Intervista all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

A pochi giorni dalla riapertura delle scuole, abbiamo intervistato Serena Tusini, insegnante, membro dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

L’Osservatorio è nato lo scorso marzo e praticamente da subito ha avuto una grande risposta a livello nazionale. Puoi dirci come si sta strutturando sui territori? Come pensi che questo lavoro possa ulteriormente svilupparsi?
È vero, nonostante sia nato da pochi mesi, ha ottenuto un riscontro veramente importante, segno che abbiamo toccato un nervo scoperto. A oggi l’Osservatorio è formato da una pluralità di voci e di culture politiche diverse, dal mondo pacifista al mondo dell’antimilitarismo, passando per i sindacati di base. Adotta un metodo orizzontale che passa dai gruppi di lavoro e dalle assemblee nazionali decisionali: questo ci sta permettendo di “tenere tutto insieme” nonostante le differenze tra le varie componenti.
Oltre a questo, stiamo cominciando a strutturarci anche a livello territoriale. Il processo ovviamente è lento ed è più facile dove esistono già dei comitati contro la militarizzazione dei territori con cui l’Osservatorio può interfacciarsi. Spesso sono gli stessi comitati già esistenti che assumono le istanze dell’Osservatorio, oppure sono membri dell’Osservatorio che contribuiscono allo sviluppo di iniziative nelle varie città. Per esempio, sulla campagna contro Giochi Preziosi (che ha prodotto una serie di zainetti per bambini dedicati ai corpi delle forze armate, ndr) sono nate spontaneamente delle iniziative, partite da membri dell’Osservatorio che abitavano dove erano presenti le sedi dell’azienda.
Siamo ancora in una fase di costruzione, ma ci è chiaro che il radicamento territoriale è la via da percorrere, in modo che nascano sempre più gruppi locali dell’Osservatorio, ma anche facendo in modo che i comitati contro la guerra già esistenti assumano la questione della militarizzazione delle scuole e dell’università nel loro orizzonte di militanza. Da questo punto di vista pensiamo che l’Osservatorio abbia veramente contagiato già tante realtà pacifiste e antimilitariste del paese, contribuendo a far nascere una consapevolezza sul tema che magari prima non c’era. È un contributo che portiamo, perché alla fine la militarizzazione dell’istruzione altro non è che un segmento della militarizzazione dell’intera società.

Come Osservatorio vi state dotando di strumenti per migliorare il vostro lavoro. In particolare di recente avete pubblicato un vademecum rivolto ai docenti, al personale scolastico, ai genitori e agli studenti. Puoi dirci di cosa si tratta e come viene usato?
Abbiamo passato i primi mesi – e continuiamo a farlo – a osservare e denunciare il processo di militarizzazione nelle sue varie declinazioni. Anche perché ci sono arrivate fin da subito tantissime segnalazioni e sicuramente con la ripresa della scuola non tarderemo a riceverne altre, purtroppo.
Però ci siamo anche detti che è necessario passare dalla denuncia all’azione concreta e per questo abbiamo messo a punto alcuni strumenti. Uno di questi, su cui un gruppo di lavoro è stato impiegato per diversi mesi, è appunto il vademecum.
L’abbiamo strutturato come una guida all’uso di tutta una serie di strumenti pratici per opporsi al processo di militarizzazione, strumenti perfettamente aderenti alle normative di legge. Dalle delibere da presentare al collegio docenti, alle diffide da presentare come genitori nel momento in cui si venga a conoscenza che i propri figli vengono portati ad assistere a parate militari o raduni, come ce ne sono stati diversi lo scorso anno scolastico; ma anche strumenti per gli studenti stessi che vogliono rifiutare l’attività di Pcto all’interno di caserme, basi militari e via dicendo.
Essendo previsti dalla legge, sono strumenti utilizzabili da tutti e stiamo cominciando proprio in questi giorni a sperimentarli perché, essendo iniziato da poco l’anno scolastico, nelle scuole è proprio il periodo (tra fine settembre e inizio ottobre) dove si votano i piani delle attività, il rinnovo del piano dell’offerta formativa, ecc. In questo contesto invitiamo i docenti a esprimersi, sia con mozioni, laddove un collegio docenti sia maggioritario, oppure utilizzando l’opzione di minoranza: anche questo è uno strumento perfettamente inserito nella normativa che permette a un singolo o a piccoli gruppi di esprimere la propria contrarietà ad attività che vengono svolte nella scuola.
Nelle prossime settimane cercheremo di fare una raccolta di mozioni e delle attività di contrasto che vengono fatte nelle varie scuole, in modo che queste siano da stimolo ad altre – e saranno ancora la maggioranza in questa fase – che magari sono ancora ferme. Siamo consapevoli che il lavoro che ci aspetta è lungo, anche perché l’avversario che abbiamo di fronte è estremamente forte e strutturato, robustamente finanziato e deciso a militarizzare anche il settore della scuola. È un lavoro lento, ma la buona riuscita dell’Osservatorio fino a ora ci incoraggia ad andare avanti.

