In questo articolo faremo una panoramica sulle condizioni della scuola pubblica all’inizio del nuovo anno scolastico. Direte: “Ma è la stessa cosa dell’anno scorso e degli anni prima!”. No, è peggio.
È peggio perché, oltre ai problemi che possiamo considerare oramai “endemici” e che ogni anno si aggravano, man mano che la crisi avanza ne sorgono di nuovi. E così sarà fintanto che la gestione della società rimarrà in mano alla classe dominante.
Tra strutture fatiscenti e carenza di insegnanti
Tra settembre 2022 e agosto 2023 sono stati 61 gli episodi di crolli o distacchi di intonaco nelle scuole pubbliche. Non c’è da stupirsi dato che il 47% degli edifici scolastici è stato costruito prima del 1976 e solo l’11% circa è progettato secondo la normativa. A oggi circa il 58% delle scuole è privo del certificato di agibilità, il 55% di quello di prevenzione incendi, il 41% del collaudo statico (fonte: Cittadinanzattiva). Le risorse del Pnrr destinate all’edilizia scolastica e alle aule 4.0 ammontano a circa 12,66 miliardi di euro, ma il documento del governo dello scorso 27 luglio segnala che, a causa dell’incremento dei prezzi delle materie prime, verranno diminuiti gli interventi programmati (fonte: Cittadinanzattiva).
Nemmeno sul fronte insegnanti la situazione migliora. Ad anno scolastico già iniziato mancano all’appello 30 mila docenti, nonostante già a giugno si sapesse che ci sarebbero state da coprire 81 mila cattedre tra pensionamenti e trasferimenti. Per non parlare poi degli insegnanti di sostegno: a oggi nemmeno la metà dei posti è coperta (fonte: Linkiesta).
Perché fare l’insegnante nella scuola pubblica è diventato veramente una corsa a ostacoli! Tra concorsi inesistenti oppure aperti e poi chiusi o rimandati, meccanismi farraginosi, graduatorie incomprensibili e crediti da raggiungere, oggi il “posto fisso” nella scuola pubblica – anche a fronte di stipendi miseri – è tutt’altro che allettante. E a farne le spese sono gli studenti, i docenti stessi e la società tutta.
Carovita
Dal lato economico, il carovita incide sempre più profondamente sulle famiglie anche in ambito scolastico. Infatti, nonostante l’istruzione pubblica sia obbligatoria e gratuita, Federconsumatori stima che per l’anno scolastico 2023-2024 ogni studente “costerà” in media – solo per i libri di testo – 502 euro. Cifre assurde dovute al rincaro delle materie prime e dei costi di produzione e che fanno il paio con l’aumento del costo di tutto il materiale di cancelleria, dalle penne agli zaini. Vanno aggiunti poi anche l’aumento del costo dei trasporti e delle mense. A fronte di questo, gli aiuti del governo non bastano nemmeno a coprire le spese delle famiglie sotto la soglia di povertà assoluta e i vari “buoni” e sconti sono la foglia di fico dietro la quale il ministero dell’istruzione nasconde l’attacco sempre più profondo agli istituti statali e, all’opposto, le regalie e le sovvenzioni a quelli privati (in gran parte in mano alla Chiesa).
La guerra entra a scuola
Oltre a tutti questi gravi problemi, c’è poi da considerare anche un altro aspetto, per certi versi nuovo, ovvero la presenza sempre più invadente dei militari nelle aule. Già nel 2014 era stato istituito un protocollo tra i ministeri dell’istruzione e della difesa “per agevolare la sensibilizzazione e l’approfondimento dei principi della Carta Costituzionale” con cui i militari potevano salire in cattedra per progetti specifici, mentre nel 2017 l’intesa si è allargata al ministero del lavoro, dando la possibilità alle scuole di siglare accordi per l’alternanza scuola-lavoro con l’esercito e inviare gli studenti direttamente nelle strutture militari (dalle caserme alle basi Nato). Sempre più frequenti sono poi i corsi di “ginnastica militare” proposti dalle scuole a bambini e ragazzi di ogni età.
Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, poi, l’attività dei militari nella scuola pubblica si è intensifica, con esponenti delle forze armate che sempre più spesso rivestono il ruolo di docenti e tengono lezioni in classe, dall’inglese all’educazione civica.
Ciliegina sulla torta, la proposta di legge per l’istituzione della Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate il 4 novembre nella quale, all’articolo 2 si legge:
“Al fine di sensibilizzare gli studenti sul ruolo quotidiano che le forze armate svolgono per la collettività in favore della realizzazione della pace, della sicurezza nazionale e internazionale e della salvaguardia delle libere istituzioni e nei campi della pubblica utilità e della tutela ambientale, le iniziative degli istituti scolastici sono volte a far conoscere le attività alle quali concorrono le forze armate nell’ambito del servizio nazionale della protezione civile, per fronteggiare situazioni di pubblica calamità e di straordinaria necessità e urgenza, in ambito umanitario, in caso di conflitti armati e nel corso delle operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale, e negli ambiti di prevenzione e di contrasto della criminalità e del terrorismo nonché di cura e soccorso ai rifugiati e ai profughi”.
Una panoramica nefasta? Se le sorti della scuola pubblica e il diritto all’istruzione sancito dalla Costituzione dipendessero da quello che fa o non fa la classe dominante, sicuramente sì.
Ma le masse popolari, più o meno consapevolmente, sanno che non possono mettere il loro destino nelle mani di questa cricca di criminali e assassini e per questo si organizzano. In tutto il paese con l’inizio dell’anno scolastico già sono centinaia le mobilitazioni del mondo della scuola. In questo numero ne riportiamo alcuni esempi.