Pubblichiamo l’intervista a Raffaella Veridiani delle Brigate di Solidarietà Attiva (BSA) raccolta durante l’estate appena trascorsa e con l’intero territorio romagnolo (e non solo) completamente sommerso dalle conseguenze politiche produttive e sociali dell’evento alluvionale e dalla sua gestione criminale da parte delle Istituzioni, nazionali e locali. Una situazione emergenziale che perdura tutt’ora.
Le BSA, con la loro azione da vera e propria consolidata protezione civile popolare (che ha una risposta d’intervento rapido superiore alla macchina governativa), rappresentano in pieno il principio secondo cui “solo il popolo salva il popolo”. Infatti, l’aspetto principale che emerge dalle risposte di Veridiani è il livello e la capillarità della mobilitazione popolare che è seguita all’alluvione del maggio 2023.
La conferma e l’insegnamento che quest’esperienza portano in dote sono che quando si mette al centro l’organizzazione e la solidarietà di classe è possibile costruire e dispiegare una forza che non soltanto comincia a mettere mano subito agli effetti più disastrosi della gestione criminale della società portata avanti dalla classe dominante, ma è capace anche di mettere in crisi l’autorevolezza delle autorità costituite e divenire, per la popolazione, una nuova autorità pubblica.
In questo, l’intervista mette bene in mostra come quello che più sotto viene definito come lo “Stato padrone” teme la mobilitazione popolare e che l’intervento delle Istituzioni borghesi, tra la propaganda di regime che tutto ha insabbiato, il terrorismo mediatico, la militarizzazione e la repressione sul territorio, è principalmente volto a impedire che la situazione “scappi di mano”, in modo da continuare a portare avanti indisturbati i soliti affari e fare del disastro un’ulteriore occasione di arricchimento. Inoltre, il teatrino continuo sui fondi per la ricostruzione è emblematico del fatto che non è più possibile né tantomeno sostenibile affidarsi ai Bonaccini, Meloni e Figliuolo di turno. Soldi che per le armi e la guerra ci sono “a fondo perduto”, ma poi svaniscono quando si tratta di ciò che serve alla popolazione.
In questo senso, gli esponenti politici delle Larghe Intese, dal partito unico del cemento e della guerra e che in Emilia Romagna ha principalmente la faccia del Partito Democratico, sono l’espressione politica di quella classe di speculatori le cui azioni sono la vera causa del disastro che si è venuto a creare. Responsabilità, del resto, di cui tutti sanno.
Il passo in più da fare è cogliere l’implicazione politica di tutto questo: questa gente va cacciata. Questo significa che la lotta contro le Amministrazioni Comunali e i loro enti non può essere schiacciata su un piano esclusivamente o principalmente legale o rivendicativo, cioè aspettarsi che il sindaco o chi per esso ascoltino considerazioni di buon senso. Bisogna valorizzare tutta la rete di associazioni e comitati spontanei, di cui le parole di Veridiani che seguono lasciano solo intravedere l’estensione, in sinergia con tecnici e dipendenti comunali per arrivare a definire dal basso la lista dei lavori che servono e realizzare le tante “piccole” opere che servono al territorio e alla sua messa in sicurezza. A tal fine, è necessario fare della lotta per applicare queste misure una questione di ordine pubblico e cioè una questione politica di organizzazione, coordinamento e lotta fino a porre le Istituzioni attuali di fronte all’impossibilità di ignorare gli interessi della gran massa della popolazione organizzata che a sua volta detta così modi e tempi di governo del territorio.
Il processo di autorganizzazione popolare in Romagna è un embrione (e la storia ci offre innumerevoli esempi) di uno dei due pilastri della costruzione di un nuovo potere, il potere delle masse popolari organizzate che soppianta quello della borghesia e istituisce una società nuova, adeguata al livello di civiltà e sviluppo raggiunto dalla specie umana: il socialismo come fase di transizione verso il comunismo. L’altro pilastro di questo potere è la costruzione del Partito comunista, l’organismo depositario della scienza (perché la elabora e costantemente la verifica nel rapporto con le masse di cui è avanguardia) necessaria a tracciare e intraprendere quel cammino di emancipazione che da solo, spontaneamente, dalle lotte non emerge.
