Organizzare la resistenza per cacciare il governo Meloni e imporre un governo di emergenza popolare

Hasta la victoria siempre!

Per inquadrare la situazione politica del nostro paese è utile fare una premessa generale e un piccolo passo indietro.

Da quando è iniziata la fase acuta della crisi generale del capitalismo (2008) è cresciuta anche la crisi del sistema politico della borghesia che non riesce più a dare un indirizzo unitario al paese e alle istituzioni.
È un fenomeno che coinvolge tutti i paesi imperialisti e che in Italia si manifesta nella lotta accanita che i vertici della Repubblica Pontificia conducono per fermare il loro declino e mantenere il governo del paese.
Manovre, intrighi, complotti: è una lotta senza esclusione di colpi perché ciò che causa la crisi del regime politico è alla base anche del crescente scollamento fra le masse popolari e la classe dominante, del crescente malcontento, delle proteste e mobilitazioni e, soprattutto, dell’esigenza e della richiesta – sia pur confusa – di un cambiamento politico.
Dal 2008 è aumentata esponenzialmente l’ingovernabilità del paese: dall’alto (cioè a causa degli scontri fra gruppi di potere, comitati d’affari, autorità e istituzioni borghesi – basta pensare alle contraddizioni fra governo centrale e amministrazioni locali o agli scontri fra politica e magistratura) e dal basso (cioè la classe dominante fa sempre più fatica a mobilitare le masse popolari, a intrupparle e anche solo a creare un’opinione pubblica a lei favorevole).
Serve un cambiamento, serve un governo di tipo nuovo: NON un governo che continui a perseguire gli interessi dei capitalisti italiani e stranieri (individui, gruppi, banche, aziende, società per azioni, fondi di investimento, ecc.), ma un governo che persegua gli interessi delle masse popolari, la maggioranza della popolazione. Questo cambiamento è una necessità storica.
La premessa per inquadrare correttamente la fase attuale del nostro paese è quindi la seguente: la lotta fra la classe dominante che cerca di mantenere nelle proprie mani il governo del paese e le masse popolari organizzate per prendere nelle loro mani il governo del paese è cresciuta e crescerà.

Mettiamo nel cassetto i piagnistei, le remissioni, i sensi di inadeguatezza, il legalitarismo e il disfattismo.
C’è bisogno dei comunisti, c’è bisogno che nelle piazze, nei reparti delle aziende, nei piazzali delle fabbriche, nelle scuole e nei quartieri torni a risuonare lo slogan di quelli che non si sono dati per vinti: hasta la victoria siempre!

Le “vicissitudini” politiche italiane degli ultimi sedici anni (dal 2008) indicano chiaramente questa situazione.
Per motivi di spazio tralasciamo quelle dei primi quindici anni (più volte trattate su questo giornale) e ci limitiamo a un salto di soli dodici mesi (o poco più).
Nel luglio 2022 al governo del paese c’era Mario Draghi, presentato come il “salvatore della patria”. Scelto nel febbraio precedente dai vertici della Repubblica Pontificia italiana per attuare “senza se e senza ma” la sua agenda (il programma comune della classe dominante), in pochi mesi aveva portato il paese alla soglia del disastro in cui è oggi.
Per contro, aveva iniziato a svilupparsi la mobilitazione delle masse popolari e – necessariamente – si era sviluppata, fuori dalla rete del polo Pd delle Larghe Intese (compresi la Cgil, l’Arci, l’Anpi, ecc.), la lotta contro il carovita, contro la guerra, in difesa della scuola e della sanità pubbliche e per misure efficaci a fronte degli effetti della crisi ambientale e climatica.
A luglio 2022 il governo Draghi cade e Mattarella indice per settembre le elezioni politiche anticipate. I vertici della Repubblica Pontificia disinnescano così, attraverso uno dei loro tipici colpi di mano, la minaccia di un possibile “autunno caldo”: per “congelare” la mobilitazione delle masse popolari, la classe dominante la dirotta verso una campagna elettorale fasulla (chi avrebbe vinto le elezioni era già chiaro, le Larghe Intese avevano investito Giorgia Meloni da tempo).
È riuscita nel suo intento? In parte sì.
C’è riuscita a causa delle tare ideologiche, in particolare l’elettoralismo, che pesano come macigni sui partiti della sinistra borghese, sui partiti anti Larghe Intese e, soprattutto, sui partiti comunisti.
Porre come prioritario l’obiettivo della raccolta di voti anziché usare la campagna elettorale per alimentare le mobilitazioni che già erano nate in primavera e per svilupparle in autunno, promuovere la concorrenza tra le varie liste anti Larghe Intese anziché l’unità d’azione e la collaborazione, ha prodotto da una parte i risultati elettorali estremamente negativi di queste liste e dall’altra il temporaneo riflusso delle mobilitazioni.
Per i vertici della Repubblica Pontificia italiana, tuttavia, il problema è stato solo rimandato. Un segnale chiaro di ciò veniva già dal 60% di astenuti alle elezioni politiche: il distacco fra masse popolari e sistema politico borghese, istituzioni, autorità e partiti borghesi era aumentato. La certezza è arrivata poco dopo, quando il governo Meloni si è intestato l’attuazione dell’agenda Draghi senza se e senza ma.
Dopo quasi un anno di governo Meloni, dunque, alla classe dominante si pone nuovamente il problema, ma amplificato e senza la prospettiva di una “rapida soluzione creativa” all’orizzonte.

