Sul campeggio “Fermare l’escalation” del Movimento No base né a Coltano né altrove

No alle basi, no alla guerra, no alla Nato – a Coltano e ovunque

Dal 13 al 16 luglio si è svolto a San Piero a Grado (PI) il campeggio promosso dal Movimento No Base né a Coltano né altrove, preparato attraverso una serie di iniziative che hanno assunto via via un carattere nazionale – come l’assemblea del 4 giugno scorso.
Fin dalla sua nascita abbiamo riconosciuto il valore di questo percorso e lo abbiamo sostenuto, in particolare abbiamo dedicato energie ad allargare la partecipazione al campeggio [vedi i comunicati qui e qui] che effettivamente è stato un’importante iniziativa tanto per i contenuti che sono stati espressi nelle assemblee e nei momenti di confronto che per le prospettive che ha aperto.

Per inquadrare bene sia il valore dei contenuti emersi che le prospettive, è utile fare una premessa.
La guerra che la Nato sta conducendo “per interposta persona” contro la Federazione Russa non è il frutto di una fortuita contingenza e non c’entra nulla con “le mire espansionistiche di Mosca” (né con qualunque altra spiegazione ne dia la propaganda di regime): è lo sviluppo “naturale” della crisi generale del capitalismo, una manifestazione pratica di come la tendenza alla guerra, propria del capitalismo, si traduce in guerra aperta come strada che la classe dominante (e nel caso specifico gli imperialisti Usa attraverso la Nato) imbocca nel tentativo di far fronte, a suo modo, agli effetti della crisi generale.
Non è un caso che gli imperialisti Usa (e la Comunità Internazionale degli imperialisti) abbiano non solo preparato e creato da anni le condizioni per la guerra in Ucraina, ma da quando è iniziata la fase dispiegata, dal febbraio 2022 con l’operazione speciale russa, abbiano fatto carte false per NON risolvere il conflitto, hanno anzi cercato la strada per aggravarlo ed estenderlo in altre zone e aree del mondo (vedi il Kosovo, ad esempio). E non è un caso se la principale preoccupazione della Nato sia quella di estendersi in Europa (accerchiamento della Federazione Russa) e nel Pacifico (per insidiare la Repubblica Popolare Cinese).
Certo, lo sviluppo della tendenza alla guerra in guerra aperta comporta molte contraddizioni e rischi per la classe dominante.
Contraddizioni anche nel suo stesso campo (ne sono un esempio quelle fra imperialisti Usa e imperialisti UE, che fino a oggi hanno obbedito obtorto collo alla Nato e subìto le conseguenze della sua iniziativa), ma soprattutto contraddizioni fra classe dominante e masse popolari.
Per “fare la guerra”, la classe dominante ha bisogno del coinvolgimento, del sostegno e della partecipazione delle masse popolari. Deve persino intrupparne una parte, direttamente e indirettamente, nelle operazioni belliche.
Pertanto, questa è la conclusione del ragionamento, man mano che la classe dominante percorre la strada dello sviluppo pratico della tendenza alla guerra essa diventa anche maggiormente dipendente dalle masse popolari.
Le masse popolari, del resto, si trovano di fronte a un bivio: sostenere la classe dominante nei suoi sforzi bellici e subirne le conseguenze (aggravamento delle condizioni di vita e di lavoro, devastazione dell’ambiente e dei territori, militarizzazione della società, ecc. – diventare a tutti gli effetti carne da macello e da cannone) oppure usare fino in fondo le contraddizioni che la situazione determina per rovesciare la classe dominante e farla finita il con il suo sistema.
Questo è il contesto in cui si è svolto il campeggio e alla luce di questo si tratta di individuare e valorizzare gli elementi positivi che sono emersi e coltivare le linee di sviluppo e le prospettive più avanzate per cui sono state gettate le basi.