È in quest’orizzonte che lavoriamo, oggi, a creare le condizioni per un governo d’emergenza delle masse popolari organizzate, il Governo di Emergenza Popolare (GBP): il lavoro di organismi popolari e operai come le BSA sono già oggi espressione, nella pratica, di un processo che va nella direzione della seconda misura generale del GBP: “distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi”.
Per tutte queste ragioni, vi invitiamo a partecipare al dibattito pubblico “La resistenza di ieri e di oggi”. Organizzarsi e mobilitarsi per una nuova liberazione nazionale di 29 settembre, ore 18.00 alla Festa Nazionale della Riscossa Popolare del P.CARC – Napoli, Villa Salvetti.
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Raffaella. Innanzitutto, cosa è successo?
Ci sono state due esondazioni. Nella notte fra il 3 ed il 4 maggio c’è stata la prima esondazione che ha interessato 23 corsi d’acqua. Poi tra il 16 e il 17 maggio, nella seconda esondazione, di corsi d’acqua ne sono straripati 43. La seconda esondazione è stata più grave. Parliamo, in tutto, di 16 morti e 35.000 sfollati oltre a quelli che non hanno voluto abbandonare le loro abitazioni. Data la vastità dell’area colpita (ci sono state zone alluvionate fino al confine con il bolognese) gli affetti sono stati molteplici. Alcune zone sono state investite dalla piena in modo violento ma poi l’acqua è in breve tempo refluita. In altre zone, come Conselice (RA), l’acqua è ristagnata per più di tre settimane mista a residui industriali, fognature, carogne di animali. Nelle zone appenniniche ci sono state centinaia di frane. Diverse strade e ponti sono crollati. Alcune piccole frazioni, come Boncellino (RA), hanno cambiato conformazione: le due vie che sostanzialmente lo formavano sono di fatto scomparse. Tutte le abitazioni sono ora inagibili. Stiamo parlando della vita delle persone, di tutto ciò che hanno.
Si è generata una situazione traumatica per l’interazione di fattori ambientali e l’opera dell’uomo, ovvero una lunga siccità in terreni prevalentemente argillosi, un enorme sfruttamento del territorio con una costante e crescente cementificazione. Questo ha portato alla quasi completa impermeabilizzazione del terreno. L’acqua esondata dai fiumi è come scivolata sulla plastica, trasformando la pianura in una specie di grande mare. Tutto è stato sommerso: campi, strade, casolari.
Il cambiamento climatico ha un ruolo. Non si tratta più di un’emergenza: è la normalità. Questo ha determinato l’aumento costante delle precipitazioni, che unitamente all’incuria del territorio e al suo incessante consumo hanno determinato lo stato delle cose. Ravenna è la seconda provincia in Italia per consumo di suolo. Ovunque abbiamo operato, le giunte comunali, di destra o fintamente di sinistra, insistono nella costruzione di centri commerciali e parcheggi. A Ravenna è prevista la costruzione di un hub logistico comprendente un autoporto.
Ovviamente in un evento del genere si intersecano poi concause. Nel ravennate, le politiche di consumo del suolo si sommano con il problema della subsidenza [il suolo tende a sprofondare sotto il livello del mare – NdR], che in alcune zone ha raggiunto gli 8 metri di dislivello. In quei giorni, complice una fortissima bora, il mare non solo non riceveva più l’acqua dei fiumi, ma ricacciava a monte acqua salata. Pensate cosa sarebbe potuto succedere con la presenza del rigassificatore che è in progetto! Allo stesso tempo la diga di Ridracoli (FC) spalancò più bocchettoni del solito. L’enorme quantità d’acqua precipitata non defluiva correttamente in canali ostruiti da materiali trascinati a valle.
Ma la questione è che il territorio è devastato da logiche di profitto che non tengono in alcun conto le reali esigenze dello stesso. A questo si aggiunge la forte presenza delle mafie, che da decenni si sono infiltrate nel tessuto economico attraverso le famiglie spedite al confino. Gestiscono lo smaltimento di rifiuti, edilizia, ristorazione, macchinette da gioco, oltre alle attività illegali tipiche. La Romagna, che per decenni si è vantata di essere un esempio virtuoso di amministrazione, con una Sanità all’avanguardia a livello europeo, oggi è terra di saccheggio.
Ci sono precise responsabilità da parte delle Amministrazioni locali?