Veniamo quindi all’oggi.
Il governo Meloni è un colabrodo. Non ha preso quota neppure con lo Spoil System con cui Fdi ha occupato le aziende pubbliche – anzi si sono acuite le contraddizioni e i malumori fra i partiti di governo – perché pesano tare genetiche non risolvibili.
Anzitutto, pesa la genuflessione alla Nato e alla Ue. E pesa, in particolare, perché Giorgia Meloni e Fdi, come prima fecero Salvini e la Lega, hanno vestito i panni del sovranismo, ma “senza sovranità”. Si sono prostrati senza battere ciglio agli interessi di Washington e Bruxelles e vi hanno piegato il paese.
Il coinvolgimento dell’Italia nella guerra che la Nato conduce contro la Federazione Russa in Ucraina è solo la punta dell’iceberg: ci sono anche l’accresciuta dipendenza energetica, l’imposizione di relazioni politiche e commerciali (sanzioni alla Federazione Russa e chiusura della via della seta con la Repubblica Popolare Cinese), la spesa militare fuori controllo…
In secondo luogo, sulla natura e l’azione del governo Meloni pesano le influenze delle varie mafie e cosche disseminate nel paese e dei comitati d’affari: dal partito del cemento e delle grandi opere a quello della green economy, dai trafficanti di esseri umani (altro che blocco navale e porti chiusi!) ai produttori e mercanti di armi.
In terzo luogo, pesano gli scontri fra le varie componenti del governo, ognuna delle quali è afferente a fazioni della borghesia imperialista internazionale o, più “modestamente”, a comitati d’affari nazionali. Un indice particolarmente efficace del fenomeno è costituito dalle riforme della giustizia di Nordio, più improntate a un colpo di spugna sulla recente storia giudiziaria contro la mafia e le altre organizzazioni criminali che a perseguirle. Anche se, è certo, se ne vedranno delle belle pure per la definizione della legge di bilancio, come già se ne vedono per il decreto sugli extra profitti delle banche.
Infine, va considerato che nella compagine di governo e lo stuolo di segretari e sottosegretari “il più pulito ha la rogna”. Tutti, con poche eccezioni, sono passibili di attenzioni da parte della magistratura, o per lo meno di essere sottoposti alla gogna mediatica. Dalla Santanché a Nordio, da Valditara a Delmastro a Lollobrigida. Non passa settimana che non esca “uno scandalo”: nel momento in cui scriviamo tiene banco la querelle sul generale Vannacci.
Il polo Pd delle Larghe Intese sguazza in questa melma. Biasima e condanna, ma si guarda bene dal mettersi alla testa della mobilitazione per cacciare il governo Meloni, perché il Pd al suo posto ha fatto, fa e farebbe le stesse cose (governo Draghi docet).