Una mobilitazione di lunga durata

Durante un’assemblea, una compagna siciliana del Movimento No Muos ha detto che “questa è una lotta di lungo periodo e non dobbiamo scoraggiarci di poterla costruire”.
Questo è un concetto molto importante per due motivi. Da una parte fa piazza pulita dello scetticismo, della sfiducia e del disfattismo tipici del senso comune corrente (“possiamo mobilitarci quanto vogliamo, ma il nemico è troppo forte e non abbiamo possibilità di vittoria”), dall’altra mette bene in evidenza chi deve essere il promotore della mobilitazione contro la Nato, la guerra e l’economia di guerra: sono gli organismi operai e popolari.
Del resto l’esperienza stessa del Movimento No Base di Coltano lo dimostra: dopo più di un anno dalla dichiarazione del governo Draghi di voler costruire la nuova base militare, non è stato messo nemmeno un mattone. E questo SOLO grazie alla mobilitazione e alla resistenza dal basso di cui anche le istituzioni locali e nazionali devono tenere conto.
E l’esempio di Coltano, in questo senso, non è affatto l’unico. Ne abbiamo parlato nell’Editoriale del numero 6/2023 di Resistenza:

“Servono molto, invece, le mobilitazioni che alimentano la resistenza e la combattività dei lavoratori e delle masse popolari, anche se sono poco partecipate e anche se – sul momento – non ottengono vittorie (e a volte sono anzi momentaneamente sconfitte). Facciamo solo due esempi.
I comitati di Piombino hanno organizzato 68 iniziative in pochi mesi contro l’installazione del rigassificatore (la nave Golar Tundra), ma la nave ha attraccato in porto e in queste settimane inizia a essere operativa.
La mobilitazione dei comitati è stata apparentemente sconfitta. E lo sarebbe davvero, se i comitati avessero “mollato la presa”. Ma non lo hanno fatto, anzi dicono che con l’attracco della nave sono arrivate le forze occupanti e “adesso inizia la Resistenza”.
Il movimento No Tav ha organizzato iniziative e mobilitazioni per trent’anni. Non ha vinto, nel senso che il progetto devastante dell’alta velocità non è stato ritirato, ma neppure è stato realizzato. Anzi, le manifestazioni, le iniziative e le mobilitazioni non hanno solo rallentato i lavori in modo determinante, ma hanno anche aperto, più di una volta, contraddizioni in campo nemico.
Certamente chiunque può obiettare che entrambi gli esempi non parlano di qualcosa di risolutivo.
La verità è che per fare qualcosa di risolutivo bisogna che qualcuno si metta a estendere esperienze simili in ogni territorio, in ogni ambito, in ogni situazione; bisogna che tutte queste esperienze, o la maggioranza di esse, si coordinino; bisogna che lo spirito di resistenza che contraddistingue ogni mobilitazione diventi spirito di conquista” – Fare la cosa giusta.

Riprendiamo per un attimo quanto detto nella premessa. Inevitabilmente la lotta contro la guerra e l’economia di guerra è di lungo periodo perché è strettamente legata alla più generale mobilitazione delle masse popolari contro la classe dominante. Non esistono appelli ragionevoli abbastanza efficaci da far desistere la classe dominante dal perseguimento dei suoi interessi ad ogni costo e con ogni mezzo. L’unica soluzione ai numerosi e gravi problemi che ne derivano sono l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari che rovesciano il sistema politico della classe dominante. E nel contesto internazionale e nazionale in cui siamo, nel marasma in cui la classe dominante ha sprofondato il mondo e il nostro paese, la questione è impellente.

Il ruolo della classe operaia

La classe dominante ha bisogno della mobilitazione delle masse popolari per fare la guerra e deve persino intrupparne una parte. Questo vuol certamente dire costruire un’opinione pubblica favorevole alla guerra attraverso una martellante propaganda di regime, vuol dire avanzare a grandi passi nella militarizzazione della società (vedi la militarizzazione delle scuole e università). Ma più di tutto vuol dire costruire (o imporre) il consenso laddove “batte il cuore” dell’economia di guerra: le aziende pubbliche e le aziende capitaliste.
In tempi di economia di guerra, anche le aziende devono funzionare come macchine da guerra. Ne va dell’esito della guerra. Questo vuol dire che quanto le manifestazioni di piazza, ma anzi ben più delle manifestazioni di piazza, la contesa rispetto al consenso per la guerra avviene nelle aziende.
E per questo è stato un aspetto davvero importante la partecipazione al campeggio sia di esponenti di organismi operai che sono già attivi nella mobilitazione contro la guerra e che con la loro iniziativa hanno aperto la strada anche ad altri lavoratori (dai portuali di Genova ai facchini di Pisa, dai lavoratori dell’aeroporto di Pisa a quelli di Montichiari), sia di organismi operai che hanno assunto un ruolo di avanguardia nella lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo (come gli operai ex Gkn), sia di organizzazioni sindacali di base (in particolare Usb e Si cobas).