In queste settimane è in itinere l’approvazione della legge che istituirà la Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate per il 4 novembre che prevede, tra l’altro, l’indicazione di svolgere nelle scuole delle iniziative volte a far conoscere le attività e i valori dell’esercito. Come Osservatorio state preparando delle mobilitazioni per quel giorno? Di che tipo?
Sin dalla nostra prima assemblea nazionale della scorsa primavera abbiamo individuato il 4 novembre come una giornata di mobilitazione contro la militarizzazione della scuola, dei territori e della società. Abbiamo infatti costituito un gruppo di lavoro apposito che sta mettendo a punto alcune proposte che potranno poi essere declinate in molti modi. Questo perché pensiamo che il 4 novembre debba essere interpretato in modo assolutamente libero dalle varie realtà, anche a seconda delle diverse caratteristiche dei territori. Come Osservatorio vogliamo costruire un momento di confronto nazionale sulla giornata, aperto non solo ai componenti dell’Osservatorio, ma anche ad altre realtà, in modo da sviluppare un coordinamento tra le varie azioni.
Per noi il 4 novembre è importante proprio perché sarà un primo momento in cui l’Osservatorio si cala nei territori e prova a rispondere non solamente a livello di opinione e di informazione – che è comunque un terreno importantissimo perché parliamo di una battaglia che è anche culturale – ma con una mobilitazione concreta.
Sono tutti i passaggi di rinforzo di quel movimento pacifista che ancora non riesce a prendere la parola in questo paese e che ha bisogno dell’apporto di tutti. Noi abbiamo scelto un segmento della società e da lì cerchiamo di portare il nostro contributo.

Vuoi aggiungere qualcos’altro?
Sì, una specifica importante. Nella nostra ultima assemblea nazionale (31 agosto, ndr), abbiamo ampliato il nostro nome e siamo diventati “Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università” e abbiamo costituito un gruppo che ha cominciato a lavorare sulla questione del rapporto tra l’università, la ricerca e il mondo dell’industria bellica. Infatti tanti progetti, che vengono finanziati per fini apparentemente civili, hanno in realtà finalità militari. E chiaramente sono progetti ben accetti dagli atenei statali che sono sempre più de-finanziati: anche questo rientra nel processo di militarizzazione della società e dell’istruzione.
Come prima azione, abbiamo scritto una petizione, che al momento è stata firmata da circa 50 tra docenti universitari e personalità del mondo della cultura, che chiede le dimissioni di 14 rettori di università statali italiane dalla Fondazione Med-Or, la fondazione culturale di Leonardo s.p.a., la maggiore azienda produttrice di armi del nostro paese.
Ne chiediamo le dimissioni dalla fondazione perché crediamo che le università, che rappresentano le massime istituzioni culturali del paese, non possano stare dentro a un’industria di questo tipo. Crediamo che la ricerca debba essere libera dalle finalità belliche e che i rettori, che rappresentano istituzionalmente l’università, non debbano stare lì dentro.
Prossimamente presenteremo questa petizione in una conferenza stampa a Montecitorio e poi la apriremo anche alla sottoscrizione di tutti i cittadini.

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