Il 24 giugno la notizia“dell’ammutinamento” di Prigozhin, capo del gruppo di mercenari Wagner, contro i vertici militari della Federazione Russa ha fatto il giro del mondo presentato come una “marcia su Mosca” finalizzata a destituire il generale Valery Vasilyevich Gerasimov (Capo di Stato Maggiore delle forze armate russe e primo Vice Ministro della Difesa) e il generale Kuzhugetovich Shoigu (Ministro della Difesa).
Ovviamente l’attenzione mediatica è stata rivolta su questo caso per parecchi giorni e, ovviamente, l’informazione è subito diventata propaganda di guerra: “è l’inizio della fine di Putin” è stato il commento più diffuso fra i sostenitori del governo ucraino e della Nato, che si sono ben guardati dal chiamare alla cautela, ma hanno alimentato ad arte questa “analisi”.
In realtà, la sedizione si è risolta in poche ore con l’esilio di Prigozhin in Bielorussia, lo scioglimento del Gruppo Wagner e “l’assorbimento” dei mercenari nelle file dell’esercito regolare (anche se, al momento in cui scriviamo, questo aspetto è da verificare).
Le “inchieste interne” avviate dallo Stato Maggiore russo per scoprire eventuali sostenitori della manovra di Prigozhin hanno per il momento coinvolto solo il generale Sergei Surovikin, che i media indicano come un alto dirigente delle operazioni in Ucraina.
Dopo appena una settimana, dunque, rientrato l’entusiasmo per la manovra di Prigozhin, la propaganda di guerra è tornata a fare “quello che faceva prima”: a celebrare in pompa magna la controffensiva ucraina e a rilanciare presunte minacce nucleari dai vertici della Federazione Russa.
Più che cercare di comprendere gli sviluppi della situazione concentrandosi su un unico avvenimento (peraltro di difficile interpretazione), è utile soffermarsi sul contesto in cui quell’avvenimento è maturato e si è inserito. È anche il modo più efficace per comprenderne la reale portata e per valutare se e come ha influito sul corso delle cose.
Fin dall’inizio della primavera, il governo ucraino e la Nato avevano annunciato l’inizio della controffensiva. La propaganda atlantista ha dato ampio risalto alla preparazione e all’inizio, ma nella realtà le cose sono molto diverse.
La controffensiva ucraina si è tradotta
– nella conduzione di operazioni terroristiche in territorio russo (alcune condotte dall’esercito ucraino, altre da gruppi militari russi definiti “dissidenti”);
– in manovre militari dell’esercito ucraino al fronte, ma nonostante il dispiego di forze e armi ricevute dagli alleati della Nato i risultati sono molti contenuti. Anzi, a inizio luglio anche gli analisti della Nato affermano pubblicamente che si tratta di una manovra difficile, molto lunga e sanguinosa, che “costerà molte vite umane”.
Le enormi difficoltà ad avanzare sul fronte hanno alimentato, in particolare, due movimenti.
La Nato ha ripreso “in grande stile” le manovre per approfondire il conflitto ed estenderlo ad altre aree e altri paesi.
Sul piano militare ha alimentato le tensioni in Kosovo (29 maggio) per destabilizzare i Balcani e alimentare le manovre di guerra nel cuore dell’Europa. Sul piano “diplomatico” ha lavorato per compiere passi avanti nell’allargamento dei propri confini con l’adesione della Svezia e della Finlandia, in discussione al prossimo vertice a Vilnius agli inizi di luglio, come anche la proposta di un maggiore coordinamento con Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda per rafforzare la presenza nel Pacifico.
Tutto questo avviene mentre con una mano frusta i pit bull che con la bava alla bocca invocano il permesso di dispiegare manovre belliche più consistenti contro Federazione Russa e Bielorussia (Polonia, Estonia, Lituania e Lettonia) e con l’altra finge di trattenerli per non esacerbare il conflitto.
Il governo ucraino, che ormai esiste e respira solo per l’ossigeno che arriva con i rifornimenti, gli aiuti e i soldi della Comunità internazionale degli imperialisti, è tornato a battere i pugni sul tavolo della Ue con pretese di altri aiuti economici e militari per “sconfiggere la Federazione Russa” e ha trovato “illustri” sostenitori. È il caso di Mario Draghi che al Mit di Boston ha esortato a sostenere senza riserve l’Ucraina perché “una vittoria della Federazione Russa sarebbe la fine della Ue” (7 giugno).
In questo contesto, la sedizione di Prigozhin è stata accolta come una insperata manna dal cielo. Hanno voglia di dire le testate giornalistiche Usa che la Nato “era a conoscenza” o “aveva sentore” delle manovre del capo della Wagner. La verità è che tutte le aspettative di successo della controffensiva ucraina sono di colpo diventate la speranza che Prigozhin arrivasse a Mosca e aprisse una crisi politica e militare capace di far capitolare la Federazione Russa.
Adesso che la sedizione si è sgonfiata e le speranze della Nato si sono infrante, riemerge con chiarezza ciò che era evidente anche prima e fin dall’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina: è la Nato che soffia sull’incendio per allargarlo e aggravarlo a ogni costo e con ogni mezzo.
Questo è il fulcro della questione ed è attorno a questo fulcro che girano anche le prospettive della mobilitazione contro la guerra che intanto si sviluppa in tutta Europa, perché essa è indissolubilmente legata alla mobilitazione contro la Nato.
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“Il (n)PCI chiama tutti i comunisti e tutti gli uomini e le donne coscienti del nostro paese a mobilitarsi per porre fine alla partecipazione dell’Italia alla guerra Usa-Nato contro la Federazione Russa e alla repressione delle masse popolari ucraine a opera del governo fantoccio presieduto da Zelensky e delle sue truppe regolari e irregolari.
Porre fine alla partecipazione dell’Italia alla guerra scatenata da Usa-Nato comporta:
– denunciare capillarmente con scritte murali, con locandine e volantini, sui social network ogni base militare, agenzia e installazione Nato e Usa, ogni servitù e operazione militare: che la presenza di ognuna di queste postazioni risalti in ogni località come risalta la presenza di una chiesa e di una stazione ferroviaria;
– promuovere manifestazioni contro la partecipazione alla guerra e contro ogni operazione in cui la partecipazione si concretizza;
– bloccare e sabotare l’invio e il trasporto di armi verso l’Ucraina: ogni convoglio ferroviario e stradale e ogni caricamento di navi;
– generalizzare l’esempio dato dal Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp) di Genova contro l’invio di armi dai porti italiani;
– fare agitazione contro la partecipazione dell’Italia alla guerra Usa-Nato in ogni istanza delle forze armate italiane;
– denunciare e contrastare l’addestramento di militari del governo Zelensky o comunque mobilitati per l’invio sul fronte ucraino;
– promuovere la solidarietà di massa con ogni persona perseguitata dal governo Meloni e dai suoi complici e agenti perché si oppone alla guerra Usa-Nato” – dal Comunicato del 2 luglio 2023 del (n)PCI.