Prospettive linee di sviluppo

Procedendo dal particolare al generale, le principali prospettive emerse sono le seguenti.

1. Il campeggio ha dimostrato chiaramente che il Movimento No base di Coltano ha già assunto un ruolo importante a livello nazionale sia in termini di coordinamento con altri organismi territoriali che in termini di capacità di elaborazione e rilancio dell’iniziativa. Consolidare e sviluppare il ruolo nazionale è molto importante (ancora manca nel nostro paese un contro autorevole di livello nazionale capace di mobilitare la maggioranza di popolazione che è contro la guerra, l’economia, di guerra, l’invio di armi, ecc. e va costruito) e ciò è tanto più possibile quanto più si sviluppa il ruolo territoriale: sostegno e spinta alla nascita di nuovi organismi popolari nei quartieri e luoghi di studio della città di Pisa e nelle province limitrofe, facendo valere la forza della pur temporanea vittoria contro la costruzione della base e costruendo legami di fiducia con le decine di altri organismi popolari e di lavoratori che animano il paese e che in parte hanno attraversato il campeggio.

2. La significativa partecipazione al campeggio di organismi operai e di organizzazioni sindacali è la condizione per sviluppare su ampia scala l’intervento sulla classe operaia. In particolare si tratta di promuovere, dare forza e dare spinta alla costruzione in ogni azienda di organismi e comitati contro la guerra e l’economia di guerra, contro l’invio di armi, il carovita, l’intruppamento nelle guerre promosse dalla NATO. Questo è l’aspetto decisivo per mettere quel pezzo che ancora manca e la cui mancanza ostacola lo sviluppo di un’ampia mobilitazione popolare.

3. Per fare la guerra, la classe dominante ha bisogno di intruppare, anche solo in termini di consenso, una parte delle masse popolari. Ebbene, bisogna approfittarne e convogliare l’ampio dissenso della popolazione per rendere il paese ingovernabile alla classe dominante, cioè renderle impossibile di proseguire nel solco che ha imboccato con il sostegno incondizionato e la sottomissione alla Nato e per indebolire il governo Meloni fino a cacciarlo. Pertanto è necessario dare uno sbocco politico a tutto il fermento, alla mobilitazione, ai fulcri di organizzazione e alle esperienze di coordinamento.

4. Bisogna alimentare e dare continuità alle iniziative e mobilitazioni che sono già in corso, utilizzarle per alimentare una campagna nazionale contro la guerra. Durante le assemblee del campeggio sono emerse varie proposte di date per mobilitazioni nazionali: dallo sciopero generale promosso da una parte del sindacalismo di base – Si Cobas, Cub, Usi, Unicobas e Adl Cobas – per il 20 ottobre alla proposta di una manifestazione a Pisa contro la base a Coltano per il 21 ottobre e arrivando al 4 novembre, data proposta dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole. A queste si aggiunge la proposta di una giornata di mobilitazione contro il governo Meloni da parte di Potere al Popolo e Usb da fare a Roma in data da definire.
Tante date e tante proposte che non vanno messe in contrapposizione, ma in concatenazione! La questione dirimente è non farne motivo di concorrenza tra sigle sindacali, partiti, organismi e aree di movimento che le promuovono, ma farne strumento per alimentare l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari: dirigere un lavoro città per città, azienda per azienda, di costruzione di tutte le date che si riescono a concordare con assemblee, iniziative di lotta, volantinaggi, presidi e ogni iniziativa e attività che può essere funzionale ad allargare ed estendere la partecipazione popolare a quella che deve essere sempre meno un insieme di date e iniziative programmate apparentemente in contrapposizione tra loro e sempre più una campagna nazionale contro la guerra voluta dalla NATO e l’escalation militare.

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