’agenda Draghi ha preso il posto del “ce lo chiede l’Europa” che andava forte per indorare la pillola negli anni Novanta e primi Duemila (del resto, “ce lo chiedono Prodi o Berlusconi non avrebbe funzionato!).
Ma cos’è questa agenda Draghi, se non l’insieme di misure che la classe dominante pretende di imporre per portare più a fondo lo sfruttamento dei lavoratori e la rapina contro le masse popolari?
È fuori discussione che ogni elemento delle masse popolari sano di mente sia CONTRO l’agenda Draghi.
È invece da discutere il motivo per cui le masse popolari non si sono ancora date una loro agenda. Questo è un problema perché essere contro l’agenda Draghi non basta. Per liberarsi dei governi delle Larghe Intese che la attuano – ricordiamo che il Pd era nel governo Draghi, Fdi e la Meloni la attuano adesso – bisogna avere un’agenda alternativa.
Esiste un’agenda alternativa? Esiste. Sono sette misure da attuare TUTTE INSIEME (nel senso che non serve a niente attuarne una sì e una no) che sintetizzano tutti gli obiettivi e le aspirazioni delle masse popolari e, allo stesso tempo, permettono di fare fronte ai principali problemi della società e del paese. È un’agenda politica, cioè un programma di governo
1. Nessuna azienda deve essere chiusa, a ogni azienda devono essere assegnati compiti produttivi utili alla società e adatti alla sua natura. Questo vuol dire, ad esempio, farla finita subito con le chiusure, le delocalizzazioni e lo smantellamento dell’apparato produttivo a opera di fondi di investimento (l’ultimo caso è quello del fondo Usa Kkr che chiude la Marelli di Crevalcore) e speculatori (come non menzionare il cavalier Borgomeo, capo della Confindustria del Lazio, esperto nel rilevare aziende, prendere fondi pubblici e rottamare impianti e lavoratori?).
2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e a usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi. Cioè garantire a tutte le famiglie e a tutti gli individui quello che è necessario per vivere dignitosamente e alle aziende quello che serve per funzionare. È l’incubo di chi specula sulla legge della domanda e dell’offerta, ma è bene dare a questi signori una svegliata a fronte dei magazzini pieni di merci che vengono buttate e distrutte perché invendute, mentre sempre più persone e famiglie combattono contro la miseria che incombe.
3. Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Si può e si deve rompere la propaganda velenosa sui fannulloni, su chi non ha voglia di lavorare, su chi approfitta, su chi viene in Italia per vivere da pascià alle spalle dei lavoratori… se ci sono i disoccupati la colpa è sempre e solo dei padroni!
4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose per le persone e per l’ambiente, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti o altre produzioni.
5. Riorganizzazione tutte le relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
6. Stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione e scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi. L’Italia è obbligata a sottostare agli Usa, alla Nato, alla Ue e alla Bce e la popolazione italiana è obbligata a fare pure buon viso a questa sottomissione. Possono le masse popolari italiane decidere di collaborare con i Brics anziché farsi prendere per il collo dalla Bce e andare a dormire con il letto appoggiato sulle testate nucleari della Nato?
7. Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la partecipazione universale dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico. In molti si concentrano sul termine “epurare” perché ha il sapore della liberazione dalla crosta di incapacità, nepotismo, servilismo e prostituzione che ammanta tutte le istituzioni del nostro paese. Tuttavia l’epurazione non è arbitraria: saranno epurati solo gli alti dirigenti che resistono attivamente alla conformazione delle istituzioni allo spirito democratico della Costituzione del 1948. E a epurarli non sarà qualcuno che farà loro le scarpe, ma chi si porrà come interprete e promotore di quello spirito.
4. Uniamo il punto 1 (gli obiettivi e le aspirazioni delle masse popolari sono strumento di propaganda, i partiti delle Larghe Intese usano le masse popolari come massa di manovra), il punto 2 (gli obiettivi e le aspirazioni delle masse popolari coincidono in larga parte con quelle misure di buon senso che gli elementi della società civile vanno predicando nel deserto) e il punto 3 (le misure di buon senso che sono necessarie possono – e devono – essere tradotte in un programma generale di governo).
