Lavoratori ferrovie morti a Torino – Lettera da un collega in pensione

Questa mattina Michael Zanera (34 anni), Giuseppe Sorvillo (43 anni), Saverio Giuseppe Lombardo (52 anni), Giuseppe Aversa (49 anni) e Kevin Laganà (22 anni) sono morti a Torino travolti da un treno mentre svolgevano le proprie mansioni di manutentori dei binari. Altre cinque vittime dell’ecatombe silenziosa e quotidiana che ogni giorno miete vittime da un capo all’altro del paese.

A poco servono le frasi di circostanza e le lacrime di coccodrillo degli amministratori delle grandi aziende pubbliche, dei giornalisti dei media di regime, dei grandi papaveri dell’economia del paese e dei politicanti che lo governano. Per questi lavoratori non ci sarà giustizia diversa che stravolgere questa società e l’ordinamento sociale capitalista che li ha strappati ai propri cari e alle proprie famiglie.

Per questo rilanciamo su questa Agenzia Stampa le parole di un ex lavoratore delle ferrovie rispetto a quanto accaduto, unitamente all’invito di sostenere sin da subito in ogni città la proclamazione dello sciopero nazionale di 24 ore di tutti i lavoratori delle ferrovie indetto da Usb.

***

Abbassa la testa, zitto e lavora.

Ritmi e turni sempre più elevati e stipendi da fame. Si lavora solo di notte, con qualsiasi tempo, ma sempre di fretta perché il binario, la linea, deve essere pronto, lo scambio sostituito, le rotaie cambiate entro le 5 di mattina per non fermare la circolazione. E come succede nelle fabbriche, l’obbligo di fedeltà aziendale, cioè stai zitto altrimenti da domani non lavori puoi startene a casa, era sempre presente.

Impedivano anche a noi, che controllavamo la corretta esecuzione dei lavori, di continuare a fare i controlli se minimamente accennavamo a qualche cosa che non doveva essere fatto.

Si inizia a lavorare dopo la mezzanotte e in poche ore tutto deve ritornare “normale”.

Ho lavorato nella manutenzione prima che esternalizzassero questo importante settore a ditte esterne, era RFI che eseguiva questi lavori. Le attenzioni erano maggiori, il personale anche.

Avevamo conquistato diritti e tutele sindacali che facevamo valere e i tempi di lavorazione non erano quelli ai quali oggi costringono questi giovani ragazzi (molti inesperti) a passare gran parte delle notti sui binari, saltando giornate di riposo, ricattati per accumulare riposi e poter ritornare ai propri paesi di emigrazione, al sud.

RFI ha mantenuto solo il “controllo” con i suoi operai sul lavoro di queste ditte in appalto che lavorano in condizioni criminali. I treni che ti passano vicinissimi a 150Km/h… devi sempre essere pronto e veloce a “scansarti” per poi tornare velocemente sul binario da sostituire.

Lavori con materiale vecchio, usurato, che non riconosci bene per il buio, caricato alla bene e meglio senza sicurezze.  Nelle gallerie ci accorgevamo dell’arrivo del treno sul binario a fianco per il forte vento che causava il suo ingresso in galleria.

Ricordo precisamente la paura e l’ansia e penso ai ragazzi che non hanno avuto nemmeno il tempo di girarsi per cercare di scansarsi.

Diranno che c’è stato un errore di qualche capo stazione che ha dato il “via libera” al treno che li ha uccisi; diranno del macchinista che non ha osservato i segnali. Ma gli avevano comunicato di rallentare? NO! Il treno andava a 160 km orari e vuol dire che il rallentamento non era stato concesso! Il sistema di controllo automatico della velocità era attivato? NO! Non glielo avevano detto!

Ecco perché ho scritto che “ogni tanto” bisognava scansarsi….perché si lavora senza interruzioni. Il tempo è denaro per i padroni, … mentre per i lavoratori è fatica, morte e devastazione della vita.

Diranno che il fattore umano è stato determinante, che non è giusto che non si rientri a casa dopo una giornata di sfruttamento, che ci vuole dignità sul lavoro. Ma si riveleranno solo lacrime di coccodrillo che servono all’occorrenza, a fare la sfilata della solidarietà e del cordoglio, della circostanza, poi da domani tutto come prima e altri assassinii sul lavoro saranno alle cronache perché le condizioni di lavoro peggiorano sempre più e gettano sempre più nella disperazione le masse popolari.

Quando succedono queste cose molti dicono “non si può morire così”. Ma si continua invece a morire esattamente così.

Il mio pensiero e la mia solidarietà vanno alle famiglie e agli operai assassinati sul lavoro.

Ma una riflessione la voglio fare a voce alta e va a tutti i lavoratori, di qualunque categoria e settore. 

Finché ci sarà il capitalismo, chi deve guadagnare sulla nostra vita, chi specula e lucra su ogni cosa dove mette mano devastando tutto, si continuerà morirà così.

Dobbiamo essere noi lavoratori a organizzarci e iniziare a dettare le regole e a farle rispettare.

Senza sicurezza non bisogna lavorare.

Per salari fa fame non bisogna lavorare.

Senza garanzie non bisogna lavorare.

Non è più nemmeno possibile aspettare e sperare che qualcuno faccia qualcosa, perché ormai lo sanno tutti come si lavora, si vive e si muore sui posti di lavoro. E nessuna istituzione o autorità ha interesse a fare qualcosa di diverso che spendere due parole di circostanza di fronte all’ennesimo omicidio sul lavoro o, come in questo caso, all’ennesima strage.

Io sono sotto processo a Lanciano per aver volantinato di fronte a una fabbrica per denunciare il sistema che ha ucciso Luana D’Orazio e altre centinaia di lavoratori e lavoratrici e che continua a uccidere. Mi hanno denunciato per delle parole che avrei pronunciato.

Delle parole di circostanza i lavoratori non sanno cosa farsene.

Bisogna organizzarsi. Anzitutto scioperare, incrociare le braccia e fermare la circolazione di questo paese. Non due ore, ma fino a quando non sarà eliminato il sistema degli appalti al ribasso.

Non è sufficiente. Ma non c’è un altro modo per rivendicare giustizia per queste morti che dovevano e potevano essere evitate.  

Lino Parra, ex operaio in pensione della manutenzione in RFI

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