Ci sono grandi responsabilità da parte di chi da decenni amministra il territorio. Organismi come il Consorzio di bonifica, i comitati di emergenza del territorio, della costa e dell’entroterra, cercano di nascondere le proprie responsabilità. Basti pensare che ci sono corsi d’acqua dove abbiamo vere e proprie isole alberate al centro. Allo stesso tempo viene rimossa indiscriminatamente la vegetazione sugli argini. Emblematico è l’esempio della pista ciclabile inaugurata, con grande battage pubblicitario, dal Presidente di Regione Bonaccini. Costruita sull’argine del fiume, ne ha compromesso la tenuta. A Castel Bolognese (RA), l’argine ha rotto proprio in concomitanza della pista inaugurata due mesi prima.
Arriviamo all’intervento delle BSA. Come avviene?
La specificità dell’intervento che conduciamo qui in Romagna sta innanzitutto nel fatto che il raggio d’azione è vastissimo: solo per la Provincia di Ravenna, per capirsi, parliamo di un raggio di 60 chilometri. Oltre al capoluogo, l’alluvione ha interessato numerose frazioni urbane, casolari isolati, coltivazioni e fattorie.
La prima fase è di carattere prettamente emergenziale. Noi ci siamo dati una serie di priorità. Prima vengono le persone, le famiglie, ovvero le case ad uso abitativo. Successivamente le cantine, i garage e infine orti e giardini. In ultimo possiamo occuparci anche delle fabbriche. Sono anch’esse importanti, per dar modo alla gente di poter continuare a lavorare. Ma ovviamente hanno solitamente più mezzi, per cui diamo precedenza alle persone. Inizialmente, con l’ausilio di pompe a immersione, bisogna far defluire le acque e sgomberare il mobilio. Ciò richiede molta attenzione. Bisogna concordare con i proprietari cosa buttare e cosa no. Anche l’oggetto ai nostri occhi più insignificante, può avere un enorme valore affettivo. Le reazioni psicologiche delle persone sono diversissime. C’è chi vorrebbe disfarsi di tutto e ha bisogno di parlare, essere ascoltato e in molti casi ricerca un contatto, un abbraccio. Dopo questa fase, solitamente pregna di emotività, resta tutto coperto dal fango, che va rimosso. Alla fine la vita delle persone si rispecchia in una casa completamente vuota, ad eccezione della muffa.
Puoi darci un’idea del numero degli interventi svolti e dei volontari coinvolti?
Posso dirtelo con certezza [al 22.07.2023 – NdR] perché ogni volontario aderisce compilando un modulo di iscrizione, e ognuno di loro viene assicurato contro qualsiasi tipo di infortunio. Abbiamo avuto 974 volontari in azione giunti da diverse parti d’Italia e che hanno coinvolto realtà preesistenti, come il collettivo di fabbrica GKN, o come l’associazione “Il gabbiano”, un progetto che coinvolge ragazzi carcerati in attività esterne. Parliamo di più di 800 interventi. Possono non sembrare molti, ma bisogna considerare che ogni intervento in un’abitazione comprende almeno due o tre giorni solo per rimuovere acqua, fango, mobili e macerie.
Che contraddizioni incontrate con le Istituzioni che dovrebbero essere deputate a svolgere questo intervento? Parlando con le persone è evidente che riconoscono in voi un punto di riferimento.
Il rapporto con le Istituzioni, e in particolare la Protezione Civile, è un problema che abbiamo dal 2009, quando siamo nate. Se noi esistiamo è proprio perché la macchina statale è macilenta e mangiasoldi. Se queste istituzioni funzionassero, non ci sarebbe bisogno del nostro impegno. Non posso garantire sulla percezione delle persone, che comunque vedevano o volontari sempre attivi e presenti, nonostante i reiterati tentativi di limitarne l’azione.
