Intervista ad Antonio Madera – Comitato NO Autonomia Differenziata Emilia Romagna

Pubblichiamo l’intervista rilasciata all’Agenzia stampa La staffetta rossa dal coordinatore del Comitato NO Autonomia Differenziata Emilia Romagna che, oltre a spiegarci il contesto nel quale il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata si inserisce e le contraddizioni che genera all’interno delle Larghe Intese, da indicazioni sul che fare per contrastare dal basso questo provvedimento.

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A queste noi aggiungiamo che la lotta contro l’autonomia differenziata deve essere usata per promuovere e sviluppare l’organizzazione e mobilitazione delle masse popolari che vivono nel nostro paese, da nord a sud, per lottare contro i partiti delle Larghe Intese, contro i loro governi, nazionali o regionali che siano, per rafforzare la lotta per imporre con la mobilitazione un governo d’emergenza popolare, un governo che abbia la capacità reale di utilizzare le risorse pubbliche per potenziare la sanità e l’istruzione, per le misure urgenti a sostegno del lavoro e contro l’emigrazione dei giovani dal sud del paese, per mettere in piedi quelle piccole e diffuse opere pubbliche necessarie a ristabilire dal degrado e dall’abbandono molte aree delle regioni del Sud Italia. A tal proposito invitiamo alla lettura delle considerazioni inviateci lo scorso maggio da un compagno sulla lotta contro l’Autonomia Differenziata che continua ad essere materia di dibattito nel nostro Paese.

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Il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata occupa un posto di rilievo nel dibattito politico in corso nel Paese sia per le preoccupazioni che sta generando tra le masse popolari, in particolare nelle regioni del sud Italia (che vedrebbero ulteriormente ridotte le risorse a loro disposizione), sia per le contraddizioni che sta alimentando all’interno di varie forze politiche e sindacali, specie nell’area PD e all’interno dei sindacati confederali. Puoi illustrarci sinteticamente il contenuto della legge, il percorso da cui essa deriva, il contesto in cui si inserisce?

Per comprendere cosa sta succedendo e in quale contesto si inserisce il ddl Calderoli, dobbiamo partire da ciò che è successo prima delle scorse elezioni politiche. Con la pandemia, le chiusure e la conseguente riduzione della partecipazione popolare alla vita pubblica i governi Conte e Draghi sono riusciti a fare, con una limitata opposizione popolare, cose che in precedenza sarebbero state molto più difficili, tra le quali proprio il varo dell’autonomia differenziata.

Il PD autore peraltro della famigerata riforma del Titolo V approvata nel 2001, che è alla base dei processi di autonomia differenziata – l’articolo 116, comma 3 della Costituzione definisce la possibilità di intese tra ministero degli affari regionali delegato dal governo e presidenti di regione delegati dai rispettivi consigli per la concessione di ulteriori e particolari forme di autonomia – è stato il vero ispiratore dell’operazione politica necessaria a condurre in porto la legge.

Bonaccini in particolare, ha compreso più e prima di tutti la necessità di espungere la scuola dalle materie coinvolte, di fatto la Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL ha rappresentato l’unica opposizione alla legge all’interno delle forze sociali vicine al PD, per far decollare prima della fine della scorsa legislatura la cosiddetta “legge cornice”. Si tratta di una legge che indica il percorso di approvazione delle intese tra stato e regioni: dalle cosiddette “preintese” tra regioni e ministero degli affari regionali (già varate nel 2019, con il governo Conte, per le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna), alla determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazione (LEP), fino all’approvazione degli schemi di intesa da parte dei consigli regionali e alla definitiva ratifica da parte del governo. E’ così che dopo una lunga e complessa trattativa si arriva al ddl Gelmini, che il 13 luglio 2022 riceve il parere positivo della cosiddetta “bicameralina” ma non viene approvato dal parlamento che peraltro non avrebbe avuto la possibilità di emendarlo vista la caduta del governo Draghi.

Il ddl Calderoli non è tanto diverso dal ddl Gelmini che vide addirittura esultare anche i presidenti PD di Lazio e Toscana e che anzi lasciava spazio ad interpretazioni molto più vaghe e potenzialmente pericolose. Caratteristica comune dei due ddl è il ruolo assegnato al parlamento, che di fatto verrebbe a configurarsi come mero ratificatore di tutti i passaggi senza possibilità di emendamenti. Addirittura, se ogni passaggio non dovesse trovare accordo all’interno delle varie commissioni competenti, l’ultima e più importante è quella che dovrebbe occuparsi della definizione dei LEP, si passerebbe automaticamente allo step successivo dopo i tempi stabiliti e l’ultima parola spetterebbe ad un Commissario.

Per ciò che riguarda le contraddizioni che si stanno determinando tra le forze politiche, come ho già detto prima è vergognosa l’operazione che sta mettendo in piedi il PD. La presenza della destra al governo fa si che il PD possa coprire le sue passate responsabilità e inscenare una finta opposizione alla fascista Meloni e al leghista Calderoli, dichiarandosi contrario al ddl Calderoli, ma non apertamente contrario né favorevole all’autonomia.

Tuttavia, il trucco c’è ed è ben visibile a chi si informa. Il vero scopo del PD è quello di far passare un’azione di opposizione che grossomodo ricalca la legge di iniziativa popolare presentata da Massimo Villone che, oltre a confermare la regionalizzazione spinta di diverse materie, prevede una “clausola di salvaguardia” che consentirebbe al capo del governo di revocare l’autonomia concessa in alcuni casi, configurando di fatto una combinazione tra l’autonomia e il presidenzialismo tanto caro a Fratelli d’Italia che suggellerebbe definitivamente le Larghe intese sulle riforme istituzionali.

