Leggendo i giornali di giugno è evidente che per il governo Meloni c’è stato un crescendo di intoppi, problemi, nodi che sono venuti al pettine e scheletri che sono usciti dagli armadi. Tutto insieme, ad alimentare contraddizioni e tensioni fra i partiti della maggioranza che, anziché fare quadrato attorno al governo, giocano allo scaricabarile.
A fine giugno vengono arrestati Marcello Minenna (capo dell’Agenzia delle dogane nel 2020 e oggi assessore della Regione Calabria) e Gianluca Pini (ex parlamentare della Lega): l’accusa attiene a un giro di tangenti per appalti sulle mascherine e altri scambi di “favori”. Sembra uno dei tanti casi di sciacallaggio consumati sullo sfondo e con il paravento della pandemia, ma dalle intercettazioni salta fuori il nome di Giancarlo Giorgetti, attuale Ministro dell’Economia, che avrebbe in qualche modo partecipato allo scambio di favori. Lui si chiama fuori – e non è indagato – ma questa è solo una delle questioni che portano lo scompiglio nel governo. E neppure la principale.
A seguito di un’inchiesta giornalistica di Report (19 giugno) è la Ministra del Turismo Santanchè a finire nella bufera.
Secondo l’inchiesta le sue aziende (Ki Group e Visibilia editore) sono state la copertura per una serie di manovre al limite della legalità o apertamente illegali. A cavallo fra l’inchiesta giornalistica e l’inchiesta giudiziaria (la Procura di Milano sta per chiudere le indagini) esce fuori anche la vicenda del fondo di investimento Negma Group come mediatore di speculazioni finanziarie. “Esplode” il caso politico: non tanto perché il Pd chiede le dimissioni della Ministra, ma soprattutto perché nella maggioranza di governo sono davvero in pochi ad accordarle fiducia e a “fare quadrato” attorno a lei.
È il 29 giugno quando, nel quadro dell’arresto di un (noto) spacciatore di cocaina di Palermo, torna alla ribalta (è la terza volta) Gianfranco Miccichè, ex presidente dell’Assemblea Regionale Sicilia, con un passato ai vertici dei governi Berlusconi, che risulta abituale cliente dello spacciatore. Miccichè, comunque, non è indagato.
La lista dei grandi e piccoli “scandali” potrebbe allungarsi, ma questo circoscritto elenco consente di mettere in fila alcuni ragionamenti e tirare una conclusione.
Il primo ragionamento, inevitabilmente, riguarda la morte di Berlusconi. Questa, come osservano anche alcuni commentatori borghesi, ha segnato sicuramente la fine di un’epoca caratterizzata dalla necessità dei vertici della Repubblica Pontificia (imperialisti Usa e sionisti, imperialisti Ue, Vaticano e Organizzazioni Criminali) di riorganizzare il sistema politico italiano dopo il crollo del regime della Democrazia Cristiana (1992).
Per trent’anni Berlusconi è stato il caporione di un polo delle Larghe Intese e anche nella fase finale della sua parabola ha mantenuto un ruolo decisivo, benché defilato, in qualità di possidente di un impero economico e depositario di segreti indicibili (che lui ha usato in modo spregiudicato).
Per come il polo Berlusconi delle Larghe Intese è andato trasformandosi negli ultimi anni, prima con il peso elettorale della Lega e oggi di Fdi, la scomparsa del caporione equivale alla rimozione di un’ingombrante presenza, ma segna anche l’inizio di una lotta aperta per ridefinire i rapporti di forza.
È una lotta che coinvolge tutti gli apparati, i comitati d’affari e le consorterie che si annidano nelle istituzioni della Repubblica Pontificia e che influisce direttamente sulla stabilità del governo.
Il secondo ragionamento riguarda la necessità di andare oltre la superficie delle cose per capirne il reale contenuto. Gli sgambetti, i colpi di mano e gli scheletri che escono dagli armadi del governo sono solo una manifestazione di contraddizioni più profonde, di una guerra per bande più ampia.
La dedizione con cui il governo Meloni sta proseguendo l’attuazione dell’agenda Draghi non è sufficiente a sciogliere i nodi dell’intrigo di interessi contrapposti fra le varie fazioni della Repubblica Pontificia.
Oltre all’incondizionata messa a disposizione del paese alle manovre della Nato, il governo Meloni deve garantire anche la piena obbedienza alle richieste della Ue.
Al netto delle difficoltà nel dover giustificare l’inversione a “U” su molte questioni a quella parte di masse popolari che alle elezioni politiche del 25 settembre aveva votato Fdi in chiave “anti Draghi” e “anti Ue” (altro che sovranismo!), mettersi in fila per ricevere i soldi del Pnrr richiede di soddisfare alcune precise condizioni. E probabilmente è per l’incertezza che il governo ha mostrato nel soddisfarle, ad esempio sull’accordo per la gestione dei flussi migratori e, soprattutto, sulla ratifica del Mes, che la terza rata da 19 miliardi del Recovery Plan è in ritardo di sei mesi e le trattative per la definizione della quarta sono tutte in salita.
Contraddizioni tipiche di chi serve più padroni e sistematicamente ne scontenta almeno uno.
Il terzo ragionamento riguarda la differenza fra la realtà e il modo in cui viene raccontata. La realtà è che il governo Meloni è un colabrodo, un accrocchio che sta insieme con lo sputo e si regge in piedi solo perché i vertici della Repubblica Pontificia non hanno un’alternativa pronta per sostituirlo né hanno la garanzia che l’eventuale alternativa riesca a fare meglio.
Le favole sul governo forte e sulla solidità della maggioranza si sono sciolte come neve al sole.
La conclusione, inevitabilmente, riguarda il fatto che fra le mille cause della precarietà e della fragilità del governo Meloni NON C’È ancora l’iniziativa dell’opposizione. Se fosse per l’opposizione di Pd e M5s e per l’iniziativa dei sindacati confederali il governo Meloni potrebbe dormire fra due guanciali.
Torna qui il discorso sullo sbocco politico (vedi Editoriale) che possono e devono avere le mobilitazioni delle masse popolari. Queste ci sono, anche se procedono per il momento in ordine sparso: è esattamente compito dei comunisti promuovere il loro coordinamento e la loro convergenza verso un obiettivo politico. Un obiettivo che oggettivamente le unisca tutte e indichi a tutte una prospettiva ORA: approfittare delle contraddizioni nel campo nemico per cacciare il governo Meloni e imporre un governo di emergenza popolare!