Ci sono stati ripetuti tentativi, tramite le Forze dell’Ordine, di allontanare, attraverso fermi e identificazioni tutti i volontari, compresi quelli appartenenti alle opere cattoliche. Se l’afflusso di volontari era preminentemente nei fine settimana (molti sono lavoratori), è altrettanto vero che gli interventi sono stati effettuati dal lunedì alla domenica inclusa. Una presenza costante sul territorio. Avevano paura di essere esautorati agli occhi della gente, data la spontaneità della mobilitazione popolare. L’allontanamento dei volontari, mascherato da forme securitarie, serviva a limitare la percezione della sostanziale immobilità (in alcuni casi assenza) della macchina statale. La repressione si è sostanziata con l’allarme di emergenze sanitarie, tutt’altro che improbabili, ma mai protocollate né definite attraverso documenti ufficiali, con continui fermi, schedature (“Perché siete qui? Che cosa ci fate?”). Questo atteggiamento ha, all’opposto, rafforzato la sensazione della gente sul fatto che noi fossimo amici. E questo è stato accentuato dal nostro porci in senso politico: “noi veniamo per aiutare, ma siamo ospiti su questo territorio, dove voi dovete determinare il vostro destino”. Un atteggiamento diametralmente opposto da quello dello “Stato padrone”.
Puoi specificare meglio la dimensione politica del vostro intervento? Sappiamo che cittadini alluvionati si sono autocostituiti in comitati.
Nella prima fase dell’intervento, quando le persone piangono le loro perdite e sono scioccati, è necessario concentrarsi sulla concretezza degli aiuti. Successivamente, si possono incoraggiare tutti quei discorsi inerenti una presa di coscienza. “perché è percome ci è successo questo?”. Noi incoraggiamo le persone ad aggregarsi ed organizzarsi. Solo così le persone sviluppano un pensiero critico e capire che la disgrazia è frutto anche di politiche sbagliate.
Nella seconda fase dell’intervento, quando eliminato il fango si procede alla pulizia degli ambienti, solitamente si entra in maggiore confidenza con le persone, che a quel punto cominciano a interessarsi sulla questione dei risarcimenti. La gente comincia a temere delle fregature, o delle ingiustizie, da parte dello Stato. Soprattutto quando si trovano di fronte a moduli da compilare estremamente complicati se non addirittura ermetici. Per questo problema noi siamo in grado di offrire il supporto di uno sportello legale, tramite l’operato dell’associazione la Fabbrica dei diritti Alter-ego, composta da avvocati e avvocatesse che offrono il loro supporto gratuitamente. Fra l’altro alcuni di loro sono stati direttamente colpiti dalla calamità. Lo stesso tipo di supporto lo abbiamo offerto ai Comuni stessi. La risposta che abbiamo ricevuto invariabilmente è stata: “per il Comune o per i cittadini?”. Questo ci è parso emblematico dello scollamento fra amministrazioni e amministrati.
Se non sbaglio esistono in torno a Ravenna già 4 comitati riunitesi, ovvero S. Antonio, Fornace Zarattini, Mezzano e Roncalceci. Oltre Ravenna, ci sono Forlì e Conselice. Ci parli di queste realtà? Il sindaco di Ravenna li ha incontrati.
Il Sindaco ha organizzato incontri con ognuno di questi comitati. Essenzialmente ha difeso il proprio operato trincerandosi dietro i tecnici del Comune e la Protezione Civile. S. Antonio, Fornace e Codarondine si sono fusi in un unico comitato perché interessati da una comune problematica relativo al fatto che durante la seconda esondazione alcuni straripamenti furono pilotati, provocati artificialmente. Per cui queste zone, che erano state risparmiate dall’alluvione, sono state allagate per salvare il centro e alcune grosse industrie come Marcegaglia.
A Forlì, in particolare due quartieri, Romiti e S. Benedetto, a forte connotazione popolare, è emerso positivamente il lavoro di compagni e compagne, che hanno determinato un’elevata coscienza politica della popolazione, unitamente ad un’elevata conoscenza dei problemi, come l’eccessiva cementificazione. Sono persone legate a sindacati di base e partiti di sinistra, ma è la militanza attiva che li ha contraddistinti. Quando il Consiglio comunale si è riunito, a un mese dall’alluvione, quest’ultima era al quarto punto dell’ordine del giorno. Abbiamo pertanto deciso, noi delle BSA, il comitato di Forlì e semplici cittadini, di fare irruzione in Consiglio. Eravamo circa 200 persone. Quello che ci ha impressionato è come gli assessori parlassero dell’alluvione come di un evento passato e concluso, di fronte a noi che eravamo tutti imbrattati di fango, dal momento che avevamo appena staccato dall’ennesimo intervento. Non comprendiamo con quali criteri la giunta abbia posto fine alla fase emergenziale. Forse che sono finiti i soldi per pagare la Protezione Civile? Da tale data, le famiglie che ancora non sono riuscite a sgomberare l’enorme quantità di macerie, sono state costrette a pagare il servizio. In molti c’è la certezza ci sia stata una consapevole preferenza per le attività imprenditoriali di un certo livello. A Forlì, dove la giunta è a guida Fratelli d’Italia (ma non c’è differenza, come a Conselice, a guida PD, dove la Sindaca era costantemente accompagnata dai reparti speciali in tenuta antisommossa), ci siamo resi conto del livello di superficialità e pressapochismo.