Gli unici effettivamente coerenti nel PD sono Bonaccini e De Luca. Il primo si dichiara apertamente contrario al ddl Calderoli ma favorevole all’autonomia come da lui stesso immaginata in precedenza; il secondo conduce da sempre a suo modo la battaglia contro l’autonomia, ma è il terzo mandato il vero motivo del contendere con la stessa Schlein la quale ne approfitta per sottrarre all’opinione pubblica la necessaria informazione circa la sua inclinazione e capacità a contrastare l’AD e non solo il DDL Calderoli.

Ad ogni modo, l’autonomia differenziata è un progetto eversivo, che spacca il paese nel suo complesso. Le stesse regioni “ricche” del nord sarebbero pesantemente svantaggiate da un ulteriore impoverimento di quelle “povere” del sud, svuota il parlamento e trasferisce poteri dallo stato alle regioni i cui presidenti, peraltro, non hanno di fatto contrappesi al loro strapotere.

Essa inoltre è irreversibile e trasversale ad ogni materia a prescindere da quelle coinvolte o meno nel trasferimento di potere. Anche le materie che dovessero “salvarsi” dalla regionalizzazione sarebbero infatti influenzate nel loro funzionamento da quelle coinvolte. Basti pensare al lavoro: in caso di regionalizzazione dei contratti, ad esempio, se anche la scuola venisse lasciata fuori dall’autonomia differenziata, le condizioni di lavoro degli insegnanti peggiorerebbero.

A che punto è l’iter parlamentare? Quali sono gli schieramenti che si stanno determinando rispetto al provvedimento?

L’iter è all’inizio e oggi ha subito un colpo durissimo con le dimissioni dalla commissione che dovrebbe determinare i LEP di Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo e Alessandro Pajno (che sono comunque favorevoli all’autonomia differenziata) che hanno seguito quelle di Luciano Violante e Anna Finocchiaro.
Gli schieramenti che si stanno determinando sono di fatto quelli che già c’erano prima. Il PD sta conducendo l’operazione che ho detto prima portandosi dietro tutto il centrosinistra, il M5S fa finta di interessarsene ma sostanzialmente a livello periferico non capisce o fa finta di non capire nulla ed è pronto ad accodarsi alla mediazione che si configurerebbe con la Legge di Iniziativa Popolare proposta da Villone. Il centro di Renzi e Calenda è pronto a venire in soccorso della maggioranza in quanto dichiaratamente favorevole all’autonomia.

Il provvedimento, ancor di più dei precedenti tentativi messi in atto di varare l’autonomia differenziata, sta alimentando una vasta mobilitazione: dalla promozione del ddl di iniziativa popolare, alle varie iniziative di amministratori locali, sindacati, forze politiche, ecc. A che punto è la campagna?

La mobilitazione dei sindaci e degli amministratori locali è senz’altro un fatto positivo. Tuttavia, ad oggi essa è alimentata principalmente dagli amministratori locali del sud che chiedono più che altro di essere messi nelle condizioni di competere alla pari con quelli del nord dicendosi pronti, in questo caso, ad accettare l’autonomia differenziata. I sindaci del nord, anche quelli di centrosinistra, di fatto sono immobili per paura di perdere il loro posto.

La campagna sta aumentando il numero di persone informate, ma fino a quando non si riempiranno le piazze e non si smaschererà il gioco che sta facendo il PD, specie in Emilia-Romagna, sarà tutto inutile. In questo senso, si tratterà anche per ciò che riguarda il Comitato Nazionale di andare oltre i confronti che attualmente sono in corso e, senza limitarsi a ricercare o a gestire rapporti con pezzi delle istituzioni, investire maggiormente sulla mobilitazione popolare.

Quali sono le prossime iniziative in programma per sviluppare la campagna? Credi che essa possa costituire un elemento decisivo per costruire un fronte di forze politiche e sociali contro il governo Meloni e più in generale contro le Larghe Intese tra “centro – destra” e “centro – sinistra” e il programma comune da esse messo in atto?

Anzitutto mi preme sottolineare ancora una volta come sia importante far capire alla gente l’intesa che c’è tra centrodestra e centrosinistra e che, soprattutto in una regione caratterizzata dalla pervasività del sistema di potere PD come l’Emilia-Romagna, viene abilmente mascherata. Senza l’appoggio del centrosinistra e del PD il centrodestra non sarebbe mai riuscito a far passare le modifiche costituzionali che sono state approvate in questi anni e la stessa cosa sarà per l’autonomia differenziata.

Per ciò che riguarda le prossime iniziative, in Emilia-Romagna abbiamo avviato le procedure per una Legge di Iniziativa Popolare regionale che nella sostanza chiede a Bonaccini di ritirare le pre intese del 2019, pur essendo consapevoli che l’obiettivo principale non è e non può essere quello di far approvare la legge, ma è quello di spingere Bonaccini a ritirare le pre intese con la forza della mobilitazione.

Per sviluppare la campagna a mio avviso bisognerà investire su due aspetti: anzitutto creare assemblee in ogni città italiana, poi spingere affinché Lazio, Campania, Toscana e Puglia, le quattro regioni che non hanno approvato il ddl Calderoli in Conferenza unificata, non avviino negoziati con il governo per nuove forme di autonomia.

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