Il quarto punto che ne risulta indica una strada: lo sbocco della mobilitazione delle masse popolari (che si organizzano e si mobilitano per perseguire i loro obiettivi) è politico, si riassume nell’imporre un proprio governo di emergenza; il programma generale del governo di emergenza delle masse popolari deve essere tradotto in misure concrete caso per caso, territorio per territorio, gli esponenti della società civile devono mettersi al servizio del governo di emergenza delle masse popolari organizzate, devono diventarne i ministri e devono usare le loro conoscenze, i loro strumenti e le loro capacità per farlo funzionare.
5. Per attuare l’agenda Draghi, la classe dominante si avvale delle istituzioni e delle autorità borghesi e usa i partiti delle Larghe Intese. Per attuare l’agenda dei lavoratori e delle masse popolari bisogna avvalersi della mobilitazione degli organismi operai e popolari ramificati nei territori e dei loro coordinamenti regionali o nazionali e dare alla loro iniziativa forza di legge. Cioè serve un governo che sia loro espressione.
“Nei paesi imperialisti (come l’Italia, ndr) i gruppi che compongono la classe dominante definiscono linee d’azione, orientamenti e misure in organismi informali nazionali e sovranazionali (Bilderberg, Trilateral, Aspen Institute, ecc.). Il gruppo che prevale le fa passare nel parlamento e negli altri organi istituzionali ufficialmente preposti e poi muove lo Stato e la pubblica amministrazione ad attuarle.
Con un governo di emergenza popolare linee d’azione, orientamenti, misure anziché negli organismi informali della borghesia vengono messi a punto in organismi costituiti da organizzazioni operaie e popolari e partiti del fronte anti Larghe Intese. Poi si tratta di muovere lo Stato con la sua pubblica amministrazione ad attuarle, rimuovendo gli individui irriducibilmente ostili e facendo leva sul fatto che già oggi nei ministeri e nella pubblica amministrazione ci sono lavoratori dipendenti, dirigenti intermedi e alti funzionari: i lavoratori dipendenti sono direttamente favoriti nei loro interessi dal Governo di Blocco Popolare, tra i dirigenti intermedi e persino tra gli alti funzionari ce ne sono di preoccupati e malcontenti per come vanno le cose. Si tratta di mobilitare le organizzazioni operaie e popolari a indicare caso per caso al Governo di Blocco Popolare i provvedimenti particolari e concreti che deve adottare, a far attuare i provvedimenti che il Governo di Blocco Popolare adotta e ad attuarli direttamente quando i funzionari pubblici recalcitrano ad attuarli, a stroncare le manovre a cui certamente i gruppi più reazionari e criminali della borghesia, del clero e dei loro accoliti, complici e alleati ricorreranno per boicottare e sabotare l’azione del Governo di Blocco Popolare” – da “Quattro note sulla questione del potere” – La Voce del (n)PCI n. 74.
Veniamo alle conclusioni.
La Cgil sta imboccando la strada della mobilitazione contro il governo Meloni e questo è positivo.
Non perché c’è una qualche possibilità che il governo Meloni ascolti la Cgil, né perché la Cgil farà talmente sul serio da mettere in fila una serie di mobilitazioni per costringere il governo Meloni a perseguire gli obiettivi e le aspirazioni delle masse popolari.
È positivo perché la Cgil è il più grande sindacato del paese e per quanto venduto, svogliato e poco deciso, il suo attivismo
– spinge le organizzazioni sindacali “concorrenti”, a partire dai sindacati di base, a perseguire la via della mobilitazione con più decisione e intraprendenza;
– favorisce che gli organismi operai e popolari, i movimenti, le reti sociali si coordinino maggiormente attorno a un centro autorevole di mobilitazione, il che è molto meglio che procedere in ordine sparso.
Se inseriamo la strada della mobilitazione che la Cgil sta imboccando nel quadro delle mobilitazioni già previste per le prossime settimane e se si considera che inevitabilmente altre mobilitazioni e proteste saranno convocate, solo mettendosi i tappi nelle orecchie è possibile ignorare il Requiem per il governo Meloni che si alza dalle strade, dalle piazze, dalle aziende e dalle scuole. Affinché rimbombi come un’opera trionfale bisogna solo correggere un po’ il metronomo e metterlo al passo coi tempi: non è più il tempo della sola protesta, è il tempo che le masse popolari organizzate vadano a governare per attuare la loro agenda.