Ci siamo messi noi assieme agli alluvionati, a cercare di rimuovere i residui di vegetazione che ostruivano i canali. Perché gli enti preposti e pagati per fare questo non lo fanno? I comitati si sono incontrati con il Sindaco e i tecnici del Comune e del Consorzio di bonifica. Tutti si spalleggiano a vicenda e si parano dietro a capri espiatori come istrici, nutrie o eventi eccezionali.
Ho notato che negli incontri organizzati dagli attivisti, come quelli organizzati dal CSA Spartaco, si comincia a notare la presenza di tecnici in grado di fare una lista di priorità da mettere in essere, di misure da attuare che il Comune non svolge. Qualcuno sta valutando i danni da inquinamento, visto che l’acqua è entrata nelle fabbriche ed è venuta in contatto con veleni.
Non siamo a conoscenza di iniziative da parte delle istituzioni rispetto a tutto questo. Noi, con altre realtà, raduniamo persone competenti e qualificate capaci di ideare gli interventi e di eseguirli. Per quanto riguarda l’inquinamento, sarò chiara: quest’anno, proveniente da Conselice, non mangerei né una pesca né una foglia d’insalata. Abbiamo per settimane spalato fango misto a merda, rifiuti chimici e animali morti. L’odore di Conselice si percepiva a chilometri di distanza. Possiamo occuparci delle analisi di acqua, terra e aria? Siamo in contatto con un’associazione in grado di monitorare questi parametri: Geologia democratica. Il problema che incontriamo è che questi tecnici, non interpellati dalle istituzioni, non sono considerati, così come i dati da loro raccolti. Ti racconto un altro fatto: a Mezzano hanno predisposto un sito dove ammassare tutti i rifiuti provenienti dalle case alluvionate. Si è formata una collina alta come una casa di tre piani e vasta come un campo da calcio. C’era di tutto: dai mobili agli elettrodomestici, senza distinzione. Qualcuno ha incendiato il sito. Si è sviluppata una nube tossica carica di diossina. L’incendio è durato tre giorni. Se andavi a Mezzano, dopo cinque minuti ti si irritava la gola. La politica cerca, anche in questo caso, di sminuire: l’esatto contrario di come si comportano in altri casi.
Quindi dobbiamo essere noi ad agire nel senso di creare uno stato di ingovernabilità al fine, intanto, di ottenere le dimissioni dell’attuale giunta. Cacciarli.
Certo, ma non è semplice. Per chi non è abituato alla militanza politica, perdere la sicurezza che dà il delegare le questioni ad altri, alle istituzioni, non è facile. Neanche quando il problema ti entra letteralmente in casa. Noi cerchiamo di far capire alle persone che non ci troviamo di fronte a una fatalità, che tutto è riconducibile a scelte politiche tipiche del capitalismo in questa fase.
Vorrei chiederti della partecipazione dei lavoratori nelle BSA, anche nell’ottica della forza che la mobilitazione della classe operaia può dare alla vostra opera.
Chi è coinvolto nelle BSA, ha in genere un’elevata coscienza politica militante. Pensa che il collettivo di fabbrica GKN, ha costantemente partecipato con gruppi di lavoratori, malgrado tutti i disagi a cui sono sottoposti negli ultimi due anni. Per farti capire alcuni di loro hanno venduto l’auto perché sono senza stipendio, ma si sono ugualmente organizzati per venire con chi ancora l’aveva. Questo loro esempio ha grande valore morale. Ricorda inoltre che le BSA hanno nel loro statuto le caratteristiche di antifascismo, anticapitalismo e antirazzismo. Chi proprio non si avvicina perché già militante, facilmente lo diventa, toccando con mano la forza della solidarietà. Parliamo di gente che sceglie consapevolmente di passare così le proprie ferie lavorative. E lo fanno non pagati. La cosa più emozionante, è quando sono le persone disastrate a chiedete di poter entrare nelle BSA.