Se tassi le banche fai piangere la Bce
Fratelli d’Italia ha profondamente deluso i suoi elettori su tutti i fronti, si è dimostrato il perfetto continuatore delle politiche contro cui, fino a un anno fa, Giorgia Meloni sbraitava con le vene gonfie nelle piazze e nelle aule.
Qualche testa d’uovo meloniana ha partorito l’idea che per tentare di far ingoiare l’ingoiabile alle masse popolari, elettori e sostenitori di Fdi o meno, servisse un colpo di teatro per far sembrare che il governo Meloni fosse “tornato dalla parte degli italiani” e “contro i poteri forti”. E così ecco il decreto per tassare gli extraprofitti delle banche. Una balla talmente grossa che non ha retto tre giorni prima che dalla stessa maggioranza arrivassero distinguo, ripensamenti e autocritiche (è uno dei motivi di scontro fra i partiti di governo). Ma era “tutto calcolato”!
Il Ministero dell’Economia, senza attendere neppure che la Bce prendesse parola, ha chiesto direttamente a Christine Lagarde cosa ne pensasse. E, ovviamente, è arrivata la stroncatura.
Pertanto prepariamoci, il governo “dei sovranisti” si farà fermare dalla Bce giusto sull’unica misura che in qualche modo – molto alla lontana – toglieva ai ricchissimi qualcosa. Qualche briciola. Una tantum.

I mesi che abbiamo di fronte.
C’è bisogno di una piccola, ma importante, “operazione verità”. La illustriamo con due esempi.

1. Chi sogna che per risolvere la questione dei salari da fame sia sufficiente una legge sul salario minimo o è un bugiardo oppure è uno che crede a babbo natale. Senza un insieme di misure, controlli, verifiche e sanzioni governative (dall’alto), ma soprattutto senza il controllo dal basso e la mobilitazione popolare, quella legge è fuffa! I prezzi aumenteranno, i padroni si avvarranno della miriade di contratti a chiamata, delle finte Partite Iva e, manco a dirlo, del lavoro nero di massa.

2. Le popolazioni delle zone alluvionate (ad esempio della Romagna) non riceveranno che briciole, nel migliore dei casi, altro che ristori subito, come sbraitava Bonaccini!
Ma se pure ottenessero più delle briciole (senza mobilitarsi per creare un serio problema di ordine pubblico non prenderanno proprio niente!) nulla e nessuno spingerà i governi delle Larghe Intese a mettere in sicurezza i territori e a porre fine alle devastanti e costanti speculazioni.
Eppure, quante e quali sono le zone già disastrate o a rischio di disastro climatico? È l’intero territorio nazionale!

L’operazione verità, dunque, consiste nel fare piazza pulita dell’idea malsana che ogni problema possa essere affrontato e risolto da solo, scollegandolo dagli altri, uno alla volta, quando si manifesta.
L’operazione verità consiste nel far emergere il legame fra ogni problema, la causa comune risolvendo la quale si affronta il problema, si affrontano le sue conseguenze e si cambia il corso delle cose.
Il discorso è che bisogna dirigere – le masse popolari organizzate devono imparare a dirigere – e non più solo subire la lotta che la classe dominante conduce per tenere nelle sue mani il governo del paese. Bisogna dirigere quella lotta, bisogna strappare il governo del paese alla classe dominante e bisogna imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

In questa estate 2023, i vertici della Repubblica Pontificia italiana non hanno abbastanza ghiaccio per congelare le mobilitazioni né hanno una soluzione di ricambio al governo Meloni.
Non dipende da loro se le mobilitazioni del prossimo autunno saranno ampie, radicali e, soprattutto, efficaci per affrontare di petto la questione politica che è in piedi dal 2008 e che oggi si pone nel mandare all’aria il governo Meloni e imporre un governo di emergenza popolare.
Possono fare solo due cose:
– incanalare il malcontento e la mobilitazione sotto l’ombrello del polo Pd delle Larghe Intese (per non cambiare niente e, anzi, perseverare con l’attuazione dell’agenda Draghi);
– alimentare la guerra fra poveri, spingendo una parte delle masse popolari contro l’altra (è quello che è successo con i “No vax” per indebolire o evitare la mobilitazione contro la gestione criminale della pandemia): è la via della mobilitazione reazionaria.

