Gli scioperi negli Usa parlano ai lavoratori italiani

Il 15 settembre quasi 13 mila operai del settore auto hanno incrociato le braccia in tre stabilimenti di assemblaggio: alla General Motors (Gm) di Wentzville (Missouri), alla Ford di Wayne (Michigan) e alla Stellantis di Toledo (Ohio).

Per la prima volta sono state colpite le “Big Three” contemporaneamente, un evento storico.

Lo Uaw (United Automobile Workers) è il più grande sindacato manifatturiero degli Usa che conta 1 milione di iscritti fra lavoratori (400 mila) e pensionati (600 mila). Degli operai in attività, 140 mila lavorano alla Gm, alla Ford e alla Stellantis.

Come ogni grande sindacato dei paesi imperialisti, lo Uaw è in declino da decenni, ma negli ultimi anni stava precipitando. Nel 2019 l’allora presidente Garry Jones fu condannato per corruzione a ventotto mesi di carcere, insieme ad altri ex dirigenti del sindacato. Nell’inchiesta, partita da una denuncia della Gm, era emerso che Stellantis, in particolare tramite Marchionne, regalava ai dirigenti sindacali beni di lusso in cambio di accomodamenti sulle trattative. E in effetti Stellantis era riuscita a stringere un accordo per pagare meno gli operai rispetto alle concorrenti.

Il dissenso interno stava crescendo e quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per evitare di colare a picco, nonostante le complesse procedure della burocrazia sindacale, all’ultima votazione per eleggere il presidente hanno partecipato tutti gli iscritti, non solo i delegati, e nel marzo 2023 è stato eletto Shawn Fain.

Shawn Fain rappresenta l’ala più combattiva del sindacato e fin dalla sua prima conferenza stampa ha “messo in guardia” le tre grandi case automobilistiche in vista della scadenza del contratto collettivo il 14 settembre. Subito dopo lo Uaw ha presentato una denuncia contro General Motors, Ford e Stellantis per condotta sleale dal momento che le aziende si rifiutavano illegalmente di contrattare.

Sì, perché la piattaforma di contrattazione dello Uaw era basata sull’innalzamento del 46% dei salari in quattro anni (rivendicazione che è stata rivista durante lo sciopero al 36%), la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore a settimana pagate come 40, l’aumento delle pensioni, il ripristino degli aumenti salariali legati al costo della vita, la fine della differenziazione dei salari per i lavori e il riconoscimento di tutte le conquiste anche ai nuovi assunti.

Questa è anche la piattaforma dello sciopero, la cui parola d’ordine è “Profitti record, contratti record” con riferimento al record di fatturato delle Big Three perché la rivendicazione del 46% di aumento degli stipendi è esattamente corrispondente all’aumento degli utili e degli stipendi dei manager negli ultimi quattro anni.

E questo slogan non viene a caso: fa, infatti, riferimento a uno dei momenti più bui della storia dello Uaw, quando nel 2007 il sindacato aveva rinunciato alla richiesta di aumento dei salari adducendo a pretesto proprio l’incombente crollo degli extra profitti delle case automobilistiche del 2008.

Per il momento le Big Three non sembrano voler cedere, ma sul piano salariale avanzano controproposte che si avvicinano alla metà delle richieste del sindacato. Hanno difatti accettato un aumento del 20%… grossomodo dieci volte quello che i maggiori sindacati in Italia osano inserire nelle piattaforme per i rinnovi!

Nel momento in cui scriviamo lo sciopero è ancora in corso ed è in crescita, ha coinvolto altri 5.600 lavoratori che si aggiungono ai 12.700 dei tre stabilimenti fermi dall’inizio della protesta. Lo Uaw ha preso di mira i centri che distribuiscono i ricambi e i reparti di assistenza dei concessionari in venti Stati. In questo modo, afferma il sindacato, anche i consumatori saranno coinvolti nella battaglia.

La campagna elettorale per le presidenziali del 2024 alimenta la mobilitazione e permette al sindacato di usare tutte le contraddizioni politiche del caso. Il fatto che Biden abbia pubblicamente espresso solidarietà e vicinanza agli operai in sciopero ha spinto il presidente dello Uaw (storicamente il sindacato ha posizioni vicine al Partito democratico) a sfidarlo, rivolgendogli un invito a unirsi ai picchetti per dimostrare da che parte sta l’amministrazione.

Biden aveva trovato il modo per eludere l’invito, ma la notizia che Trump sarebbe invece andato lo ha costretto a ricredersi.

In pratica lo Uaw con questo invito ha costretto i due candidati a spostare la campagna elettorale di fronte ai cancelli delle fabbriche in sciopero.

Indipendentemente dal risultato, questa mobilitazione sembra aver già ampiamente dimostrato la forza dell’organizzazione e la capillarità che può avere un grande sindacato e soprattutto la capacità di nutrirsi delle contraddizioni in campo nemico.

Sono questioni importanti che riguardano anche il nostro paese.

Il presidente dello Uaw ha inviato un videomessaggio alla Fiom e le ha chiesto di fare fronte comune per gli operai Stellantis. In risposta, la Fiom lo ha invitato a intervenire all’assemblea nazionale che il 22 settembre ha svolto a Roma. Insomma sono “accenni”, ma i motivi per cui la lotta dello Uaw parla alle organizzazioni sindacali italiane sono soprattutto altri. A partire dal fatto che in una trattativa degna di questo nome si punta in alto, non si cerca di convincere i lavoratori ad accontentarsi delle briciole, e che bisogna darsi i mezzi anche per lottare: lo Uaw dichiara di avere una cassa di resistenza per lo sciopero di 825 milioni di dollari che consente di mantenere la mobilitazione alta e dispiegata per mesi. Alla domanda dietro cui si nasconde Landini “cosa fare dopo lo sciopero generale?”, lo Uaw e gli operai americani rispondono: “lo sciopero! Fino a che si vince”.

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