Questo significa che tutto dipende (tutto! la quantità e qualità delle mobilitazioni, la loro ampiezza, la loro capillarità, la loro radicalità e, soprattutto, la loro efficacia e le loro prospettive) da quanto e come il movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese si assumerà il compito e la responsabilità di dare lo sbocco politico che serve alla mobilitazione delle masse popolari. Partiamo dalle basi.

a. Promuovere e sedimentare organizzazione. È di particolare importanza far emergere e contrastare, in seno al movimento comunista cosciente e organizzato, l’idea che sia sufficiente “dare una spallata al governo” con le manifestazioni di piazza.
Certamente è necessario dare una spallata con le mobilitazioni di piazza, ma l’aspetto dirigente e fondamentale è che esista una rete di organismi operai e popolari (legati fra loro e a loro volta legati a una rete di forze politiche, organizzazioni sindacali, associazioni, comitati, ecc.) che si pone l’obiettivo di incarnare l’embrione di potere alternativo alle autorità e alle istituzioni borghesi.
Senza una soluzione di ricambio sviluppata almeno a un livello elementare, nessuna spallata andrà a buon fine. E se anche andasse a buon fine, cappottare il governo Meloni senza imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate aprirebbe la strada a una nuova e superiore unità nazionale delle Larghe Intese.
Quindi? Moltiplicare le mobilitazioni, estenderle e radicalizzarle (rendere ingovernabile il paese dal basso e porre continui problemi di ordine pubblico), ma principalmente curare che ogni mobilitazione sia strumento per rafforzare l’organizzazione: rafforzare gli organismi operai e popolari esistenti, farne nascere di nuovi, favorire il coordinamento di tutti.

b. Promuovere la sinergia e la concatenazione. Già li vediamo: i vertici dei sindacati di base in concorrenza fra loro sulla data del prossimo sciopero generale; i sindacati di base che scoraggiano la partecipazione alle manifestazioni della Cgil (e magari prendono a male parole i lavoratori che vi partecipano); i “super comunisti” che denigrano le mobilitazioni contro la crisi climatica; i pistolotti sul fatto che le mobilitazioni per i diritti civili sono diventate il cavallo di Troia della sinistra liberale…
Compagni, non ci siamo! Bisogna – da comunisti – (senza “super”) fare in modo che ogni mobilitazione che raccoglie il consenso e la partecipazione di una parte delle masse popolari diventi strumento per rafforzare le altre, bisogna fare in modo che ogni mobilitazione sia alimento per le altre.
Il 7 ottobre la Cgil ha convocato una manifestazione nazionale contro il governo Meloni. Non occorre che qualcuno ci ricordi le gravi responsabilità dei vertici della Cgil. È più importante che ognuno ci metta del suo perché quella manifestazione sia AL SERVIZIO dello sciopero generale indetto dai sindacati di base il 20 ottobre. “È impossibile”, dice qualcuno. È impossibile se nessuno si mette a farlo. È molto difficile se a farlo ci si mettono in pochi. Ma è semplice se tutti quelli che hanno chiara l’importanza di suscitare un’ampia mobilitazione contro il governo Meloni si mettono a farlo, ognuno dal suo posto, rispetto ai propri referenti, con i contenuti che gli sono propri.

c. Bisogna farla finita il più presto possibile con quel lamento insopportabile e dannoso che conferisce a una cazzata la veste di verità: “La lotta di classe la fanno solo i padroni e stanno vincendo”. La lotta di classe è in corso e aumenta di intensità perché, man mano che la crisi avanza, aumenta “la posta in gioco”. Oggi la posta in gioco non è più confinata agli aspetti rivendicativi, ma è tutta e completamente politica. Oggi – e palesemente dal 2008 – la posta in gioco è il governo del paese.

Allora, da comunisti, aiutiamo le masse popolari a liberarsi dal fardello di una cazzata spacciata per verità! Che i comunisti facciano i comunisti e non gli opinionisti e i menagramo: organizzino la resistenza per cacciare il governo Meloni, per sbarrare la strada alle Larghe Intese e imporre un governo di emergenza popolare.

Mettiamo nel cassetto i piagnistei, le remissioni, i sensi di inadeguatezza, il legalitarismo e il disfattismo.
C’è bisogno dei comunisti, c’è bisogno che nelle piazze, nei reparti delle aziende, nei piazzali delle fabbriche, nelle scuole e nei quartieri torni a risuonare lo slogan di quelli che non si sono dati per vinti: hasta la victoria siempre!

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